Capitolo 11: Appuntamenti rischiosi e visite confusionarie.

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Giorno 5: John
Osservai Ariadne entrare e rimasi li a osservare l'entrata del negozio per molto più di qualche secondo. Non riuscivo a capire come mai tutto ciò che facevo finiva sempre per essere sbagliato. Ed era una cosa che non riuscivo a sopportare perché tutto ciò che facevo era dettato dal mio cuore e dal mio volere. Osservai il negozio ancora per qualche secondo, giusto per vederla, dalla vetrina, parlare, ridere e arrossire. Chi era il creatore di tanta bellezza? Purtroppo non ero io e questo mi faceva un po ingelosire. Ma solo un po. Giro la chiave e metto in moto la macchina: avevo da fare giusto qualche commissione. Ripercorsi la strada al contrario e riposteggiai la macchina nel parcheggio di prima ancora libero. Uscii dall'auto, la chiusi ed entrai nell'edificio. Salii le scale e, una volta aperta la porta di casa, entrai all'interno di essa. Ancora in pigiama entrai in camera mia e, visto che la colazione l'avevo già fatta, non mi soffermai in cucina. Mi diressi verso l'armadio e tirai fuori un paio di bermuda neri semplici, simili ai modelli da basket, una maglietta bianca traforata sulla schiena, un paio di boxer, un paio di calze e andai in bagno, per lavarmi e vestirmi. Entrai, senza chiudere la porta, siccome ero da solo, e aprii l'acqua della doccia per rilassarmi e schiarirmi le idee, avevo delle commissioni da fare ma potevo concedermi un po di tranquillità. Mi spogliai e, come ogni volta, osservai la mia cicatrice. Mi passai le mani tra i capelli, scompigliandoli, se pur corti. Mi toccai il septum e mi scrocchiai le dita. La vita mi aveva messo alla prova e io l'avevo superata, a pieni voti, ma con conseguenze. Entrai in doccia e chiusi gli occhi, scossi i capelli e tirai un urlo liberatorio. Presi il bagnoschiuma e me lo passai su tutto il corpo per poi risciacquarlo e lo stesso feci con lo shampoo, tenendolo su, però, un po di più del bagnoschiuma. Una volta finito chiusi l'acqua della doccia e uscii dalla doccia liberamente nudo: era la prima volta da cinque giorni a questa parte che potevo farlo. Ero da solo a casa. Superato il momento di libertà presi un'asciugamano dall'appendiabiti di fianco alla doccia e me lo avvolsi intorno alla vita. Oggi faceva talmente caldo che uscire dalla doccia scoperto era sopportabile. Presi un'ulteriore asciugamano e me lo passai sui capelli e li scossi, togliendo il bagnato. Mi asciugai e mi vestii abbastanza velocemente, non riuscivo ad andare lento: era più forte di me. Mi lavai i denti, uscii dal bagno e portai il pigiama in camera da letto, abbandonandolo sulla mia poltrona. Prima di uscire diedi un'occhiata al panorama. La luce entrava e illuminava la stanza in modo magico e, in quell'istante, mi resi conto di quanto io fossi fortunato, nonostante quello che mi ero capitato, e, ora, forse mi era data un'occasione per essere veramente felice e io la stavo considerando una disgrazia. Faceva male riflettere. Rispedii quei pensieri da dove erano arrivati e mi convinsi che ero fiero di me e che stavo facendo la cosa giusta. Uscii dalla mia camera da letto, andai in cucina, per raccattare cellulare, portafoglio e chiavi ed uscii da casa, chiudendo la porta a chiave. Uscii dal palazzo e il caldo si abbattè su di me, soffocandomi. Entrai in auto e, dopo averla messa in moto, accesi l'aria condizionata a manetta. Respirai e partii, con direzione lo studio ginecologico più vicino. Ma, ahimè, in quella zona c'era solo uno studio ginecologico e, purtroppo, sapevo benissimo chi ci lavorava. Guardai l'ora: erano le undici e venti. Avevo solo bevuto un cappuccino stamattina e ora avevo già fame ma, purtroppo, avrei dovuto aspettare mezzogiorno, se mi andava bene. Lo studio medico distava circa mezz'ora da casa mia, era una fortuna che fosse così vicino, poteva andarmi peggio. Accesi la radio della macchina e mi sintonizzai sulla mia stazione preferita. Proprio in quel momento partì Some Night dei Fun, una delle mie canzoni preferite. Alzai a tutto volume e cantai, cantai per tutto il viaggio. La mezz'ora passò velocemente ascoltando la musica. Adoravo la musica, era il mio antistress. E ora ne avevo altamente bisogno, peccato, però, essere già arrivato. Localizzai lo studio e parcheggiai l'auto poco distante, esattamente dietro l'angolo. Scesi da essa e la chiusi. Mi incamminai verso lo studio e in cinque minuti ero giunto a destinazione. Entrai e le campanelle sopra la porta annunciarono la mia entrata a tutti, ma proprio a tutti. Circa due secondi dopo delle braccia decisamente femminili e scampanellanti mi attirarono in un abbraccio soffocante. Era per questo che l'adoravo. Ricambiai l'abbraccio e lasciai un bacio sulla fronte alla diretta interessata. Rimanemmo così per svariati minuti finché io non mi staccai, dolcemente. Mi guardò negli occhi con un sorriso a trentadue denti. "Ahhhh come sono felice di vederti fratellino! Mi sei mancato un sacco dall'ultima volta che ci siamo visti una settimana fa!" Io risi alla sua affermazione: anche lei mi era mancata moltissimo. Da quando lei non era più in casa si sentiva un sacco la sua assenza. Anche se, ora, era stata decisamente sostituita. "Anche tu mi sei mancata sorellona!" Mi prese le mani tra le sue e mi guardò attentamente. "Tutto bene fratellino?" Sorrisi leggermente e inclinai la testa. Lei perse il sorriso e si guardò un pò intorno. Lo studio era praticamente vuoto, apparte noi due, la receptionist e un paio di pazienti in sala d'attesa non c'era nessun' altro. Ritornò a guardare me e mi lasciò le mani. "Non ho nessuna visita ora, quei pazienti sono qui per il dottor. Kaos, un nuovo dottore indiano, quindi se vuoi puoi entrare un'attimo, così ne parliamo." Annuii, deciso, e gli sorrisi, grato. Speravo di potergli parlare e di potermi confidare con lei, ero sicuro che mi avrebbe aiutato, sostenuto e, speravo, capito. Mi fece segno di seguirla e andammo nel suo studio. Era il più vicino all'entrata, il più vicino alla reception. Mi fece segno di sedermi alla sua scrivania: non me lo feci ripetere due volte e mi ci spaparanzai sopra. Allungai le gambe e incrociai le braccia al petto. Lei si sedette dall'altra parte della scrivania, esattamente davanti a me. Si tolse gli occhiali e mi sorrise. Aveva ventotto anni ma sembrava molto più giovane. Il viso fresco e senza trucco dimostrava appena vent'anni. E non lo dicevo solo perché era mia sorella. Era bassina ma magra, aveva i capelli neri come i miei ma lunghi, quasi fino al sedere, e mossi, a differenza mia che li avevo lisci e corti. Aveva un viso struccato con dei lineamenti leggermente marcati. Aveva un naso importante come il mio ma le labbra carnose e femminili. Era una ragazza che attirava l'attenzione. Oggi aveva dei sandali aperti neri e, i vestiti, erano coperti dal camice bianco. "Allora John? Dimmi tutto, cosa c'è che non va? Dubito che tu sia venuto fino a qui solo per salutarmi." Strabuzzai gli occhi, sorpreso che l'avesse già capito. Dovevo immaginarlo sapendo che lei era la persona che più mi conosceva. "In effetti c'è un motivo valido per cui sono venuto anche se...anche se non so se sia il caso di dirtelo." Mi grattai la nuca, evitando lo sguardo interrogativo di mia sorella. "John, qualunque cosa sia sai che di me ti puoi fidare. Devi per caso dei soldi a qualcuno? Hai problemi di droga? Devi occultare un cadavere?" La guardai. Alzai un sopracciglio. Scoppiai a ridere. Occultare un cadavere? Ma era seria? Non riuscivo a fermarmi. Dopo qualche tentennamento scoppiò a ridere anche Violet. Risi ma subito tornai serio. "Ho messo incinta una ragazza." All'udire le mie parole le sue risate si spensero immediatamente e, dire che era diventata una statua di ghiaccio, era riduttivo. La guardai e riabbassai immediatamente gli occhi. Troppa vergogna. "John." Non mi mossi. "È una ragazza fantastica. Dolce e gentile. Premurosa e timida. Ariadne è perfetta." Mi venne spontaneo sorridere. Rialzai lo sguardo e notai che il suo sguardo non era più così tanto severo. "Cos'è successo esattamente John? Perché sei qui? Sai che puoi contare su di me." Sospirai e mi portai la testa tra le mani. Mi conveniva raccontargli tutto, dall'inizio alla fine. "Cinque mesi fa sono andato ad una festa e li ho incontrato Ariadne. Ci siamo conosciuti, abbiamo parlato e poi...e poi puoi immaginare. Dopo quella sera, per i cinque mesi successivi, non l'ho più vista ma sempre cercata. Mi era rimasta in testa. Cinque giorni fa ha citofonato alla mia porta dicendomi che era incinta e chiedendomi aiuto. Era stata buttata fuori dai genitori e non sapeva dove stare." Feci una breve pausa e poi ripresi. "Io ho accettato di aiutarla e le ho messo a disposizione la tua camera per tutto il tempo che le serviva- a qulle parole la bocca di mia sorella si aprì in un sorriso- ma a patto che, prima della nascita del bambino, lei sia fuori di casa." A quelle parole il suo sorriso scomparve. Stava per parlare ma io la interruppi. "Non facciamo che litigare. Lei non si fida di me e, questo, non mi rende le cose facili. Abbiamo anche litigato per Rose. Poi però ci chiariamo e insieme stiamo bene. Solo che io non mi sento pronto, sono troppo giovane per prendermi certe responsabilità e ho ancora tutta la vita davanti a me. " Lei mi guardò, decisamente arrabbiata e delusa. "Fatico a credere a ciò che è successo. Sono sconvolta. "Annuii e mi alzai, troppo nervosismo addosso. "Sono spiazzata dal fatto che tu abbia messo incinta una ragazza ma ancora di più dalle tue parole. Quanti anni ha lei?" "Diciannove" Vidi il suo sguardo riempirsi di stupore. "Giovane....e piccola." Annuii impercettibilmente. "È ovvio che lei non si fidi di te. Non importa se ti sei offerto di ospitarla, tu gli hai detto esplicitamente che non sono i benvenuti. Ma hai mai provato a metterti nei suoi panni? Una diciannovenne che sta per avere un figlio e, quindi, una responsabilità enorme che deve andare avanti da sola. Sai quanto possa essere difficile? Riflettici perché non ci sei solo tu di mezzo, il tuo futuro non è l'unico che viene messo in discussione." Mi alzai e incominciai a girare in tondo per tutto lo studio, come un matto. "Quindi cosa devo fare Violet? Dimmelo tu." Lei si alzò dalla sedia, venne da me e mi prese le mani tra le sue. "Questo non te lo posso dire io. Io posso darti dei consigli e, magari, la mia opinione ma non posso dirti cosa fare. Solo tu sai, in cuor tuo, cosa fare e sono sicura che qualunque decisione tu prenda sarà intelligente e saggia, presa tenendo conto degli altri e di te stesso." La fiducia che mia sorella riponeva in me era enorme e, io, speravo di non deluderla anche se non sapevo ancora cosa fare. Violet mi sorrise, materna, e mi lasciò un buffetto sulla guancia, come faceva sempre quando eravamo piccoli. Era per questo che l'adoravo. "Questa cosa la sa qualcun'altro apparte me?" "James, Eleonor, i gemelli e...Rose." Quando pronunciai il nome di Rose Violet sbiancò. Lei sapeva tutta la storia e sapeva anche quanto sarebbe stato difficile per Rose sopportare Ariadne. "Proteggila da lei. Se sei convinto della tua idea di mandarla poi via allora fagli passare questi mesi bene e in tranquillità. Sai quanto possa essere difficile portare avanti una gravidanza con il nervosismo addosso." Mi guardò negli occhi e le annuii. Lo sapevo. Violet tornò a sedersi dietro la scrivania e io mi appoggiai al lettino, vicino alla finestra. "Violet non devi dirlo a nessuno. Papà non deve saperlo." "John era scontato. Prima devi decidere cosa fare e poi deciderai." Io annuii. "Lo terrá?" Inarcai le sopracciglia, accigliato. "Il bambino, John." Risi. Avevo troppa confusione nel cervello. "Si. E non pretende che io ci sia per il bambino." Gli occhi di mia sorella erano tristi e compassionevoli. Lei si preoccupava sempre per gli altri. Loro erano cose mie e mi sarei occupato io di loro. Oddio. Non sapevo cosa dicevo. Ero troppo confuso. "John...ti prego, non abbandonarla. Certe cose non sempre vengono per nuocere." Stetti zitto e non la guardai negli occhi. "John dimmi perché sei qui. Non penso tu sia venuto qua solo per raccontarmelo. Se non vuoi che lo sappiano i nostri genitori allora, probabilmente, non volevi neanche che lo sapessi io." Scoperto. "Lei è di circa cinque mesi e non ha mai fatto un'ecografia. Ha bisogno di una visita e quindi mi sono rivolto a te. Non volevo che lo sapessi ma lei ne ha davvero bisogno." Sospirò e prese la sua agenda. "Posso lunedì prossimo, per le quattro." Perfetto. Annuii e lei se lo segnò. "Lo faccio per mio nipote." Risi. "Grazie sorellona!" Andai da lei e le stampai un'enorme bacio sulla guancia. Guardai l'orologio a parete: segnava l'una in punto. Era altamente tardi. Volevo riposarmi un pò prima di andare a prendere Ariadne. "Sorellona devo andare. È tardi, ho fame e alle tre devo andare a prendere Ariadne al lavoro." Lei annuì, comprensiva, e, dopo essersi alzata dalla sedia aprì la porta dello studio. Silenziosamente tornammo nella sala d'aspetto che, in poco, si era riempita di donne...incinte. Dio. Arrivammo davanti la porta e Violet si girò verso di me. Mi abbracciò forte e mi scoccò un bacio sulla guancia. "Ti voglio bene fratellino. Sii te stesso e prenderai la scelta giusta." Le baciai la fronte e gli accarezzai la guancia. "Anche io ti voglio bene sorellina e...guardati in giro. Forse per te qualcuno c'è." La feci voltare e il suo sguardo si intrecciò a quello del, così presumevo, dottor. Kaos che, ormai beccato a guardarla, arrossì e scappò nel suo studio. Violet si rigirò e io uscii dall'edificio. La salutai dalla vetrina e me ne andai, più tranquillo. Ora mi aspettava un viaggio di mezz'ora e, forse, un bel pranzo.

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