Capitolo 30: Porre fine ad alcuni problemi.

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Giorno 16: John
"Bimba sveglia." Gli lasciai un bacio sulla guancia, non ottenendo però nessuna reazione. Gli lasciai un altro bacio sulla guancia e uno sulla mandibola, ottenendo questa volta un leggero mugolio. Risi. Un bacio sul collo e uno sulla clavicola. Si mosse, venendomi addosso e stringendosi a me. La strinsi tra le mie braccia e le diedi un ennesimo bacio sulla fronte, sicuro che ormai fosse sveglia. "Svegliati cucciola, fallo per me." La vidi sorridere. "Solo se continui quello che stavi facendo." Risi e le baciai dolcemente le labbra, rosee e morbide, che come sempre non deludevano mai."Sei tutta mia, le tue labbra sono mie, il tuo corpo è mio, lei è mia." Mi stupii di quelle parole appena mi furono uscite dalla bocca e, mi resi conto, che erano fuoriuscite direttamente dal mio cuore. Alzò il viso, di scatto, facendomi vedere finalmente i suoi occhi. Erano, nella loro semplicità, maledettamente belli. "Non dire queste cose, John." Corrugai le sopracciglia, confuso. "Perché non posso dire queste cose?" Si alzò, sedendosi a gambe incrociate sul letto, ormai totalmente sveglia. "Perché poi io ci credo e mi illudo che per te sia veramente così. Capisci?" Mi tirai su anche io, colto di sorpresa dalle sue parole. Mi avvicinai a lei e me la tirai sulle gambe, con le sue intorno al mio bacino. "Credo a quello che ho detto e ci devi credere anche tu, voglio che tu ci creda e vorrei che tu pensassi le stesse cose. Perché io sono tuo, okay? Qualunque cosa succeda." Ci guardammo intensamente negli occhi per qualche secondo, senza che nessuno dei due fiatasse. Il senso di colpa premeva ma zittirlo ormai era diventato facile. La guardai avvicinarsi al mio viso fino a posare le sue labbra sulle mie. Ricambiai il bacio dolcemente, senza fretta. Socchiuse le labbra e le nostre lingue si toccarono, sfregando l'una contro l'altra. Ci staccammo ansimanti e con le labbra gonfie e arrossate. Mi sorrise e mi abbracciò, sfregando il naso contro il mio collo. Risi e le baciai una guancia. "Ho invitato i ragazzi, ti dispiace?" Alle mie parole la sentii improvvisamente irrigidirsi. "Ci saranno anche Rose e James?" Stavolta fui io a irrigidirmi. Si, ci sarebbero stati, erano miei amici e gli volevo bene, non potevo allontanarli. "Si, ci saranno anche loro." Alzò il viso e, mordendosi il labbro, abbassò lo sguardo, muovendo le dita sulla sua pancia distrattamente. Mi venne il dubbio che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che non sapevo. "C'è qualcosa che dovrei sapere?" Sospirò e alzò lo sguardo, tornando a guardarmi. "Mercoledì James è venuto in negozio." Sospirai, sconsolato. "Cos'è successo?" "Stavo scherzando amichevolmente con Danny quando, senza accorgermene, mi sono scontrata con James. Gli ho chiesto perché si trovava lì e lui mi ha detto di aver trovato la prova che a me di te non fregasse niente. Mi ha dato dell'approfittatrice e della puttana e..." A quelle parole sentii la rabbia montarmi dentro, come si era permesso di dire quelle cose a lei? Strinsi le labbra in una linea sottile, contemporaneamente ai pugni. Dovevo mantenere la calma. "E cosa?" "...e ha dato della bastarda alla bambina." Imprecai e tolsi da sopra di me Ariadne, mi era impossibile stare seduto. Ero così incazzato che avevo paura di fare qualcosa di cui poi mi sarei pentito. Non solo aveva insultato Ariadne, che già di per se era un buon motivo per incazzarsi, ma aveva avuto anche il coraggio di dire che la bambina non fosse mia. Incominciai a camminare avanti e indietro per la stanza, cercando di scacciare la rabbia ma, purtroppo, vanamente. "John..." Non la lasciai finire. "Vai a cambiarti Ariadne, i ragazzi stanno per arrivare e non voglio ti vedano così." Indossava solo una maglia lunga grigia, che la copriva solo fino a metà coscia. Non volevo che nessuno la vedesse così, solo io potevo. La osservai alzarsi e dirigersi verso la porta. Ma, prima uscire dalla stanza, esitò. Si girò verso di me e mi raggiunse velocemente, ritornando su i suoi passi. Mi prese la mano e l'appoggio sul suo ventre. "Lei è tua ed è qui, io sono qui. Non fare stupidate." Detto questo mi lasciò un bacio sul petto, sul cuore, e se ne andò in camera sua. Mi passai una mano sulla faccia e sospirai. Sarei diventato pazzo. Guardai l'orologio: segnava le cinque e mezza. Tra pochi minuti sarebbero arrivati. Uscii dalla mia camera e andai in salotto, presi una birra e, velocemente, la stappai, prendendone subito dopo un sorso. Riuscì a calmarmi solo in parte. Rabbia, senso di colpa e nervoso non erano una bella accoppiata. In mezzo alla folta nebbia della rabbia il pensiero di ciò che sarebbe successo domani si fece largo prepotentemente, come se non avessi già abbastanza pensieri e preoccupazioni. Presi un altro sorso di birra e mi costrinsi ad arginare il pensiero, convinto che tutto sarebbe andato per il verso giusto e che tutto sarebbe rimasto segreto. Sarebbe stata una semplice chiacchierata, giusto per placare la mia curiosità sull'identità della ragazza e su ciò che sapeva. Feci per prendere un'altra sorsata quando il citofono suonò. Lo raggiunsi e schiacciai il pulsante di apertura del portone, non avevo bisogno di sentire la loro voce, sapevo benissimo chi fossero. Aprii la porta dell'appartamento e tornai alla penisola, sempre con la birra in mano. Fu questione di minuti e delle voci incominciarono ad avvicinarsi sempre di più alla porta aperta fin quando i ragazzi non apparvero sulla soglia della porta, tutti sorridenti, o quasi. Appena il viso di James entrò nella mia visuale tutto ciò che avevo fatto per calmarmi fu spazzato via dal ricordo delle parole di Ariadne. Abbandonai la birra sulla penisola e, nell'esatto momento in cui lei entrò nella sala e Eleonor fece per parlare, io mi scagliai contro James. Tirai un pugno dritto dritto sul suo viso, mandandolo a sbattere violentemente contro il muro. Mi ritrassi, ansimando, muovendo la mano dolorante mentre Eleonor si fiondò da James, aiutandolo a rimettersi in piedi. "Ma cosa cazzo ti è preso John?! Sei per caso impazzito?" Ignorai le sue grida e incatenai i miei occhi a quelli di colui che consideravo come un fratello.  "Se ti azzardi ancora a insultare Ariadne o la mia bambina incasserai ben più di un pugno, capito?!" Sostenne il mio sguardo, impassibile, il che mi fece innervosire solo di più. "Ti è chiaro o no?!" Si sistemò la maglia e si avviò verso la porta, ancora aperta, ma, prima di uscire, si voltò verso di me. "Mi dispiace di averti fatto incazzare, John. Se vuoi che io non interferisca più nella tua vita va bene ma non smetterò di sostenere la mia idea, ovvero che ciò che stai facendo è sbagliato." Detto questo se ne andò. Guardai gli altri. Rose aveva le mani sulla bocca, ancora scossa dal mio gesto, e fu la seconda ad andarsene, seguendo James. Sospirai e guardai gli altri. "Mi dispiace che abbiate dovuto assistere a questa scena, scusatemi. Vi avevo invitati qui solo per dirvi che aspettiamo un bambina, una femmina ma, purtroppo, ho rovinato la serata. Se volete siete liberi di andarvene." I gemelli, a quelle parole, senza dire niente uscirono dalla casa, lasciando sola Eleonor. Sospirò e si diresse dietro di me, dove presumevo ci fosse Adny. Mi girai a osservarle. "Sono felice per voi, molto felice. Sapete che io sono dalla vostra parte- e si girò verso di me- ma ora devo andare a sistemare il casino che tu hai combinato, per quanto io ti possa capire hai sbagliato." Annuii, ma non voleva dire che io fossi d'accordo con lei. "Domani vengo qui per le due, voglio stare un pò con Adny." Detto ciò lasciò un bacio sulla guancia di lei  e salutò me con un sorriso, per poi andare via. Mi affrettai a chiudere la porta e a mettere la birra in frigo, ancora scosso dagli eventi. Mi diressi verso la dispensa ma mi bloccai, senza neanche sapere cosa stessi facendo, era ancora presto per cenare. Mi passai una mano sul viso e mi massaggiai le tempie, sentivo la testa scoppiare. Ad un certo punto sentii una mano percorrere la mia schiena lentamente fino ad arrivare al collo e li fermarsi. La mano incominciò a muoversi, massaggiando e sciogliendo i miei nervi tesi. Chiusi gli occhi e sospirai, felice. Ariadne era per me un toccasana. Mi girai verso di lei e la sua mano si ritrasse. La maglia larga era scomparsa e ora indossava dei pantaloncini in tuta grigi e una canotta bianca. Stava maledettamente bene anche così. Ci guardammo per qualche secondo e poi lei, delicatamente, mi prese la mano, trascinandomi verso il divano. Si sdraiò sulla parte più lunga di esso e io la seguii, sdraiandomi e poggiando la testa sulle sue gambe, attento a non schiacciare la bambina. Sospirai, beatamente. Le sue mani s'infiltrano tra i miei capelli e incominciarono a massaggiarmi dolcemente la cute. Chiusi gli occhi. "Ci sono io con te." Sorrisi e sperai che tutto il male intorno a noi svanisse, che la sua mano protesa si ritirasse in una nuvola di tranquillità.

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