Capitolo 3: Rimorsi e Chiarimenti.

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Giorno 3: John

Una porta sbattè e io alzai di scatto il viso. Sbattei gli occhi per abituarmi al buio e notai che la porta della camera di Ariadne era spalancata e che dal bagno chiuso proveniva un filo di luce e degli strani rumori. Dopo la disastrosa serata della domenica, dopo aver chiamato innumerevoli volte il nome di Ariadne e dopo aver bussato innumerevoli volte alla sua porta mi ero accasciato a terra, vicino alla porta che dava sul corridoio, poco distante dalla camera di Ariadne e fin troppo vicino al bagno. Non avevo avuto voglia di tornare di là, dagli altri, ma soprattutto non avevo avuto voglia di tornare di là da Rose. Stupida Rose, se non fosse stato per lei ora tutto questo non sarebbe successo. Solo James si era azzardato a raggiungermi, meritandosi, così, una riconoscente sfuriata da parte mia. Rimasi per qualche secondo così, imbambolato, a rimuginare su tutto...fino a quando i rumori provenienti dal bagno si fecero più forti e preoccupanti. Mi alzai, quindi, e copri la distanza che mi separava dal bagno e bussai ma, dall'altra parte, non arrivò nessuna risposta. Mi avvicinai di più e posai la mia mano sul pomello argentato della porta, lo girai e la porta si schiuse, come invitandomi ad entrare. L'aprí di più, con delicatezza, e vidi Ariadne piegata sulla tazza del water a vomitare, dio sa solo che cosa. Aprì di scatto tutta la porta, fregandomene di svegliare tutti gli altri, e corsi verso di lei, tirandogli su i capelli e mettendogli una delle mie mani fresche sulla fronte, per smorzare il suo, eccessivo, calore corporeo. Rimanemmo così per parecchi secondi, lei che lottava contro i conati e io che l'aiutavo a vincere, fino a quando, sfinita, non si lasciò andare contro il mio petto, chiudendo gli occhi e respirando a fatica. Lei alzò il viso e i nostri sguardi si fusero, marrone nel marrone, identici, e poi mi sorrise, riconoscente. Si mosse leggermente e io sentí un noto rigonfiamento all'altezza del cavallo e i pantaloni diventarono improvvisamente più stretti, chiusi gli occhi e sospirai, questa non ci voleva. La scostai leggermente, per non avere il suo magnifico corpo a contatto con il mio e per non farle notare il rigonfiamento. Ma, evidentemente, feci la mossa sbagliata perché lei l'ho prese come un rifiuto e quindi si staccò di scatto e mi diede le spalle, coprendosi il volto con le mani, tanto che le parole uscirono smorzate."Oddio...che vergogna....i-io scusa! P-puoi andare via...non sei obbligato ad aiutarmi" Mi alzai di scatto, punto in viso. Non era possibile! L'avevo aiutata e lei continuava a dubitatare di me, gli avevo offerto un posto sicuro dove stare e non gli chiedevo di pagare neanche un centesimo e come mi ripagava lei? Dubitando di me? Non ci eravamo, evidentemente, capiti. Se volevamo che questa convivenza temporanea andasse bene dovevamo fidarci l'uno dell'altro. Ed io ero pronto a fare di tutto per far si che tutto andasse bene. Almeno per i prossimi mesi. Mi diressi velocemente verso la porta e con uno scatto la chiusi e controllai l'ora: le cinque della mattina e poi tornai verso Ariadne. Mi chinai su di lei, che era rimasta, tremante, seduta a terra al freddo, e la presi in braccio, stile sposa, per poi poggiarla a sedere sul water, ovviamente chiuso. La misi giù comoda e gli asciugai le lacrime che, ostinate, continuavano a scendere lungo le sue morbide guance, il tutto sotto il suo sguardo perplesso. Sorrisi. 1-0 per me! Mi chinai per scostarle una ciocca nera ribelle ma lei mi blocco il braccio, afferandomi per il polso. E l'occhio mi cadde sulle sue mani, piccole e delicate, con le le unghie lunghe e ben curate, smaltate di giallo, oserei dire giallo uovo, ma non ero una donna quindi non me ne intendevo. "Cosa stai facendo, John? Non devi aiutarmi, non voglio la tua pena." Tolsi la sua mano dal mio polso e mi alzai, presi un asciugamano e mi avvicinai al lavandino per bagnarlo. "Ariadne, basta, non sono un mostro, voglio aiutarti e lo farò, fin che tu starai qui con me sarai una mia responsabilità." Dopo aver bagnato l'asciugamano mi girai e la ritrovai seduta dove l'avevo lasciata ma con il viso segnato dalla tristezza e dalla rabbia. "No! No! Non sono una tua responsabilità, di nessuno! Tu hai detto chiaramente che ci vuoi fuori di qui al più presto! E ora mi dici che mi vuoi aiutare? Be, sai, scusa se non ci credo." Mi appoggiai al mobile del bagno e aspettai che finisse la sua sfuriata, con calma, per niente scosso, anche se quello che aveva detto era vero. Dovevo chiarire. La osservai mettersi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, cosa che faceva spesso, e incrociare le braccia, mettendo il broncio. Quando notó che la stavo fissando strinse le braccia mettendo così in risalto il suo seno abbondante, che avevo già avuto il privilegio di vedere e di fare altro. E l'occhio mi cadde proprio là così i ricordi di quella sera si ripresentarono: i suoi baci, i suoi gemiti, i suoi graffi sulla mia pelle...stop! Mi stavo perdendo e qualcuno si era già risvegliato. Pregai che non lo notasse. Mi schiarí la voce, cercando di riprendere il controllo dei miei pensieri ma soprattutto del mio corpo. "Mi mandi in confusione..." Il suo timbro era così basso che faticai a sentirla. Sorrisi, mi abbassai al suo livello e, mentre la ripulivo dai piccoli segni del vomito e la rinfrescavo, parlai. "Ti confondo, eh?- risi e lei mi trucidó con gli occhi- Allora, cambiando discorso, voglio aiutarti perché voglio, sono pronto a starti accanto, a fidarmi di te e di essere amici, ma sopratutto voglio che tu ti fidi di me. E mi dispiace, molto, per quello che ti ho detto l'altra volta, puoi stare qui quanto vuoi ma....." "Ma non vuoi prenderti la responsabilità di un bambino e quindi vuoi che me ne vada, lo so- i suoi occhi diventarono immediatamente lucidi e la sua voce si affievolí- ....lo so." Mi fermai e mi girai dall'altra parte, non volendo vederla, non volendo vedere quelle lacrime che sapevo stava trattenendo in quei bellissimi occhi. Mi rigirai e finí di ripulirla, cambiando discorso. "Queste....queste nausee ti vengono spesso?" "Si, è uno degli effetti collaterali dell'essere incinta...purtroppo. " "C'è ne sono altri di questi effetti collaterali?" La osservai annuire con convinzione. "Ho cercato su internet e, come effetti collaterali, ho trovato le nausee, la voglia di cibo, cambi di umore improvvisi, una ipersensibilità e..-la vidi arrossire da capo a piedi-....e...e basta, e già, e basta." Non me la raccontava giusta. Da dove era saltato fuori tutto quel rossore e quella vergogna? Mi stava nascondendo uno degli effetti. Risi e lei arrossì. "Mi stai dicendo tutto, vero? Sai, se devo aiutarti, mi devi informare di tutto." Lei si alzò di scatto lasciandomi come uno scemo con la mano alzata, con l'asciugamano. "Oddio John, n-non voglio costringerti ad aiutarmi! Non voglio obbligarti a fare qualcosa che non vuoi, finiresti per odiarmi e io...e io non voglio!" Tirò su col naso a nascose le lacrime alzando gli occhi al cielo. Mi alzai, buttai a terra l'asciugamano e mi chinai su di lei, che era notevolmente più bassa di me, e gli appoggiai le mani sul viso, incastrando il suoi occhi con i miei. "Ariadne, non pensarlo neanche per sbaglio. Non sai, dopo quella bellissima notte, quanto io ti abbia cercato e sperato di rincontrarti e quando ti ho visto, quella maledetta sera, davanti alla mia porta sono stato felice e pur non volendo questo bambino io voglio aiutarti finché potrò. Fidati di me." Le asciugai gli occhi e le lasciai un casto bacio sulla fronte. Lei annui e mi abbracció, stringendomi a se. Si appoggiò al mio orecchio e mi sussurrò: "Grazie, non saprei come ringraziarti, lo ricorderò e te ne saremo per sempre grati." La strinsi a me e poi dolcemente la lasciai andare. "Quindi? Amici?" E gli porsi la mano. "Amici" concordó lei e mi strinse la mano, decisamente forte. "Che ore sono?" Alzai il polso e controllai l'orario: erano le sei in punto. Era passata un'ora, ed era passata in pochissimo, tanto che non me ne ero neanche accorto. "Sono già le sei." Lei si portò le mani sulla bocca ed esmise un leggero urletto. "Oddio! Sono già le sei, tra tre ore devo essere al lavoro e devo prepararmi, ma ho sonno e..." Non la lasciai finire di parlare. "Ehi tranquilla, io devo essere a lavoro per le dieci e mezza, quindi adesso vai in camera e ti riposi e poi io alle otto ti sveglierò, ok?" "Ok, e grazie." Gli sorrisi e alzai le spalle. Lei mi sorrise timidamente e scappò dal bagno, si vedeva che era stanca e spossata. Mi portai una mano sul viso e me lo copri, sfregandomelo, come per cancellare la stanchezza e la sensazione di colpa che mi stava attanagliando da ormai tre giorni. Sbuffai e mi diressi verso la porta e uscì dal bagno, spegnendo la luce. "John" Guardai il mio interlocutore e chiusi definitivamente la porta sbattendola, tanto che lo vidi sussultare. "James" Lo imitai. "Sai che ci devi delle spiegazioni, vero? Noi siamo i tuoi migliori amici e abbiamo il diritto di sapere, di qualunque cosa si tratti. Noi ci saremo." Sopirai e annui. "Lo so bene, e sono pronto a spiegarvi tutto." Lui sorrise, un sorriso sincero, e mi fece segno di andare in salotto. Lo seguì e quando raggiungemmo il salotto l'unica cosa che non mi aspettavo era di trovarli tutti alzati a chiacchierare. Appena entrai nella stanza tutti si zittirono e la mia attenzione venne attirata da Rose che se ne stava in un angolo a limarsi le unghie, senza accorgersi di me. Scossi la testa. Li osservai tutti e mi sedetti sulla poltrona ad angolo del salone-cucina, proprio quando Rose mi notó e sparò la bomba. "Chi cazzo è quella e cosa ci fa a casa tua, J?" Sbuffai. La odiavo quando faceva così, pensava che io fossi di sua proprietà. "Lei è Ariadne, una ragazza di diciannove anni che ho incontrato a una festa cinque mesi fa, siamo stati a letto insieme e poi l'ho completamente persa di vista. Da quel giorno non ho fatto che pensare a lei e a quello che avevamo condiviso e da quel giorno non sono più riuscito a stare con una ragazza, il suo ricordo mi deconcentrava." Tutti avevano gli occhi puntati su di me e mi fissavano, pronti a sostenermi, qualunque cosa io gli avessi detto. Rose mi guardava con gli occhi tristi, sapevo quello che provava ed era quello che avevo provato io in passato.....con lei. Ma questa era un'altra storia. "E.....?" Questa volta fu Eleonor a parlare, la seconda ragazza del nostro gruppo. "Fino a quando, tre giorni fa, non me l'ha sono ritrovata sulla porta di casa, provvista di valigie. La lasciai entrare in casa e mi chiese ospitalità per qualche mese perché...." Mi fermai un attimo e mi passai la mano sul viso, pronto a sparare la bomba. Ma sapevo che loro sarebbero sempre stati con me...quasi tutti. Tutti mi fissavano e, all'unisono, ripeterono le ultime parole che io avevo detto. "Perché lei è incinta, aspetta un figlio, mio figlio. Quella notte non avevamo usato precauzioni, presi dal momento. I suoi genitori l'hanno cacciata da casa e io ero l'unico che poteva aiutarla." Una volta finito di parlare osservai le espressioni di ognuno: Rose aveva uno sguardo duro e sfigurato dalla rabbia, Eleonor aveva gli occhi lucidi e mi sorrideva materna, James era sconvolto e non riusciva a spicciccare parole mentre i gemelli Tom e Chuck sorridevano, un sorrisino malizioso....non sarebbero mai cambiati. Rimanemmo in silenzio per lunghi e atroci minuti, senza che nessuno spicciccasse parola. Avevo paura, avevo paura che i miei amici potessero giudicarmi e non approvare le mie decisioni. Fu Eleonor a rompere il silenzio per prima. "John...non hai finito vero?" Scossi la testa. "Quindi..." mi spronó. "Quindi ho deciso di ospitarla da me, per tutto il tempo e i mesi di cui ha bisogno, ma...gli ho anche detto che prima che il bambino nasca lei dovrá essersene andata, perché non voglio responsabilità." James si alzò in piedi e si avvicinò a me, mi posò una mano sulla spalla e mi sorrise, gentile e comprensivo. "Se è questo che farai, noi ti staremo acccanto e ti aiuteremo." Guardai tutti gli altri e a turno mi sorrisono e annuirono, acconsentedo ad accompagnarmi in questo casino, tutti tranne Rose. Spostai lo sguardo su di lei e la guardai negli occhi, sfidandola ad abbandonarmi, a non starmi accanto. La vidi deglutire. "S-Stará qui solo provvisoriamente, g-giusto? Solo p-per pochi mesi?" Annuí. Sapere che riteneva Ariadne un pericolo e che pensava solo a se stessa e ai suoi interessi anche in questa situazione, mi faceva male. Ma lei, per me, era importante, nonostante tutto. Rose sospirò. "Ok." Liberai un sospiro e Eleonor mi guardò. Mi sorrise, si alzò dal divano e mi venne ad abbracciare. La strinsi a me. Eleonor era sempre stata con me e per me era come una sorella. El accostò la bocca al mio orecchio e la senti sospirare. "E la aiuteremo. "

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