Giorno 4: Ariadne
Tre. Due. Uno. Tre in punto. Libera. Era il secondo giorno e già adoravo questo lavoro. Era fatto apposta per me. Ovviamente dovevo ancora prenderci la mano, dovevo prenderci ancora una grande mano ma mi stavo impegnando. Era martedì e avevo avuto ancora il turno del mattino e, finalmente, avevo incontrato uno dei due ragazzi che lavorava con me e Isbel. Si chiamava Adrian e aveva vent'anni appena compiuti, aveva i capelli biondo platino, quasi sicuramente ossigenati, e gli occhi erano azzurro ghiaccio. Era un ragazzo taciturno e introverso, in questa mattinata avevamo parlato si e no per cinque minuti, giusto il tempo di una breve presentazione. Diciamo che non avevamo molto in comune. Mi tolsi il grembiule del negozio e mi avviai nel retro per cambiarmi e prendere le mie cose. Oggi John aveva il turno della sera/pomeriggio e quindi: a) avrei dovuto prendere la metro e b) avrei dovuto stare a casa da sola per cinque lunghissime ore. E io avrei voluto avere la compagnia di John. La sera prima avevamo passato una bella serata e stare in sua compagnia era stato bellissimo. Era stato dolce e sensibile, non si era mai lamentato delle mie continue interruzione e questa era una grande qualità. Volevo rifarlo, rifarlo ogni sera. Mi fermai e mi stupii dei miei pensieri. Scossi la testa e, siccome ero entrata nel retro, presi dal grembiule il cellulare e, una volta presa anche la borsa, c'è lo infilai dentro. Uscii dal retro e, salutato Adrian e Isbel, che doveva fare il turno del pomeriggio, uscii dal negozio. Sbuffai, faceva un caldo bestia. Indossavo un paio di pantaloncini di jeans, sopra portavo una camicietta leggera bianca, con sotto un reggiseno bianco, e ai piedi portavo un paio di sandali corti alla schiava marroni. I capelli erano legati in una treccia a spina di pesce, come piaceva a me. Ma faceva comunque un gran caldo. La borsa era a tracolla ma comunque pesante. Ed io, essendo incinta, sentivo tutto amplificato. Mi passai una mano sul viso e mi incamminai verso la metro che per fortuna non era tanto lontana. Stavo camminando, canticchiando una canzone che avevo sentito in negozio, quando la suoneria del mio cellulare si sostituì alla mia voce. Era una vecchia canzone di Beyoncé: Love on top. Adoravo quella canzone. Mi affrettai a prendere il cellulare e a rispondere a....John. Un sorriso spontaneo spuntò sulle mie labbra. Risposi: era la prima volta che parlavamo al cellulare. "Ehi....." "Ciao Ariadne" Risi leggermente. "Guarda che puoi chiamarmi Adny!" Lo sentì ridere. "Preferisco Ariadne. Sei uscita dal lavoro?" "Proprio ora." "Ti va di passare al locale? Io sono già qui. Ti bevi qualcosa di fresco e poi vai, fa caldo e nelle tue condizioni è peggio. Feci finta di pensarci su ma tanto sapevo già la risposta. "Mmmm...ci penso." Me lo immaginai sorridere. "Ti aspetto." E chiuse la conversazione. Sorrisi, felice, e tornai indietro, verso il District. Una volta arrivata, prima di entrare, mi diedi una sistemata ed entrai. Il campanello suonò e io arrossii. Mi guardai intorno e trovai John a servire una bella donna che se lo mangiava con gli occhi. Inconfronto a lei io ero un poveraccia e per di più cessa. Andai dritta al bancone, senza farmi vedere da lui, e ordinai un succo all'albicocca. Zero alcolici e zero caffè nelle mie condizioni. Mi ero un' attimo distratta quando una mano atterrò sul mio fianco, leggermente più in carne per via della gravidanza. Sussultai e mi girai verso colui che mi aveva toccata. Era solo John. Mi rilassai e gli sorrisi, senza toglierli la mano dal mio fianco. Mi faceva piacere che toccasse il piccolo/piccola. Mi schioccò un bacio sulla guancia e tornó dietro il bancone. Io semplicemente arrossii. "Come stai?" "Bene dai." Lui stava preparando dei caffè. La sua collega, invece, mi fissava malissimo. Feci segno a John di avvicinarsi e lui si piegó alla mia altezza, faccia a faccia. "Perché la tua collega mi guarda in quel modo?" Lui si girò verso di lei, guardandola negli occhi, e lei, automaticamente, arrosì e gli sorrise, facendogli gli occhi dolci. Ero una ragazza e questo atteggiamento bastò a darmi una risposta. John era molto bello, bellissimo, e capivo cosa provavano le altre donne. Ma non sopportavo il fatto che il padre di mio figlio potesse essere guardato da altre. Ero forse gelosa? No. Ma ero sicura che il mio bambino sarebbe somigliato a lui. Il solo pensiero mi elettrizava. "Ci prova con me da quando sono arrivato al negozio, io non ci sono mai stato e non ci staró di certo ora." Mi disse queste parole guardandomi negli occhi, parlando al mio cuore, alla mia anima. Ma io non volevo ascoltarlo o, forse, non potevo ascoltarlo. Distolsi lo sguardo e mi alzai dallo sgabello, ormai avevo finito il succo. Anche lui si tiró su e il suo sguardo squadrò il mio corpo, soffermandosi sulle mie gambe. Lui arrossì e inghiottì a vuoto. "Quanto devo per il succo, John?" "Offro io." Sorrisi. "Guarda che non devi." "Non devo ma voglio." Arrossii. "Allora io vado." Mi avviai verso l'uscita ma lui mi raggiungiunse subito e mi fermò. "Sei con i mezzi?" Alzai il sopracciglio e annuii. Ovviamente ero con i mezzi. "Ti presto la mia macchina, con questo caldo non voglio che tu ti affatichi troppo." Io spalancai gli occhi per lo stupore e rimasi senza parole. "Ma....non posso, John! E se faccio un casino? Se te la rigo o te la ammacco? Se, addirittura, faccio un' incidente? Non posso!" Lui rise e scosse la testa. "Non dire scemate, Ariadne!" "Ma è vero! Non posso!" "Si che puoi." Sbuffai e lasciai perdere, acconsentendo. Era inutile discutere con lui, era una testa calda. John sparì velocemente nel retro del bar e tornò dopo pochi minuti con un mazzo di chiavi in mano, ovvero quello della sua auto. Me le porse e io, tremante, le presi. Lui sorrise. "Non ti preoccupare, la mia macchina non ti mangia." Gli feci una linguaccia e uscimmo dal negozio, doveva indicarmi dove si trovasse l'auto. Dopo qualche minuto di camminata arrivammo davanti alla sua auto, perfetta e immacolata. Deglutii. "Non posso, John! È...è troppo perfetta!" Lui rise e mi accarezzo una guancia. "Dai vai, sono già le quattro, vai a riposarsi." Sospirai e annuii. "E, Ariadne, ricordati di venirmi a prendere alle 8.00, finisco di lavorare a quest'ora." Annuii, era il prezzo da pagare per evitarmi il viaggio di venti minuti con i mezzi. Aprii la macchina ed entrai, stando attentissima. Richiusi la portiera e abbassai il finestrino. "Stai attenta, per favore. Non correre troppo." Io sorrisi, era piacevole quella sua preoccupazione. Annuii. "Allora, a dopo." "Io....noi...a dopo, John." Ci guardammo negli occhi per qualche secondo fino a che non tira su il finestrino, dividendoci. Misi in moto e parti, lasciandomi alle spalle John. In meno di dieci minuti ero già arrivata a casa. Era strano chiamarla casa. Parcheggiai l'auto, spensi il motore e uscii. La chiusi e mi diressi verso il portone. Lo aprii e salii le scale fino al mio piano. Entrai in casa e mi richiusi la porta alle spalle, nella più totale tranquillitá. Andai in camera mia e poggiai la borsa sul letto. Feci appena in tempo a cambiarmi e a mettermi in pigiama, i soliti pantaloni da basket e la solita maglia bianca, che suonò il citofono. Ma chi poteva essere? E poi, chi poteva avere le chiavi del portone giù da basso? Aprii la porta e rimasi di stucco. Era Eleonor. La bellissima ragazza rossa che il giorno prima mi aveva accolta e fatta sentire tra loro. Prima che l'altra ragazza rovinasse tutto. Non sapevo cosa fare. Nello stesso momento, il cellulare che avevo in mano squilló. Mi affrettai a rispondere, con lo sguardo sorridente di Eleonor che mi osservava. "Ariadne sta arrivando Eleonor." "I-io penso di averlo notato." "Mi dispiace, non sono riuscito a fermarla." "Non fa nulla, in fondo è casa tua e puoi invitare chi vuoi." "Primo è casa, almeno per i prossimi mesi, nostra e poi non voglio che tu ti senta costretta a fare amicizia con lei." Sorrisi, per la sua premura. "Non fa nulla, anzi, lei mi piace molto." Alla ragazza davanti a me brillarono gli occhi e io arrosii. "Allora vado, torno al la lavoro. Posso stare tranquillo?" "Si si, ci vediamo dopo allora." "Ciao." "Ciao." Chiuse la comunicazione, poggiai il telefono sulla penisola e feci entrare Eleonor. Ci sorridemmo, imbarazzate, e io chiusi la porta. "Sono contenta di vederti, Ariadne." "Anche io, Eleonor." "Mi dispiace molto per Rose, è stata molto scortese." Arrossii e i miei occhi divennerò lucidi. Lei lo notó subito e si affrettò a venire verso di me. "Ehi, mi dipiace. Non volevo farti piangere." Tirai su con il naso e scossi la testa. "Non ti preoccupare, non è stata colpa tua." Lei sorrise, un po in colpa. Si diresse verso il divano e abbandonò li la sua borsa a tracolla. Si vedeva che era abituata a stare lì, come se fosse a casa sua. Sarebbe piaciuto anche a me avere quel tipo di amicizia. Per qualche minuto nella stanza regnò un silenzio assordante. Così decisi di rompere il ghiaccio. "Ehmm....io...io dovrei sistemare le mie valigie...ti andrebbe di aiutarmi?" Mentre glielo proponevo le mie guance andarono a fuoco e mi prese la paura di un suo rifiuto. Anche se mi sembrava una brava ragazza, che aveva voglia di conoscermi. Avevo così tanto bisogno di un'amica! Lei si alzò subito in piedi e, sorridendo contenta, accettò di buon grado. "Se c'è un pò di casino ti prego di perdonarmi!" Rise e io la seguii. Entrammo in camera e osservai la sua reazione. "Be, se questo lo chiami casino, aspetta di vedere casa mia. Ti spaventaresti." Ridemmo insieme e ci mettemmo al lavoro, avevo tanto da sistemare. Aprii le valigie e solo vedere il contenuto, tutto disordinato e mischiato, mi fece passare la voglia. Richiusi le valigie e mi buttai sul letto. Lei mi guardò e, perplessa e divertita, alzò un sopracciglio. Io arrossii. "Non ho voglia!" Ridemmo insieme e anche lei si buttò sul mio letto. Passando una mezz'ora circa sul mio letto a parlare e a scherzare, come due vecchie amiche. Era una ragazza simpaticissima e alla mano, proprio una ragazza della porta accanto. Aveva un grande senso della responsabilità e sembrava più grande dei suoi ventun anni. Era addirittura più piccola di John. La cosa mi stupiva. Erano, ormai, le sette quando ci stancammo di stare in camera. Ci sedemmo sul divano bevendo del succo all'albicocca, il mio preferito, che avevo trovato in frigo, appena aperto. "Allora, Ariadne, di quanto sei?" Si riferiva alla mia gravidanza. "Di cinque mesi, cinque tra pochissimo." "Sai già il sesso?" Mi chiese elettrizata. "No ma sto per prenotare una visita." Bugia. Non sapevo quando l'avrei prenotata ma soprattutto non sapevo come l'avrei pagata. Finché non sarei stata assunta non avevo stabilità economica. Lei sorrise. "John è un bravo ragazzo, a volte può sembrare un donnaiolo e un' irresponsabile ma invece è un ragazzo molto serio e che ne ha passate tante." Questa sua affermazione accese la mia curiosità. Che cosa aveva passato John? Cosa gli era successo? So che forse non era il caso e che forse non erano affari miei ma non resistetti a chiedere informazioni su di lui. Sul suo passato. Ero tremendamente curiosa. "Perché? Cosa gli è successo?" Lei mi guardò negli occhi e si morse il labbro inferiore. Questo mi lasciò intendere che stava per cedere....e invece mi sbagliavo. "Non posso, Ariadne se lui sarà pronto e si fiderá abbastanza di te te lo dirà lui. L'unica cosa che posso dirti e che la sua famiglia è stata ingiusta nei suoi confronti, lasciandolo solo nel momento in cui aveva bisogno di loro." Cosa gli era successo? Purtroppo queste parole non fecero altro che accrescere la mia curiosità quindi decisi di cambiare argomento e di non pensarci. "Da quanto vi conoscete voi?" "Intendi me e John oppure tutto il nostro gruppo?" "Tutto il gruppo" "Ci siamo incontrati alle superiori, io ero al secondo anno come Rose e i gemelli mentre James e John erano al terzo anno. Rose aveva conosciuto John ad una festa e, siccome io ero amica di Rose e John di James e dei gemelli, abbiamo fatto, da li in poi, gruppo unico." Sospirai, era una bella storia e la loro una bella amicizia. Anche a me sarebbe piaciuto farne parte. Eleonor si accorse della mia tristezza. "Che hai, Ariadne?" Sospirai. Con lei mi veniva naturale aprirmi e io sapevo che era un bel segno. "Pensavo a come dev'essere bello far parte di un gruppo così unito e pensavo quanto piacerebbe anche a me farne parte." Lei sorrise, un sorriso dolce è materno. "Sai, Ariadne, le vere amicizie capitano quando meno te lo aspetti. Possono sempre nascere, non hanno un tempo. E, forse, il tuo tempo è arrivato ora." Le sue parole erano mature e incoraggianti, servirono a farmi tornare il buon umore. Forse aveva ragione, forse le mie amicizie erano quelle che stavo facendo adesso. Forse il mio tempo di essere felice e di sentirmi amata era arrivato. Le sorrisi e andammo avanti a parlare ancora per molto, finché l'orologio non segnò le sette e quaranta. Era ora di mettersi in macchina, nonostante la stanchezza. Eleonor prese la sua borsa e io aprii la porta. Io sarei partita da li a poco, il tempo di rendermi presentabile. "Allora...mi è piaciuto molto stare in tua compagnia. Tantissimo." Eleonor sorrise e mi baciò sulle guance. "Ti va di rivederci? Magari giovedì alle cinque?" Io sorrisi, felicissima, e accettai entusiasta. Stava forse per nascere una nuova amicizia? Io speravo vivamente di si. Ci salutammo così, con questa felicità. Chiusi la porta di casa e mi ci appoggiai contro. Mi sentivo stranamente leggera.
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Noi e il frutto del nostro amore
ChickLitJohn, bello e simpatico, gentile e sicuro di sè, ragazzo che tutte vorrebberò ma, per lui, deve essere, rigorosamente, solo per una notte. Ariadne, bella e timida, buona e insicura di sè, ragazza che tutti vorrebberò, rigorosamente, per sempre. Una...