Giorno 6: John
Mi tirai su dal divano e rimasi ad osservarla mentre preparava l'impasto della torta. Prese un cucchiaino da dolce da uno dei cassetti e lo intinse nell'impasto. Lo osservò per qualche minuto e poi, riprendendolo, se lo infilò in bocca. Rimasi ad osservarla a bocca aperta per interminabili secondi. Qualcuno, là sotto, richiamò la mia attenzione
e io arrossii lievemente. Per fortuna, Ariadne, aveva chiuso gli occhi e non si era accorta di nulla. Dovevo mettere fine a quella scena o sarei dovuto correre a farmi una doccia fredda. Quella passeggiata a Central Park sotto il caldo mi aveva cotto e il mio corpo non rispondeva piú. Scoppiai in una risata forzata, in modo da farle aprire gli occhi e da farle sfilare il cucchiaino dalla bocca.
Il mio piano ebbe pienamente successo e lei riaprì gli occhi, arrosendo, e tirò via il cucchiaino. La guardai e ancora non mi era chiara una cosa. "Perché stai facendo una torta?" Lei si sporse dallo sgabello per mettere a lavare il cucchiaio nel lavandino e io ne approfittai per sistemarmi il cavallo dei pantaloni. Tornò a guardarmi e mi sorrise, timidamente. "Ne avevo voglia." Risi di gusto e mi portai una mano sulla pancia, da tanto che ridevo. "Ne avevi voglia ancora prima di mangiare?" Lei fece finta di pensarci su e poi sorrise. "Tutta colpa di quelle dolci gocce al cioccolato che mi chiamavano...e poi stava per scadere e sarebbe stato un vero peccato doverla buttare via." Rise, furba. Io scossi la testa e lasciai perdere. "Sei troppo forte!" Lei mi fece una linguaccia e si alzó dallo sgabello, spostò l'impasto sulla penisola e andò verso il frigo, aprendolo. Rimase ad osservarlo per qualche secondo e poi prese un pò di pancetta e quattro uova . Mi decisi ad alzarmi dal divano e mi stirai. "Che stai facendo?" Lei mi guardò e chiuse il frigo, usando i fianchi. Quella scena mi fece ridere e non mi trattenni. Lei fece una smorfia e io andai verso di lei. "Sto cucinando la nostra cena...se non ti dispiace." Sbuffai. "Faccio io, signorina." Lei mi guardò, socciudendo gli occhi, tentando di avere un'aria minacciosa, e scosse il capo. "Non penso proprio, vai via. Allontanati." Incrociai le braccia. "Non penso proprio, levati tu." Lei sorrise e il suo viso si aprì in una smorfia, a parer mio, minacciosa. Poggiò ciò che aveva in mano sul bancone della cucina e venne verso di me, sempre più minacciosa. Si fermò esattamente davanti al mio viso, be...data la sua scarsa altezza non esattamente davanti al mio viso, e mise le mani sopra il mio petto. Mi spintonò leggermente ma con scarsi risultati. La sua dolcissima bocca si aprì in un ghigno malefico e tolse le mani dal mio petto. Sorrisi, vittorioso. Girai la testa di lato per un attimo e fu questione di secondi. Le sue mani si riappoggiarono sul mio petto e mi spinsero velocemente. Io, preso alla sprovvista, indietreggiai e lei continuò a spingermi, facendomi continuamente indietreggiare finché, poi, non sentì più il pavimento sotto i miei piedi e il mio culo toccò il divano. Lei indietreggiò e mi guardò, soddisfatta di se stessa. Si sfregò le mani tra di esse e, facendomi l'occhiolino, se ne andò. La guardai andare verso la cucina e riprendere ciò che aveva lasciato in sospeso. Mi misi a sedere sul divano, guardando, però, verso di lei. Non volevo che la mia bellissima cucina andasse a fuoco. Prese una padella e la mise sui fornelli, accese il fuoco e la lasciò a riscaldarsi. Riaprì il frigo e tirò fuori il burro. Prese un coltello dal cassetto delle posate, tagliò un pezzo di burro, dopo averlo scartato, e lo mise nella padella. Mise a lavare il coltello e il burro nel frigo. Aggrottai le sopracciglia, perplesso. "Perché metti il burro nella pentola?" Lei mi guardò, con gl'occhi spalancati, come se mi fossero spuntate le corna. Io risi e lei si riprese dal suo stato precario di shock. "Tu!" Mi guardó, minacciosa come sempre, puntandomi, addirittura, il dito contro. "Non sai che per preparare le uova e il bacon bisogna mettere il burro nella padella per evitare che si attacchino ad essa?" Io mi feci serio. No, non lo sapevo e, quindi, era per questo che a me si attacavano sempre alla padella. Ops. Che coglione che ero. Ridendo gli risposi. "Ecco perché a me si attacavano sempre alla padella!" Ariadne si portò una mano sul viso e, sconsolata, si girò, preferendo fare altro che guardare un coglione come il sottoscritto. Sottovoce la sentì borbottare qualcosa di quasi incomprensibile. "....sperando che questa povera creatura non sia scema come il padre." Al sentire quelle parole sussurate persi il sorriso. Non avrei mai saputo se sarebbe stato scemo come me o intelligente come lei. La osservai rompere le uova e buttare poi via le bucce. Pulirsi le mani sullo strofinaccio e un minuto risporcarsele prendendo la pancetta. Tutti piccoli gesti a cui sapevo mi sarei presto abituato. Tutte nuove abitudini che mi sarebbero, forse, mancate. Lasciai perdere i miei pensieri e mi alzai dal divano, volendo andare in camera per mettermi il pigiama. Ariadne, sentendomi, si girò verso di me e mi sorrise. "John, se non ti dispiace, potresti fare la tavola?" Sospirai. "Si, capo!" Lei sorrise, mi ringraziò e si rigirò. Un odore di bacon e di uova riempì l'aria e il mio stomaco borbottó. Andai vicino a lei e presi, dal cassetto sotto quello delle posate, due tovagliette nera e le posai sul tavolo. Presi, poi, i tovaglioli, il mio blu e il suo rosa, la posate e i bicchieri. Appoggiai tutto di fianco alle tovagliette e mi apprestai a prendere i piatti. Lei si girò verso di me per vedere ciò che stavo facendo. "I piatti non metterli in tavola, appoggiali qua di fianco a me." Annuii e la accontentai. Ritornai al tavolo, che altro non era se non la penisola, e sistemai tutto ciò che avevo tirato fuori. La tovagliette le posai una davanti all'altra e posizionai il bicchieri a sinistra e i tovaglioli con le posate e destra. Mi accomodai al mio posto, quello che dava più sul salotto che sulla cucina, e lasciai a lei quello più vicino al bancone della cucina. La vidi spegnere i fornelli e posare del bacon e un'abbondante porzione di uova strapazzato su ognuno dei due piatti. Avevo una fame da lupo. Posò uno dei piatti davanti a me e l'altro al suo posto. Prese dal frigo del thè al limone e dell'acqua. Prima che chiudesse, però, mi venne in mente che era rimasta un'ultima birra. "Ariadne per me potresti prendere la birra?" Lei annuì, posò l'acqua e prese la birra. E poi, finalmente, lei si sedette e iniziammo a mangiare. Nei giorni scorsi avevo sempre cucinato io e, qualche volta, lei mi aveva aiutato, quindi qusta qusta cosa che cucinava lei mi aveva lasciato di sasso. Ingoiai il boccone e mi ripulì la bocca con il tovagliolo. "Come mai oggi hai voluto cucinare tu?" Lei si mise in bocca un pezzo di bacon croccante e mi sorrise. Ingoiò il boccone e rispose. "Non faccio nulla in casa e cucinare mi piace quindi...faccio una cosa che mi piace sentendomi utile." "Non c'è bisogno." "Ma io voglio farlo, punto." Infilò un'altro boccone in bocca e mi guardó, sfidandomi a ribattere. Sbuffai e continuai a mangiare, reduce da una battaglia persa. Spazzolammo via il cibo dal piatto entrambi velocemente e, poi, aiutai Ariadne a sparecchiare. Lei prese i piatti e le posate sporche e le mise nel lavandino mentre io presi i bicchieri, che misi nel lavandino, e le tovagliette e i tovaglioli, che posai nel loro cassetto. Mi stiracchiai e andai verso il lavandino, decidendo di lavare a mano i pochi piatti piuttosto che metterli in lavastoviglie. Aprii l'acqua del lavandino e incominciai a lavare il tutto. Ariadne venne verso di me e mi posò una mano sulla spalla. "Se vuoi li lavo io i piatti." Scossi la testa energicamente, assolutamente contrario. Lei fece finta di fare il broncio e si allontanò da me. "Verso l'impasto nella tortiera e poi informo...questo posso farlo?" Io sorrisi e le schizzai con le mani bagnate, lei rise e prese la tortiera dal forno. Prese un cucchiaio e versò l'impasto nella tortiera, fino all'ultima goccia. Posò nel lavandino ciò che aveva sporcato e mi fece una linguaccia. Accese il forno e lo lasciò riscaldare qualche minuto. Io finì di lavare le cose e mi asciugai le mani sullo straccio lì di fianco. Andai vicino ad Ariadne e assistetti all'infornamento della torta. Una volta infornata Ariadne si tirò su e incominciò a saltellare, come una bambina di cinque anni, per tutta la cucina, battendo le mani. "Sono sicura al centouno percento che verrá buonissima e bellissima!" Risi e lei, smettendo di saltellare, mi fece una delle sue facce buffe. "Spero...perché non voglio morire avvelenato da intrugli non ancora identificati." Risi e lei mi guardò storta. "Malfidente." Mi soffiò contro e, questa volta, fu il mio torno di fargli una linguaccia. Ridemmo insieme e ci dirigemmo verso il divano. Mi misi comodo, nel mio solito posto, e lei si sedette vicino a me, anche se distante. Non si sedeva più vicino a me dalla sera in cui ci eravamo lasciati andare, dalla sera in cui ci eravamo abbracciati. Mi stava lontana come se avesse paura di cedere alle sue emozioni. Io conoscevo le mie emozioni, sapevo che quando stavo vicino a lei il mio mondo si tingeva di mille sfumature diverse. Era da mesi che la cercavo e lei aveva trovato me. Tutte le novità che aveva portato nel mio mondo avevano attuttito quelle emozioni che, però, nei pochi giorni in cui ero stato con lei erano tornate a galla. E ora non sapevo se sopprimere quelle emozioni o provare a lasciarle libere di crescere, andando in contro a tutte le possibili conseguenze. Mi passai una mano sulla fronte: era una situazione più grande di me. Sentì una mano posarsi sul mio braccio e accarezzarmi dolcemente. "Che cosa ti preoccupa?" Io la guardai e restai in silenzio a contemplarla. Addosso aveva il suo solito pigiama e agli occhi portava i suoi soliti occhiali. Era bellissima anche completamente struccata e con i capelli lisci, lasciati liberi e leggermente arruffati. "Quando sei preoccupato o pensieroso ti viene sempre una piccola rughetta in mezzo alle sopracciglia- portò il dito sul mio viso e mi toccò il punto incriminato- e ti tocchi il viso involontariamente." Risi, sorpreso. Questo era un chiaro segno del fatto che mi aveva accuratamente osservato. La ragazza arrossì per ciò che aveva detto. Se mi fossi confidato avrei sbagliato? Forse era troppo presto. Meglio, però, tirarle fuori subito le cose. Stavo per parlare quando un cellulare squilló. Una voce femminile riempì la stanza. Ariadne si alzò e si diresse verso la penisola, dove aveva lasciato il cellulare poco prima. La canzone non mi era conosciuta ma era carina. Carina per essere gentili. La musica si interruppe e venne sostituita dalla voce di Ariadne. "Katy!" Esclamò, felice. Si voltò verso di me e rise. Katy...mi era familiare. Lei aveva nominato questo nome. Ci pensai sopra e mi ricordai quasi subito. Era sua sorella! Ricambiai il sorriso e lei tornò a sedersi sul divano, questa volta un pelo più vicina a me. "Come stai, Katy? Il lavoro? Il viaggio?" Risi. Troppe domande in troppo poco tempo. Lei mi fece una linguaccia e rise. "Io...io sto bene. Sono...sono con John. Ti ricordi?" Lei mi guardò e annuì al cellulare, pur la ragazza, dall'altra parte delle cornetta, non potesse vederla. "Si si. Abbiamo parlato e chiarito. Ma...ma non mi va di parlarne al cellulare. Dovremmo vederci." La osservai attentamente. Non voleva parlarne perché c'ero io. "Quando vuoi. Tranne la mattina. Sai, ho trovato lavoro in una piccola libreria in centro e, per questa settimana di prova, faccio il turno della mattina." Mi rilassai sul divano. "Grazie! Sono veramente felicissima!" "Alle quattro è perfetto. Che giorno?" "Perfetto. Hai perfettamente ragione...dobbiamo assolutamente parlare." Il suo viso si rabbuiò e lei si accigliò. "C'è qualcosa che non va, Katy?" "Così mi preoccupi." "Io...o-okay." Lei si alzò, tutta la vitalità di prima persa. "Ciao...." Chiuse la chiamata e riappoggiò il cellulare sulla penisola. Si girò verso di me e si appoggiò alla penisola, guardandomi. "Era strana al cellulare, come se mi stesse nascondendo qualcosa." "Tipo cosa?" "Non saprei...prima era felice per me e poi, tutto d'un botto, si è rabbuiata." Io alzai le spalle e lei scosse la testa, come per togliersi un dubbio. Si diresse verso la torta, spense il forno e la tirò fuori. Prese uno stuzzicadenti dalla mensola e lo intinse in essa. Lo tirò fuori e lo guardò sorridendo. "Perfetta!" Mi guardò e mi fece l'occhiolino. Mi alzai dal divano anche io e la raggiunsi, prendendo due piatti, due forchettine da dolce e un coltello. Posai il tutto sul tavolo e mi piegai verso di lei, guardandola sott'occhio, sorridendogli. Volevo provare a fargli tornare il buon umore. Presi il coltello e lo poggiai sulla torta. "È un peccato aspettare ancora, non credi?" Detto questo lei mi sorrise, annuì e io affondai il coltello nella torta.P.S. problema risolto! Il server di Wattpad mi ha ritrovato il capitolo ed ora è tutto a posto.
P.P.S. rileggete i capitoli, causa: cambio di qualche nome.
Saluti, Christabel.
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Noi e il frutto del nostro amore
ChickLitJohn, bello e simpatico, gentile e sicuro di sè, ragazzo che tutte vorrebberò ma, per lui, deve essere, rigorosamente, solo per una notte. Ariadne, bella e timida, buona e insicura di sè, ragazza che tutti vorrebberò, rigorosamente, per sempre. Una...