Giorno 28: John
Uscii dal District e mi incamminai verso la macchina. Avevo parcheggiato abbastanza vicino e il tragitto fu breve e veloce. Mi sentivo molto stanco nonostante non avessi fatto molto, il pomeriggio era stato tranquillo e pochi clienti si erano presentati al locale. Forse la mia stanchezza era dovuta alla sera precendente. Avevo passato gran parte della notte a parlare con Ariadne che non riusciva a dormire per il nervosismo e l'ansia che aveva, e che, di conseguenza, non aveva fatto dormire neanche me. Ero veramente distrutto. Tanto timida quanto chiacchierona, quella ragazza parlava tanto e veloce. Sorrisi. Erano passate solo poche ore da quando ci eravamo visti l'ultima volta e già mi mancava. Aprii la macchina, entrai e poi partii. Il viaggio verso casa, al contrario, fu tutt'altro che veloce. C'era parecchio traffico, che di solito non c'era, dovuto a un incidente che aveva coinvolto un'auto e una moto. Sperai che non fosse successo niente di grave, sapevo bene quanto poteva essere pericoloso e letale un incidente del genere. Una volta superato lo scontro il traffico diminuì e io arrivai velocemente a casa. Uscii dall'auto e la chiusi, per poi dirigermi verso casa. Dopo qualche minuto aprii la porta dell'edificio, presi l'ascensore e arrivai al mio piano. Suonai il campanello e sentii al di là della porta dei rumori strani, di cose che sbattevano, di sportelli che si chiudevano. Preoccupato tirai fuori le chiavi e subito aprii la porta. Chiusi la porta alle mie spalle e Ariadne si girò di scatto verso di me. Mi guardò e io la guardai. Aveva la bocca piena e lo sguardo colpevole di chi sapeva di aver fatto qualcosa che non doveva. Alzai un sopracciglio e la mia attenzione fu catturata dalla busta di una delle mie brioches che giaceva di fianco ad Ariadne. Lei seguì il mio sguardo e inghiottì. Sorrise, innocentemente. Io mi avvicinai, minaccioso, ma con la risata pronta a scoppiare. "Hai mangiato una delle mie brioches?" Scosse la testa. "E quella?" Indicai la confezione. Alzò le spalle. Risi e mi fiondai su di lei, pronto a prenderla. Lei corse via, correndo in camera mia, ma la sua corsa durò poco. Ben presto si ritrovò contro il muro. Io mi avvicinai, minaccioso. "Mi arrendo, mi arrendo! Sono stata io a mangiarla!" Risi e lei con me. Mi avvicinai e la baciai sulle labbra teneramente. "Sei proprio una bimba cattiva!" Lei sorrise e scosse la testa. "La prossima volta vedi di non dirmi di non fare una cosa perché... sicuramente la farò." Scossi la testa, cosa dovevo fare con lei? Ci staccammo e, siccome eravamo in camera mia, incominciai a cambiarmi. "Come stai?" Mi tolsi le scarpe e le calciai in un angolo della stanza insieme alle altre e mi tolsi i calzini. "Si dai, tutto bene. Solo qualche scalcio veramente doloroso e un po' troppa noia." La guardai e le sorrisi. "Avrò a che fare con un'altra bimba cattiva allora, povero me!" Lei alzò gli occhi al cielo e mi spinse scherzosamente. Ridemmo e io mi tolsi la maglia e i pantaloni e indossai dei bermuda in tessuto e una canottiera vecchia. "Tu, tutto bene?" Mi buttai sul letto e scossi la testa. Sentii il letto infossarsi sotto il peso di Adny e la sua mano accarezzarmi la schiena. "Perché no?" Mi girai sul fianco per guardarla e la attirai delicatamente tra le mie braccia. "Non è andata bene perché per colpa di qualcuno sono rimasto quasi tutta la notte sveglio e poi...e poi mi mancavi." Mi guardò, mi strinse tra le sue braccia dolcemente e mi baciò. "Anche tu mi sei mancato, John. Ormai non riesco più a fare a meno di te." Era dolcissima. Appoggiai il mio viso nell'incavo del suo collo e restammo così per quella che mi sembrò un'eternità. Ci staccammo, poi, e ci alzammo dal letto. "Mangiamo qualcosa?" Ariadne annuì e poi si bloccò. "Però dopo dobbiamo fare una cosa importantissima." La guardai, preoccupato. "Mi sono dimenticato qualcosa?" Annuì. "Dobbiamo fare le valigie." Sospirai, pensavo fosse qualcosa di più importante. Alzai le spalle e mi diressi verso la cucina. La sentii seguirmi. "Non sei in ansia? La valigia è una cosa importante! E...e..." La guardai e scoppiai a ridere. Lei si bloccò e mi guardò con il sopracciglio alzato. Aspettò pazientemente che io smettessi di ridere e poi parlò. "Riesci a prendermi sul serio?" La guardai, ci pensai e poi scossi la testa. Lei alzò gli occhi al cielo e poi mi guardò sadicamente. "Tanto non mi scappi caro, farai con me le valigie, che tu lo voglia o no." Le mi si avvicinò e io portai la mano sulla fronte, come nei saluti militari. "Si, capo!" Rise e scosse la testa, sconsolata. Se volevo ero proprio un coglione. Tornammo seri e chiacchierando del più e del meno preparammo da mangiare. Io preparavo i macaroni cheese mentre lei faceva l'unica cosa che era in grado di cucinare...l'insalata. E, il bello, era che riusciva a sbagliare anche quella, ogni volta aggiungeva troppo aceto. Apparecchiai di tutto punto e lei portò in tavola le pietanze. Non feci in tempo neanche a sedermi che lei aveva già iniziato a mangiare. La guardai stupita e lei sorrise timidamente. "Ho un po' di fame..." Risi. "Giusto un po', né?" Rise anche lei e continuammo a mangiare. Una volta finito sparecchiammo e riempimmo la lavastoviglie con i piatti e le posate sporche. Lei mi passava le stoviglie e io le mettevo nell'elettrodomestico. Una perfetta squadra. Una volta finito ci sedemmo sul divano per riposarci un po'. Guardai l'orologio: erano le nove. "È tardi." Guardò anche lei l'ora. Scattò in piedi e mi fece segno di fare la stessa cosa "Vero! Perciò muoviamoci a fare le valigie così poi possiamo andare a riposare, visto che domani dobbiate svegliarci praticamente all'alba." Non ce la potevo fare. Chiusi gli occhi e scossi la testa. "No, ti prego. Non puoi farla tu per me?" Lei tossí fintamente e io la guardai. Alzò un sopracciglio. "C'è una dettaglio che ti sei dimenticato." "Giusto, sei incinta." Mi tese la mano e io l'afferrai, alzandomi. Eravamo un passo l'uno dall'altro. "No, che non sono la tua schiava." Detto questo se ne andò, diretta nella sua stanza. Io andai nella mia e tirai fuori uno dei tanti borsoni che usavo per la palestra. Da quanto era apparsa Adny ormai non andavo più neanche a correre, cosa che prima facevo quasi ogni giorno. Ma ero deciso, non appena sarebbe nata la bambina, a ricominciare ad allenarmi. Non che mi sentissi debole o che avessi perso muscoli ma perché volevo stare in movimento, avere qualcosa con cui sfogarmi. Aprii il borsone e poi l'armadio. Dovevamo stare via solo tre giorni quindi avrei portato solo il necessario. Dopo qualche minuto di riflessione decisi cosa avrei portato. Presi un unico paio di pantaloni, un paio di magliette, molto semplici, di cui una nera e una bianca, un paio di boxer, due paia di calze e decisi che avrei usato per tutti i giorni sempre le stesse scarpe, ovvero le Stan Smith nere. Buttai tutto dentro alla rinfusa e chiusi il tutto. Le cose dal bagno le avrei prese il giorno della partenza e quindi ne approfittai per prepararmi già i vestiti per il giorno dopo. Scelsi dei bermuda grigi al ginocchio e una maglietta blu notte, presi anche intimo e calze e poggiai il tutto sulla mia poltrona. Diedi un'occhiata alla finestra e sorrisi. Amavo New York e separarmene mi dispiaceva. Ma speravo che quei giorni passassero in fretta, in modo da poter tornare qui e vivere la mia vita con Adny e la piccola. Mi allontanai e decisi di vedere a che punto fosse Ariadne. Avevo un sonno allucinante e speravo solo di poter sdraiarmi sul letto il prima possibile con accanto, possibilmente, lei. Attraversai il corridoio che ci separava ed entrai nella sua camera. Era seduta sul letto, indecisa tra due pantaloni. Mi sedetti di fianco a lei e si girò. "Quale porto? Bianco o nero?" Ci pensai. "Nero, è meno sporchevole." Annuì. "Hai ragione." Si alzò e ripose quello bianco nell'armadio. "Ho quasi finito eh, devo solo scegliere cosa indossare domani." Annuii e mi guardai intorno. I miei occhi furono catturati dal borsone, quasi mezzo vuoto. "Strano che il tuo borsone sia così vuoto...chissà perché me lo immaginavo pieno dato il tuo essere femmina." Lei si girò e mi guardò, con un sorriso da furbetta sul viso. "Ho ancora dei vestiti a casa e sono intenzionata a portarli via tutti." La guardai e mi lasciai cadere sul letto. Furba lei. La guardai. "Perché non ti metti un vestito? Così sarai comoda sicuramente." Ci pensò e poi ne prese uno dalla gruccia. "Hai ragione, metto questo con le ballerine." Il vestito era molto semplice, la parte alta aveva uno scollo a V e le spalline erano molto sottili, la parte bassa, invece, scendeva morbida e dritta e arrivava appena sotto il ginocchio. Il vestito era rosso, ma non un rosso scuro, era un rosso vivace, chiaro e luminoso, che stava benissimo con i suoi lunghi capelli neri. "Perfetto." Arrossì e lo posò su una sedia lì vicino. Prese anche l'intimo, che con fatica non guardai, ed ebbe finito. Io spostai il borsone a terra e lo misi di fianco al letto. "Possiamo andare?" Ci pensò e annuì. Spegnemmo tutte le luci e poi andammo in camera mia. Ci sdraiammo sotto le coperte e ci stringemmo l'uno all'altro. Sentivo il suo corpo avvilupparsi al mio e ogni sera mi chiedevo come io facessi a resistere. Sospirai, la baciai sulla fronte e spensi la luce. "John?" "Si, Adny?" "Mi prometti che domani non mi lascerai mai la mano? Per nessun motivo al mondo?" Me la strinsi addosso. "Te lo giuro piccola, te lo giuro." Poggiai una mano sul suo ventre e mi addormentai così, felice di star toccando quella meraviglia.
STAI LEGGENDO
Noi e il frutto del nostro amore
Chick-LitJohn, bello e simpatico, gentile e sicuro di sè, ragazzo che tutte vorrebberò ma, per lui, deve essere, rigorosamente, solo per una notte. Ariadne, bella e timida, buona e insicura di sè, ragazza che tutti vorrebberò, rigorosamente, per sempre. Una...