Giorno 3: Ariadne
Finalmente. Finalmente iniziavo la mia vita....o meglio, il mio lavoro. La giornata era iniziata male ma non avevo voglia di rovinare tutto per una delle innumerevoli discussioni. Era il mio nuovo inizio e non avrei permesso a nessuno di rovinarlo. Mi ero fatta una promessa e avevo tutte le intenzioni di mantenerla. Il lavoro, da casa, non distava molto, ovviamente prendendo la metro. Non avendo la macchina dovevo arrangiarmi e, essendo incinta, non potevo permettermi di andare a piedi. Ero proprio davanti alla libreria ed ero nervosa come non mai. E se avessi fallito? E se non andavo bene per quel lavoro? Come avrei fatto a vivere con il mio bambino? Come sarei tornata da John? Come una squattrinata? Troppe domande e troppi se. Basta mettermi in dubbio, io ero forte e sicura di me. Presi un gran respiro ed entrai nel negozio: ero in perfetto orario. Un forte odore di libri mi fece arricciare il naso e sorridere: qui ero nel mio mondo e so che sarei stata bene. Mi richiusi la porta alle spalle e mi diressi verso la cassa del piccolo negozio. Appoggiai la mia borsa sulla cassa e aspettai, guardandomi in giro, che arrivasse Emily o qualunque altra persona disposta ad aiutarmi. Una ragazza bassina, con i capelli marroni, lunghi fino al sedere e con i rasta, mi raggiunse e accolse con uno splendido sorriso. "Ciao! Ti posso essere d'aiuto?" Io sorrisi, imbarazzata, mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi schiarii la voce. "Emm...ciao...io... sarei qui in prova per il lavoro da commessa."Lei mi guardò diffidente e fece cadere lo sguardo sulla mia pancia. Io, infastidita, portai la borsa a coprirla. Lei rialzò immediatamente lo sguardo, intuendo il mio fastidio, e mi sorrise più di quanto non facesse prima. "Sei Ariadne, giusto?- io annuii e gli sorrisi- Piacere, io sono Isbel, piacere di conoscerti!" "Piacere mio." Lei si spostò da dietro il bancone e venne di fianco a me. "Emily mi ha parlato di te! Seguimi che ti faccio vedere dove poggiare le cose e poi ti spiego come funziona qui. Nonostante anche io sia nuova ti hanno affidata a me. Sono contenta che ci sia un'altra ragazza!" In pochi minuti mi aveva già riempito la testa di informazioni. Ne ero felice e questa felicità fece diminuire la tristezza della mattinata. Mi portò nel retro del negozio e mi fece appendere la borsa a un'appendino. Mi diede un grembiule color prugna con il marchio della libreria e infilai il cellulare nella tasca davanti del grembiule. "Ora?" Chiesi a Isbel. Lei mi sorrise e mi portò di nuovo alla cassa. "Allora Ariadne, oggi siamo sole. Gli altri due ragazzi, Adrian e Denny, iniziano entrambi il turno delle tre, esattamente quando finiamo noi, ma questo solo per oggi. I turni variano ogni giorno." Annuì e gli intimai di continuare. "Non è difficile come lavoro: bisogna servire i clienti e preparare il catalogo dei libri presenti in negozio, da aggiornare settimanalmente e stare alla cassa. Non è complicato, ovviamente ci si deve prendere la mano." Ero felicissima, mi sentivo carica e pronta. Non mi pesava fare queste cose, era quello per cui ero fatta. "Oddio, non vedo l'ora di iniziare! Sono sicura che mi ambienterò subito!" Lei rise e mi guardò dolcemente. Già mi stava simpatica, nonostante mi avesse fissato insistentemente la pancia poco prima. "Sembri felicissima di iniziare a lavorare! Poche ragazze sarebbero così felici." Mi toccai il ventre e abbassai lo sguardo. "Nelle mie condizioni chiunque sarebbe felice di avere un qualunque lavoro, anche se questo è più di quello che potessi sperare." Lei diventò seria e mi prese, inaspettatamente, una mano. "Quanti anni hai?" "Diciannove, tu?" "Ventuno. Sono sicurissima che diventeremo buonissime amiche!" Lei mi sorrise e io ricambiai. Rimanemmo a guardarci per qualche minuto, sempre sorridendoci, e poi ci mettemmo al lavoro. Isbel mi mostrò come usare la cassa, registrare gli acquisti e fare gli scontrini, cose che nella mia vita ignoravo. Mi fece vedere rapidamente come catalogare i libri, come registrarne le quantità e come fare gli ordini quando mi sarebberò stati richiesti. Mi spiegò che il turno del lunedì mattina era il più noioso e vuoto e mi disse che, invece, il sabato era il giorno più pieno e impegnativo della settimana. In effetti, da come potevo vedere da me, il lunedì era veramente un giorno vuoto. Erano entrati si e no due clienti che avevano finito per non comprare nulla. Da quando ero al lavoro era passata un'ora e mezza: erano precisamente le dieci e mezza. Dato tutto il tempo libero che avevo in negozio mi esercitai nel catalogare i libri, a fare il resoconto finale delle vendite e chiacchierai parecchio con Isbel. Era una ventunenne simpatica e solare, abituata a stare tra la gente. Prendeva tutto alla leggera e non aveva problemi a lavorare nonostante fosse di buona famiglia. Studiava per diventare psicologa d'infanzia e che stava insieme a Robert da, ormai, tre anni. Vivevano insieme e lui studiava, invece, per diventare medico. Da quello che mi raccontava sembravano una bellissima coppia. Dolce e piena d'amore. In poco più di mezz'ora avevo scoperto tutto di lei. Era, forse, l'unica persona decente che avevo incontrato fino adesso, il che mi rendeva solo infinitamente felice. Ed erano solo ancora le undici della mattina: chissà quante cose mia sarebbero capitate ancora! "Di quanto sei?" La voce di Isbel mi fece sussultare e, per lo spavento, sbattei la testa contro la mensola posizionata sopra i due computer della cassa. "Ahi!" Mi portai automaticamente la mano sul punto della testa che avevo sbattuto e me lo massaggiai per alleviare il dolore. Isbel si portò le mani alla bocca e corse da me. Mi prese per le spalle e mi scosse per controllare che io stessi bene. "Oddio, stai bene?! Mi dispiace così tanto! Non volevo farti spaventare ma soprattutto non volevo farti male!" Sul suo viso era dipinta un'espressione di preoccupazione davvero esagerata ed esilarante. Non mi trattenni e gli scoppiai a ridere in faccia. Lei si allontanò da me e, dopo un attimo di esitazione, scoppiò a ridere anche lei. Mi portai le braccia al ventre per il dolore a causa del troppo ridere e mi appoggia a lei, continuando a ridere come una matta. La guardai e le vidi scendere una lacrima dall'occhio, commossa dal divertimento. "Ti prego basta!" Mi supplicò. Io emisi l'ultima risata e sospirai, sperando di non scoppiare ancora. Lei si asciugò le lacrime e si alzò in piedi saltellando come una bambina piccola. Io sorrisi e mi ritoccai il punto in cui avevo sbattuto. Lei mi guardò e all'improvviso divenne seria, tornò da me e osservò il mio probabile bernoccolo. "Cazzo! È davvero grosso! Mi dispiace un casino!" Io feci una smorfia di disgusto e mi alzai dalla sedia delle casse. "Non fa nulla, tranquilla." Lei abbozzò un sorriso e io scrollai le spalle. "Comunque io sono di quattro mesi.....cinque tra una settimana." Lei annui e mi si avvicinò. Mi ero ricordata della sua domanda. "Posso toccarla?" Io annuii, felice. Mi posò le mani sulla pancia e, dalle sue mani, si irradiò un calore che avvolse il mio piccolo. E poi sentii un dolore forte, non fortissimo ma quanto basta. E poi un'altro e un'altro ancora. Mi portai istintamente una mano sulla bocca e una sulla pancia, felice e spaventata allo stesso momento. Non potevo crederci! Stava scalciando per la prima volta! Svariate lacrime scesero dal mio viso e io non mi affrettai ad asciugarle, avevano tutto il diritto di scendere se il motivo era questo. Saltellai su me stessa e in cambio ricevetti un dolcissimo e doloroso calcio. Il mio piccolo era attivissimo. In uno slancio di felicità abbracciai Isbel e la strinsi a me. Lei ricambiò l'abbraccio e dopo poco ci staccammo. Mi accarezzai la pancia, che un pò mi doleva, e mi sedetti di nuovo sullo sgabello. Isbel mi seguì e sorrise. "Che figata! Come scalciava forte!" Sorrisi. "Solo che adesso mi duole la pancia e mi viene leggermente da rimettere." Lei mi guardò, pensierosa, e poi schioccò la lingua, segno che aveva trovato una soluzione. "Sono ormai le- guardò l'orologio sopra la cassa- dodici, perché non prendi una pausa? Girato l'angolo c'è un bar, ti prendi qualcosa da mangiare e poi facciamo cambio, ti va?" Soppessai la sua proposta. "Ma mi dispiace farti aspettare." "Ma ti pare? Vai tranquilla." Ci pensai su e decisi che era la cosa giusta da fare. "Va bene, giuro che torno presto!" Lei rise e io scappai nel retro del negozio, mi tolsi il grembiule e presi il portafoglio dalla borsa. Uscì dal retro e, salutando Isbel con la promessa di tornare presto, uscii dal negozio. Arriavai in fondo alla via e, girando a destra, vidi subito il bar di cui mi aveva parlato Isbel: il District. Dall'esterno sembrava un bar rustico e accogliente, proprio un bel posto. Attraversai la strada, siccome il bar era dall'altra parte della strada, ed entrai. Quando aprii la porta la campanellina suonò, palesando la mia entrata. Mi sistemai una ciocca di capelli e alzai lo sguardo da terra. Non l'avessi mai fatto. Davanti a me, con grembiule e straccio in mano, c'era John. In tutta la sua bellezza. Mi bloccai e inghiottii a vuoto. Questa non ci voleva. Mi costrinsi a reagire e mi mossi molto lentamente verso il bancone. Il tutto tenendo lo sguardo fisso su di John. Appena mi appoggiai al bancone lui si spostò velocemente davanti a me. "Ariadne?" Annuii automaticamente. "John? Che ci fai qui?" "Io ci lavoro, tu cosa ci fai qui?" Mi avvicinai il più a lui e gli accarezzai una guancia, senza rendermene conto. "Mi dispiace tanto John." Lui si ritrasse e abbandonò lo straccio che teneva in mano sul bancone e uscì da dietro il bancone. Mi prese per mano. "Kevin torno tra pochi minuti, coprimi." Non aspettò la risposta e mi trascinò nel retro del bar. Mi lasciò la mano e si appoggiò al muro davanti a me. "Stamattina è stata colpa mia. Sapevo che Rose non l'avrebbe presa bene ma ho voluto comunque provarci ed è andata come è andata. Quindi scusami." Ero commossa. Tra i primi calci del bambino e queste sue scuse non sapevo cos'era meglio. Ma ora toccava a me chiedere scusa. "Mi dispiace di averti ignorato e di non averti parlato ma ero sconvolta e molto triste. Mi dispiace di averti abbracciato e poi aggredito. Non era mia intenzione ferirti." Lui venne verso di me e mi abbracciò. Stretta. L'abbraccio durò qualche secondo, finché lui non si spostò. "Come mai sei qui?" "Lavoro...lavorerò alla libreria 'House of books'." Lui aprì la bocca stupito e io arrossii. "Come ci sei venuta?" "Un pò a piedi e un pò in metro." A queste parole lui mi guardò contrariato. "Da adesso in poi ti accompagnerò io." Io scossii la testa. "Non se ne parla! Stai già facendo tanto per me non ho bisogno di altro." "Io faccio ciò che voglio. E se voglio accompagnarti a lavoro e venirti a prendere sempre posso farlo." Sorrisi, sconfitta, sapevo che non potevo competere. "Va bene, come vuole lei capo!" Ridemmo insieme e tornammo di là. Lui tornò dietro il bancone e io ordinai due brioches al cioccolato, siccome avevo voglia di dolce, e un succo all'albicocca. "Quanto ti devo?" Chiesi a John alla cassa. "Offre il peccatore." "Non posso accettare." "O accetti o sei fuori di casa." Lo guardai esterefatta e lui scoppiò a ridere, pagando il mio conto. Mi aveva distratto. Maledizione. Sorrisi e gli feci una linguaggia che lui prontamente ricambiò. Eravamo due bambini. "Devo andare John" "Il lavoro ti chiama?" "Purtroppo si." Stavo per uscire quando lui mi richiamò. "A che ora finisci?" "Alle tre." Lui mi guardò sorridente. "Passo a prenderti." Stavo per ri-uscire dal bar quando mi vennerò in mente i calci del bambino. Dirglielo o no? Glielo avrei detto ma non in quel momento e in quelle condizioni. Non sapevo neanche se gli interessava. Uscii definitivamente dal bar. Dovevo tornare al lavoro. Ripercorsi la strada al contrario ed entrai in negozio. Pronta per il pomeriggio.
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Noi e il frutto del nostro amore
Chick-LitJohn, bello e simpatico, gentile e sicuro di sè, ragazzo che tutte vorrebberò ma, per lui, deve essere, rigorosamente, solo per una notte. Ariadne, bella e timida, buona e insicura di sè, ragazza che tutti vorrebberò, rigorosamente, per sempre. Una...