Capitolo 9: Insulti poco velati e dolcezza.

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Giorno 4: John
Ero stanco morto. Erano solo le sette e io dovevo stare al lavoro ancora per un'ora, a mio parere troppo tempo. Odiavo fare il turno di sera, perché era il più pesante anche se non invidiavo chi aveva il turno di notte. La sera era il più pesante perché c'erano tutti quei ragazzi che non potevano stare fuori la sera tardi e che quindi ne approfittavano e tutte quelle persone che tornavano dal lavoro e cercavano un pò di svago prima di ritornare nella tranquillità di casa. A quell'ora si poteva vedere di tutto. C'erano gruppi chiassosi di ragazzi, qualche signora anziana che mischiava pillole e caffè e uomini e donne in tailleur che sorseggiavano caffè o magari facevano un aperitivo di gruppo. E io mi beccavo sempre i giovani, quelli con gli ordini più disparati possibile. C'era quello che voleva un panino e quello che voleva la fetta di torta o c'era quello che voleva il caffè e quello che voleva la spremuta. Insomma, secondo me neanche loro sapevano quello che volevano. Con me oggi, di turno, c'era Barbara e questo certo non aiutava. Mi stava incollata come un cozza. Sapevo di piacergli da quando, durante un'uscita in un pub con tutto lo staff del District, ubriaca, mi aveva detto di piacergli e mi aveva chiesto di andare in un posto più appartato. Io avevo gentilmente rifiutato e da quel giorno mi limitavo a parlargli a lavoro e solo se strettamente necessario. E lei non nascondeva certamente il suo disappunto. Lavai le tazzine usate recentemente e le asciugai, riponendole ordinatamente. All'improvviso si sentirono degli schiamazzi provenire dall'entrata del bar: naturalmente era un gruppo di giovani ragazzi. Di solito i gruppi di giovani ragazzi erano i più rumorosi, quelli che lasciavano più mance e, se c'erano più ragazze, più numeri di cellulare. Non che la cosa non mi dispiaceva: le mance erano sempre utili. I numeri un po meno e gli schiamazzi mi servivano solo per tornare a casa con il mal di testa. Mi staccai dal mio lavoro e, lasciato passare un po' di tempo, andai da loro per prendere le ordinazioni. Appena arrivai al loro tavolo ci fu un coro di 'ohhhh' e sbuffi. Io scossi la testa e sorrisi al gruppo, ammicante. Più uno era cordiale e disponibile più i clienti erano cordiali e gentili. Presi il taccuino delle ordinazioni, pronto a scrivere. "Ciao, che vi porto?" Un ragazzo alto, spalle larghe e sguardo minaccioso alzò lo sguardo e mi squadrò dalla testa ai piedi, attirando a se la ragazza vicina a lui: come se potesse interessarmi un sedicenne quando a casa avevo, ad aspettarmi, una stupenda donna. Scossi la testa e ripudiai i miei pensieri: lei era a casa mia per necessità, non per piacere...anzi. Fu lo stesso ragazzo a parlare. "Vorremmo due crodini, di quelli rossi, un'aranciata, un tè al limone freddo e due coche e ci porti anche delle patatine, tipo aperitivo." Annotai tutto sul taccuino e sorrisi al gruppetto. "Perfetto, torno subito." Finito di parlare tornai al bancone e mi affrettati a pendere ciò che era stato ordinato. Presi il pacco delle patatine e ne versai un pò in un paio di vaschette, presi due crodini rossi, li stappai e, dopo aver preso due bicchieri, li versai dentro essi. Presi una lattina di aranciata, una lattina di tè al limone freddo e due coche e li versai in altri bicchieri. Caricai il tutto su un vassoio rotondo e, stando attento a non farlo cadere, lo portai al tavolo dei sei ragazzi. "Ecco a voi le patatine, le coche, i crodini, l'aranciata e il tè. Come ordinato." Posai il tutto sul tavolino, intorno al quale erano stipati i ragazzi, e sorrisi cordialmente. Mi ringraziarono e me ne tornai al bancone, a osservare tutto da lì. Avevo lavato e asciugato tutto, sistemato e ordinato tutto. Non c'erano nuovi clienti e, perciò, nulla da fare. Anche Barbara non stava facendo nulla, anzi, lei era fuori a fumare: una cosa che, nei momenti di tranquillità del locale, faceva spesso. Tirai fuori il cellulare e controllai se c'erano chimate o messaggi da parte di Ariadne. Nulla. Non mi preoccupavo però, visto com'era andato l'unico incontro con i miei amici, non mi fidavo troppo. So che Eleonor non era come Rose ma ero in ansia lo stesso. Lei era molto fragile in questo momento e temevo potesse rompersi. Ed era l'ultima cosa che volevo. Guardai l'ora e rimisi il cellulare in tasca. Erano le sette e quaranta. Finalmente tra venti minuti me ne sarei andato, avrei visto Ariadne e avrei passato una serata rilassante con lei e il piccolo. Mi stavo forse affezionando? Nha. Vidi Barbara rientrare e spostarsi i capelli dietro le orecchie. Questo caldo uccideva. Venne verso di me e, scocciata, si appoggiò al bancone. "Chi era la ragazza con cui hai parlato oggi?" Odiavo quando mi faceva domande private. Proprio non capiva che non provavo piacere vero di le. Sbuffai. "Nessuno" Era tutto l'incontrario di niente ma questi erano affari miei. Lei era roba mia. Barbara sbuffó. "È una delle innumerevoli troiette che ti scopi? Perché non passi a qualcosa di più serio o, meglio, a qualcuno di più serio?" Appena sentii quelle parole mi si gelò il sangue nelle vene. Ero stanco di sentire insulti gratuiti e non richiesti verso Ariadne. Queste persone non sapevano nulla e si permettevano di parlare. "Farò finta di non averti sentita Barbara ma, lasciati dire una cosa, lei, in questo momento, è una delle persone più importanti della mia vita. Ho fatto un errore e, pur non volendo prendermi le mie responsabilità, sto cercando di rimediare. Io.....devo esserci. Tu non sai nulla. Non permetterti di parlare." Una volta sfogato la guardai negli occhi, per vedere se il concetto era stato afferrato, ma il mio sguardo fu attirato dalla ragazza dietro di lei che aveva ascoltato tutto. Ariadne. Era in anticipo. Deglutii a vuoto e abbandonai Barbara, che era l'ultimo dei miei pensieri. Uscii da dietro il bancone e mi diressi verso di lei. Una volta arrivato davanti a lei feci scontrare i nostri sguardi e poggia una mano sulla sua guancia, morbida e vellutata. Lei chiuse gli occhi e sospirò. "Quanto di quello che abbiamo detto hai sentito, Ariadne?" Lei riaprì gli occhi e si scostò dalla mia mano, sottraendosi alle mie carezze. "Sono le otto. Vai a cambiarti e andiamo a casa." Aveva decisamente evitato la mia domanda. Brutto segno. Scossi la testa, mi allontanai da lei, voltandomi, e andai nel retro. Mi tolsi il grembiule e presi portafoglio e chiavi, le misi nelle tasche dei pantaloni e uscii di nuovo. Ariadne non era più dentro il negozio e neanche il gruppo di ragazzi che avevo servito prima. Quante cose cambiano in pochi minuti. Scoccai un'occhiataccia a Barbara e me ne andai, uscii da quel bruttissimo luogo. Guardai a destra e a sinistra ma lei non c'era, non la vedevo. Proprio mentre stavo per andare in panico un braccio avvolse il mio bacino e mi tirò a se, facendo aderire il suo petto alla mia schiena muscolosa. Sobbalzai a quel morbido e caldo contatto, proprio non me lo aspettavo. Una risata bassa e dolce arrivò alle mie orecchie, soffocata dalla mia maglia. Sorrisi e avvolsi il suo braccio con il mio. La sentii stringermi e ridere. Sarei stato così per tutto il tempo ma avevo fretta di andare a casa per poter stare in tranquillità con lei. "Ti va di andare a casa?" Lei annuì e si stacco dalla mia schiena. Subito il gelo si imposessò della mia schiena e quel dolce contatto già mi mancava. La guardai e le sue guance si imporporarono immediatamente. Sorrisi. Io gli facevo questo effetto. Le posai una mano sulla schiena e mi condusse fino alla macchina, che si trovava poco più avanti. Tirò fuori le chiavi dalla sua borsetta e aprì l'auto. Io feci un giro della macchina per ispezionarla e per farla arrabbiare. "John va che sono stata attenta, sono brava a guidare." Missione compiuta. Risi, mi sedetti dal lato del guidatore e, dopo che Ariadne mi aveva passato le chiavi, misi in moto e partii. "Era tutto vero quello che hai detto Barbara?" Mi gira verso di lei ma lei non mi stava guardando. Teneva lo sguardo verso la strada, il viso serio e pensieroso. Si, tutto quello che avevo detto lo pensavo e lo sentivo. "Si, tutto." Lei sorrise leggermente e si girò verso di me. Era bellissima. Si appoggiò alla mia spalla e chiuse gli occhi, respirando sul mio collo. Tranquillità chiamavano questa sensazione. Arrivati a casa parcheggiai la macchina, leggermente più lontano da casa, e la spensi. Mi girai verso Ariadne e le accarezzai una guancia. Era molto stanca e in poco si era addormentata. Aprì gli occhi lentamente e si staccò dalla mia spalla, stropicciandosi gli occhi assonnati. Si girò verso di me e mi sorrise, a quanto pareva gli piaceva sorridere. "Ho dormito." Annuii. "Andiamo?" Annuii di nuovo e aprii la portiera. Lei fece la stessa cosa e, una volta usciti, richiudemmo le portiere e andammo a casa. Aprii il portone principale e salimmo le scale fino al mio appartamento. Aprii la porta di casa e abbandonai portafoglio, chiavi e cellulare sulla penisola. "Facciamo come ieri?" Lei, felice, annuì e corse in camera sua a prepararsi. Sorrisi e scossi la testa, era una donna che molto spesso si trasformava in ciò che ancora era: una ragazzina. Mi diressi a mia volta in camera e mi spogliai. Buttai tutto sulla poltrona e indossai la solita maglia e i soliti pantaloni corti. Il solito, insomma. Tolsi i calzini e, passando per il bagno, li misi nella cesta da lavare che il giorno dopo avrei dovuto, sicuramente, svuotare. Andai in sala e mi piegai a prendere il dvd appoggiato sul comò della televisione: New Moon. Lei lo aveva tirato fuori la sera prima, dicendomi che il giorno dopo lo avremmo sicuramente visto. Sbuffai. Mentre mi rialzavo vidi Ariadne che, uscita dalla sua camera, sgattaiolava lungo il corridoio, verso la mia camera. Incuriosito la raggiunsi da dietro. "Cosa stai facendo?" Al suono della mia voce sussultò e portò le mani dietro la schiena, come una ladra beccata con le mani nel sacco. Non si era, però, ancora girata. Andai da lei e poggiai una mano sulla maniglia della porta di camera mia. Sapevo cosa voleva fare. La aprii e la feci entrare, spingendola dolcemente per la schiena. "Non devi per forza, mi dispiace aver fatto la ficca naso." Si girò e, vedendo che non rispondevo e che non davo segni di arrabbiatura, si fece coraggio e gironzolò per la mia camera tranquillamente. Osservò il mio letto, l'armadio e la poltrona ricolma di vestiti. Osservò la vetrata e ci schiacciò il naso contro, lasciando andare dalla sua bocca un coro di 'ohhhhh' e 'ahhhhh'. A quella scena mi venne da ridere. Ma, sopratutto, osservò attentamente le foto appese. Soprattutto quelle con mia madre e con Rose. Le toccò, le studiò e si soffermó su ognuna di esse. "È molto bella tua madre e ti somiglia moltissimo." "Ti sarebbe piaciuta." "Mi piacerebbe conoscerla." Sospirai. A me sarebbe piaciuto rivederla, anche solo per poco. "È morta tre anni fa." Lei si girò di scatto e trattenne il respiro. "Io...m-mi dispiace, non lo sapevo." "Non lo potevi sapere." Lei abbassò lo sguardo. Non volevo farla sentire in colpa. "Non ti preoccupare. Mi piace parlare di lei." Lei sorrise e tornò a guardare le foto. Si soffermò su una foto di me e Rose abbracciati sul mio attuale letto mentre ci baciavamo. Un gemito inudibile uscì dalle sue labbra. Quasi inudibile. Sapevo come si sentiva: avrei voluto buttare via quella foto in quel momento. Lo avrei fatto. Vedere la ragazza che l'ha trattata di merda baciare il ragazzo che l'avrebbe presto abbandonata con un bambino doveva essere bruttissimo. Si rigirò verso di me, come aveva fatto prima, e mi guardò profondamente, come se volesse trasmettermi qualcosa. Era vestita esattamente come me solo che la maglietta era a maniche corte, e non a canotta, ed era più abbondante, immaginavo di molte taglie in più. "Ariadne...." Non feci in tempo a parlare che lei mi bloccò. "Andiamo a vedere il film, per favore." Cazzo. Sospirai e la osservai uscire dalla mia stanza, in silenzio. Io, arrabbiato con me stesso, andai davanti alla foto, la tolsi, e la rinchiusi nel piccolo comodino di fianco al letto. Stop. Uscii dalla mia camera e, dopo essermi chiusa la porta alle spalle, la raggiusi in sala. Accesi la televisione e misi il dvd, facendolo partire. Mi sedetti sulla parte lunga del divano con, a distanza di un metro, Ariadne. Il tempo di far partire il film che lei, quatta quatta, mi si avvicinò e abbracciò, poggiando la testa sul mio petto. Non sapevo cosa fare, le braccia erano bloccate al mio corpo e la mia lingua si era arrotolata su se stessa. Ero troppo emozionato e questo calore mi piaceva. Ma non sapevo cosa fare o come prenderla. "Solo per questa sera, ti prego John, solo per questa sera." Solo per questa sera. E sapevo bene cosa fare ora. L'abbracciai e la tenni stretta a me. Tanto era solo per quella sera...giusto?

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