Capitolo 19: La mia eccezione.

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Giorno 8: John
"Mi sento molto in colpa, sai?" Mi girai verso di lei e subito la sua mano fu nei miei capelli, a messaggiarmi la cute. Sapeva che andavo pazzo per queste cose. Cercai di restare il più concentrato possibile su di lei e le sue parole. "Perché ti senti in colpa?" Chiusi gli occhi per il piacere e mi rilassai. "Non volevo che dessi buca a James e agli altri. Avresti dovuto rispondere al citofono e dirgli che andavi con loro, non ignorarli." Riaprii gli occhi e la guardai intensamente. "Tu stavi male e io non volevo lasciarti." Si staccò da me, ponendo fine a quelle dileziose carezze, e si girò dall'altra parte, dandomi le spalle, e raggomitolandosi in posizione fetale. Mi faceva tanta tenerezza. Il mio scricciolo. Il mio cuore saltò un battito. Mi mossi verso di lei, facendo combaciare il mio petto con la sua schiena. L'avvolsi tra le mie braccia e immersi il viso tra i suoi lunghi e profumati capelli. Era impossibile per me staccarmi da lei. Me la strinsi forte al petto e ci coprii con il lenzuolo. Lei lasciò andare un sospiro di stanchezza e si rilassò tra le mie braccia. Dopo il lavoro eravamo entrambi sempre molto stanchi e un sonnellino era d'obbligo. Anche se eravamo entrambi stanchi avevo voglia di parlare con lei, di sapere com'era andata la sua giornata. Sempre tra i suoi capelli mi decisi a parlare. "Cosa ti ha detto oggi Emily?" Lei parve rianimarsi e, tra le mie braccia, si girò verso di me. E, finalmente, eravamo faccia a faccia. Naso contro naso. Questa scena non mi era nuova. Ripensai a ieri e alla stupenda mattina passata insieme. "...non è altissimo ma...mi stai ascoltando?" Mi riscossi dai miei pensieri e riportai l'attenzione su di lei a fatica. Avrei tanto voluto baciarla quel giorno. "Scusa ma mi sono perso, che stavi dicendo?" Sbuffò e mi tirò un pizziccotto sul braccio. Storsi la bocca dal dolore e lei rise soddisfatta. Gli feci una linguaccia e approfittai della sua distrazione per lasciargli un morso sulla guancia. Lei lanciò uno strillo acuto, spalancò gli occhi e si portò una mano sul luogo del delitto. Adesso toccò a me ridere. Lei mise il broncio e tentò di sgusciate via dalle mie braccia. Io non persi tempo e rafforzai la stretta. Premendola contro il mio corpo. Accidenti che tortura! Tenerla così vicina e non poterla avere. Strinsi gli occhi e mi concentrai su altro. Il suo viso ancora imbronciato era troppo bello. Sfregai il naso sulla bua che gli avevo procurato e gliela baciai. Lei si sciolse in un sorriso e si mise comoda tra le mie braccia. "Ci vuole poco per farti tornare il sorriso." Lei arrossì e immerse il viso nel mio collo. Se continuava così non sarei riuscito a trattenermi per molto. Dovevo veramente spostare l'attenzione su qualcos'altro...ma davvero questa volta. "Allora...mmm...cosa stavi dicendo prima?" Lei parve rianimarsi e si tirò su, stando in equilibrio sui gomiti e guardandomi negli occhi. "Mi hai chiesto che cosa mi aveva detto oggi Emily." Annuii e la spronai a continuare. "Allora, in pratica mi ha detto che mi assume part-time e che la paga mensile è di 800€...che non è tantissimo ma comunque perfetto come inizio e, inoltre, mi ha dato una tabella con tutti i miei turni. Sei contento?" Sorrisi raggiante e annuii. Lei batté le mani e sorrise con me. "Mi sembra di stare tre metri sopra il cielo! Sono così felice! Finalmente, tra poco, potrò avere una casa tutta mia e farmi una vita tutta mia!" Per quanto fossi felice per la notizia la sua felicità non riuscì a contagiarmi. Pensare che tra poco se ne sarebbe andata mi rendeva estremamente triste. Volevo tenerla vicino a me il più possibile. Ma potevo abbattere le mie paure e mettere tutto da parte? Rinunciare alla mia libertà e alla mia spensieratezza da ragazzo? Mio padre era un continuo dire che dovevo crescere ma ero davvero capace di farlo? Ero abituato a dovermi prendere cura solo di me stesso e il ritrovarsi improvvisamente in tre era qualcosa che andava contro ogni mia possibilità. Volevo tenermi stretta la mia libertà ma allo stesso tempo incasinarmi fino alla morte con loro. La guardai e gli accarezzai una guancia. Lei alzò lo sguardo e i nostri occhi di fusero uno nell'altro. Sempre stato preso de me stesso e mai preoccupato di chi mi stava intorno. Notti buttate nel cesso con squallido sesso occasionale. E poi, di botto, questo piccolo uragano tra le mie braccia aveva interrotto il mio monotono andare avanti. Era passata una sola settimana e già solo pensare al suo andar via mi faceva stare male. Assurdo. Risi di me stesso. La stavo ancora guardando quando mi alzai dal letto. Le sue braccia scivolarono dal mio corpo, malgrado la loro resistenza. Ed ero sicuro che i suoi occhi mi stessero guardando anche quando uscii dalla camera. Stare un'altro pó nella sua sua stessa stanza mi avrebbe fatto impazzire. Andai in cucina cosciente dei suoi passi dietro di me. Posai entrambe le mani sulla penisola, stringendone i bordi e piegandomi leggermente su di essa. Davo le spalle alla porta che dava sulla zona notte e aspettavo, aspettavo la tempesta. "Non puoi fare così!" Quelle parole urlate ruppero il silenzio. "Ti proibisco di fare così! Un'attimo prima mi stringi la mano e l'attimo dopo me la lasci andare! Cos'è, vuoi vedere quanto sono forte? Vuoi vedere quante volte mi rialzo dopo che tu mi hai lasciato cadere? Dimmi cosa vuoi vedere facendo così!" Le sue urla riempivano la mia testa e la stanza. E io, come un vigliacco, non risposi. La lasciai crogiolarsi nel dubbio. "Dimmelo John. Sono prove? Sono prove per decidere se tenermi con te? Dimmelo perché allora darei il meglio di me! Darei di tutto per essere amata almeno una volta, amata da qualcuno che non sia io." Quelle parole, dette con una dose non indifferente di tristezza, mi fecero pensare che c'erano cose che lei non mi aveva detto. Non sapeva che io non avevo risposte. "Non lo so Ariadne." Non badò alla mia risposta, andando avanti con il suo discorso. "Non sai quanto darei per essere amata. Non sai quanto darei per essere qualcosa per te. Sei stato l'unico ad aiutarmi e a starmi accanto in questo momento e lo hai visto con i tuoi occhi! Mia sorella, sangue del mio sangue, non è pronta ad aiutarmi, mio fratello è scappato lasciando me, mia sorella e mia madre tra le grinfie di un'uomo sempre ubriaco e che molto spesso aveva il vizio di far andare le mani! Mia madre che non mi ha difeso quando sono stata buttata fuori di casa per il solo fatto di essere incinta! E ho una sorellastra che mi ha minacciata di portarmi via tutto ciò che ho, compreso te! Sono sola al mondo e tu sei stato l'unico a dimostrarmi affetto sincero pur non essendo obbligato!" Prese fiato e scoppiò in un pianto lancinante. I suoi singhiozzi rimbombavano nel mio petto distruggendomi. "Ti prego basta." Il mio sussurro era quasi inudibile. "E-E lo so che in q-questo momento sto passando p-per una poveraccia in cerca d-di affetto, ma fin dalla prima sera i-in cui ti ho visto ho pensato c-che tu potessi amarmi...ti ho p-perfino dato la mia verginità q-quella sera! In tutti questi m-mesi ho pensato a te...sempre h-ho pensato a te." A quelle parole mi girai di scatto e gli occhi mi si spalancarono. Mi aveva donato tutto quello che poteva quella sera e io neanche me ne ero accorto. Solo dopo avevo realizzato che cosa avessi provato quella notte e quanto, in poche ore, era riuscita ad entrare in me. Mi avvicinai a lei senza, però, toccarla. Lei era lì che piangeva e nuda davanti a me. Mi aveva rivelato tutto i suoi segreti e io ero stato zitto. Ero una persona orribile. Aveva avuto un passato terribile e io non sapevo se potevo dargli un futuro migliore. "Ariadne non sai...non sai quanto io ti abbia pensato in questi mesi. Ho passato cinque mesi a cercarti dappertutto, ho chiesto a chiunque dei miei amici se sapessero chi tu fossi e non sai che dolore provavo ogni volta che non riuscivo a trovarti. Non sono più andato con nessuna talmente pensavo solo a te. Ma...non so se posso darti quello che vuoi." Lei tirò su col naso e mi guardò con quei suoi bellissimi occhi lucidi e pieni di lacrime. "Vorrei solo essere la tua eccezione." Dopo quelle parole non ci vidi più e feci la cosa più stupida e sbagliata che avessi mai potuto fare in quel momento. La baciai. Mi avvicinai a lei e gli afferrai il viso con entrambe le mani, posando la mia bocca sulle sue, bellissime e salate labbra. Mossi violentemente le mie labbra sulle sue, aspettando che mi ricambiasse. Rimase rigida e ferma fin quando non ammorbidii il mio assalto, allora mosse leggermente le labbra, timidamente. Incominciammo a muoverci all'unisono, sempre più appassionatamente e velocemente. Le sue labbra e le sensazioni che mi davano erano qualcosa di indescrivibile, di inspiegabile. Era come toccare il paradiso con un dito. Era come aver peccato nel peggiore dei modi ed essere redento. La mancanza di ossigeno ci costrinse, però, ad allontanarci. Staccai le mie labbra dalle sue e rimasi a osservarla per interminabili secondi. Poi, successe tutto in un secondo. Lei prese atto di ciò che era successo e si portò le mani sulla bocca, con gli occhi spalancati. Si allontanò sempre più da me fin quando non si scontrò con il freddo della parete, allora scappò, chiudendosi a chiave nella sua camera. Mi portai le mani sul viso e le sfregai violentemente su di esso. Cacciai un urlo bestiale che rimbombò per tutta l'abitazione. Chiusi gli occhi e mi inginocchiai sul pavimento freddo. E, per la prima volta dopo la morte di mia madre, piansi.

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