Capitolo 45: Prendere una boccata d'aria fresca.

1.5K 94 10
                                    

Giorno 27: Ariadne
Chiudo gli occhi e lascio che il leggero venticello mattutino mi accarezzi il viso. Non so cosa mi avesse spinto quella mattina ad alzarmi presto e fare una passeggiata a Central Park, sapevo solo che non me ne pentivo. Avevo passeggiato per circa un'ora e avevo visto persone che correvano, persone in bicicletta, coppie che amoreggiavano sulle panchine o su morbidi teli stesi sull'erba, famiglie che giocavano e ridevano spensieratamente, anziani che passeggiavano e ragazzini che si divertivano a provare nuove evoluzioni sui loro skate o sui loro pattini. Era bello vedere tutta quelle gente che rideva e si divertiva, mi sembrava così spensierata. Io, al contrario, ero tutto tranne che tranquilla. Sentivo un miscuglio di emozioni, positive e negative. Sentivo paura, ansia, felicità, insicurezza. Sapevo benissimo che c'erano persone che avevano problemi ben più grandi dei miei ma proprio non riuscivo a non pensarci e a non avere paura. Solo quella passeggiata era riuscita, in parte, a tranquillizzarmi. Ora ero seduta su una panchina, lontana dal troppo rumore ma abbastanza vicina da sentire il leggero vociare che mi teneva compagnia. Posai le mani sul ventre e lo accarezzai dolcemente. Sentii la piccola muoversi e sorrisi. Non mancava tantissimo alla nascita e io ero sempre più impaziente. Non vedevo l'ora di sentirla piangere per la prima volta, di guardarla in viso, di stringerle le delicate manine tra le mie, sognavo e immaginavo spesso come sarebbe stata. La immaginavo con i corti capelli corvini come i miei e gli occhi di John, sia per il colore, leggermente più chiaro del mio, e per la forma, immaginavo il suo nasino alla francese e le sue guanciotte piene e rosee. Sarebbe stata la bambina più bella del mondo, ma penso che ogni mamma o futura mamma la pensasse così. C'era una piccola parte, dentro di me, però, che aveva paura di non farcela, di fallire. Paura di essere una cattiva madre. Mia mamma non era stata esattamente un buon esempio di madre, aveva lasciato che quel mostro di nostro padre ci picchiasse, che la sottomettesse, non aveva fatto nulla per impedire che tutto ciò accadesse, non aveva impedito a mio fratello di andare via e non era riuscita ad impedire che lui mandasse via me. Ma, nonostante tutto, l'amavo. Sapevo quanti sacrifici aveva fatto, quante volte non era tornata per portare a casa più soldi, quanto si era sbattuta per noi, per darci una possibilità. Ma, allo stesso tempo, avevo paura di essere come lei. Avevo paura di non riuscire a proteggere la mia bambina dal mondo e dalla sua cattiveria. Ma non dovevo pensare a quelle cose, dovevo essere positiva e spensierata. Diventare madre era una cosa speciale e bisognava vivere la cosa bene, con felicità. Soprattutto se al proprio fianco c'era una persona fantastica come John. Se pensavo a come era all'inizio quasi non credevo al suo cambiamento. E, soprattutto, non credevo al mio cambiamento. Eravamo due sconosciuti che si erano conosciuti, capiti, accettati e innamorati. Ero sicura di amarlo e abbastanza sicura che anche lui amasse me. Non avevo nessun motivo per non fidarmi delle parole si Danny.  La cosa che mi lasciava un po' perplessa era che ancora non aveva fatto riferimento e non mi aveva chiesto nulla a proposito di ciò che avevo detto al bar martedì. Speravo che non lo avesse fatto perché aspettava il momento giusto e non perché non sapeva come dirmi che non ero ricambiata. Come sempre mi facevo troppe paranoie. Risi di me stessa. Da lontano vidi una giovane coppia accompagnata da una bambina. Li guardai. Tra qualche anno quelli saremmo potuti essere noi, io, John e la piccola. Sorrisi. Mi girai dall'altra parte e vidi, invece, una ragazza, sola, sorridente a suo modo, che teneva per mano una bimba. Il sorriso mi morì sulle labbra. Passai lo sguardo più volte da una parte all'altra, da una realtà all'altra. Da una parte c'era ciò che non volevo succedesse mentre dall'altra parte ciò che speravo succedesse. Non dicevo certo che una vita da madre single non sarebbe stata un vita soddisfacente, certo sarebbe stata più dura ma comunque felice ma non potevo neanche mentire dicendo che non avrei voluto una vita con John, fatta di amore e felicità, che sicuramente non sarebbe stata comunque facile ma sicuramente più piena. Guardai le due facce della realtà e mi alzai dalla panchina. Guardai a sinistra e poi a destra. A sinistra una vita sicura ma priva di quell'amore che solo un'altra persona può darti, a destra una vita indubbia, senza sicurezze ma piena di amore, anche se magari non duraturo. Ma volevo correre il rischio, vivere la mia vita secondo ciò che il cuore mi diceva. Sapevo benissimo cosa fare. Guardai la madre single e le sorrisi, lei ricambiò e io andai a destra. Presi un grosso respiro. Ero felice, mi sentivo bene. Passai di fianco alla coppia e la bambina mi sorrise, salutandomi con la manina. Io ricambiai e sorrisi, sembravo non riuscire a farne a meno. Sentii il cellulare vibrare e subito lo sfilai dalla tasca e mi affrettai a rispondere. "Pronto?" "Ariadne, ci sei? Dove cavolo sei? A casa non ci sei e avrò provato a chiamarti almeno dieci volte! Mi hai fatto preoccupare tantissimo!" Sorrisi. Evidentemente ero stata talmente presa dai miei pensieri da non aver sentito il cellulare. "John tranquillo, sto bene. Mi sono svegliata presto e ho deciso di fare una passeggiata a Central Park. Tu come stai?" Lo sentii ridere dietro la cornetta. "Cosa devo fare con te?" "Sopportarci, tra poco saremo due." "Non ricordarmelo...solo con due donne in casa, sarà un delirio." Scoppiai a ridere. "Dove sei? Così ti raggiungo." "Sono vicina a un ponte bianco enorme, incurvato e con dei ghirigori." "Bow bridge...arrivo." Ci salutammo e io lo aspettai. Il ponte era molto bello e ricco di decorazioni. Era lungo e il pensare di doverlo attraversare tutto mi metteva ansia. Mi appoggiai al parapetto e guardai l'acqua sotto di me scorrere placidamente. Rimasi lì così, a osservarla. Mi rilassava. All'improvviso sentii delle mani coprirmi gli occhi, erano mani grandi e calde. Sorrisi. "Chi sarà mai?" Sentii delle labbra sfiorare il mio orecchio. "Io." Risi e spostai le mani di John dai miei occhi e mi girai verso di lui. Ci guardammo negli occhi. "Ciao." Sorrise. "Ciao." "Sei bellissima." Arrossì. "Non dire sciocchezze." "Te lo giuro! C'è qualcosa oggi...non so...sembri...sei splendida." Lo guardai. "Penso di essere semplicemente felice." "Dammi un po' di questa tua felicità." "Non posso." Alzò un sopracciglio. "Come faccio a darti la mia felicità se sei tu a scaturirla in me?"

Noi e il frutto del nostro amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora