Capitolo 4: Felicità momentanea e nuove conoscenze.

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Giorno 3: Ariadne

Inizio flashback
"Ninna nanna, ninna o, questa bimba a chi la do, gliela do alla befana che la tiene una settimana, gliela do all'uomo nero che la tiene un anno intero, gliela do alla sua mamma che gli canta una bella ninna nanna" Mio fratello smise di cantarmi la ninna nanna e mi passò una mano sui capelli, accarezzandomi amorevolmente. Lo guardai e gli sorrisi, strofinandomi contro la sua mano, volendo più coccole. Lui mi guardó e rise. La sua risata cristallina riempí la stanza, coprendo per qualche attimo le grida di mamma e papa. "Quando fai così sembri più una gatto che una bambina!" Sorrisi leggermente e arrossí. Mi spostai verso la fine del letto, pregandolo, così, di entrare a farmi compagnia. Lui mi guardó severo, lasciandomi un buffetto sulla guancia. "Adny ma non ti vergogni? Hai undici anni e ancora vuoi dormire con me?" Io, per niente intimorita dal suo viso e dalle sue parole, annuí, speranzosa. Denny sbuffó ma, dopo poco, sorrise e si fece spazio tra le coperte. Le tirò su di noi, coprendoci, e mi attirò a se, abbracciandomi forte. "Sai, Adny, adesso sono grande e devo pensare al mio bene e dovró andarmene, trovare un posto mio. Questo non fa per me, ma sappi che io ti vorrò sempre bene e spero anche tu, qualunque cosa succeda, per questo spero che mi perdonerai e saprai capirmi." Da quel giorno non lo vidi più e da quel giorno lo odiai.
Fine flashback

Mi svegliai di scatto, respirando a fatica e con il cuore in gola, grata che quel sogno fosse finito. Quella fu l'ultima volta che vidi mio fratello, io avevo undici anni mentre lui diciotto, avevamo sette anni di differenza, ma eravamo inseparabili. Lui mi era sempre stata accanto, senza mai lasciarmi, lui era il mio migliore amico, era la mia ancora e il mio punto fermo. Lui mi aveva cresciuta e protetta sempre, protetta dai miei genitori e da ogni male. E io l'amavo come un padre. Ma lui mi aveva abbandonata, mi aveva abbandonata con una madre anafettiva e con un padre inesistente e con l'abitudine di alzare le mani. Mi aveva lasciata sola quando più ne avevo bisogno e non mi aveva mai più cercato, da otto anni non avevo sue notizie. Non sapevo se stesse bene o come fosse la sua vita, se era felice o se sentiva la mia mancanza. Ogni volta che ci pensavo sentivo un dolore dentro che mi logorava, ma non era quello che mi serviva adesso. Fortunatamente mi sorella non mi aveva abbandonata, anche se non era la stessa cosa. Inspirai e, appena espirai, qualcuno bussò alla porta. Probabilmente era John che era venuto a svegliarmi come promesso. Sospirai e mi alzai, pronta per il mio primo giorno di lavoro. Sorrisi contenta, non vedevo l'ora di iniziare e dare il meglio di me. Ci tenevo molto a quel lavoro: primo perché io adoravo i libri e leggere e, per secondo, perché avevo un assoluto bisogno di questo lavoro...per il nostro futuro, mio e del mio bambino....o bambina. Prima di aprire mi diressi allo specchio e mi guardai: avevo ancora su i vestiti del giorno precedente e il leggero trucco sbavato, a causa delle lacrime, mentre il mio viso era più riposato e il mio sguardo più attivo e sveglio, anche se l'ombra delle occhiaie c'era ancora e, inoltre, i miei capelli erano una matassa informe. Mi affrettai a sistemarmi capelli e trucco, per apparire al meglio davanti a John anche se poche ore prima mi aveva vista completamente distrutta. Arrossí al pensiero di questa mattina, quando mi aveva supportato mentre rimettevo, e avevo sentito quel gonfiore all'altezza del cavallo, che poggiava sul mio bacino. Appena me ne ero accorta mi ero scostata, troppo imbarazzata. Sospirai. Dovevo controllarmi e stare attenta. Mi diedi un'ultima occhiata e poi corsi davanti alla porta, poggiai la mano sul freddo pomello e l'aprí. Davanti a me c'era un John sorridente, con le mani nelle tasche dei pantaloni lunghi e a piedi nudi. "Ehi...mi avevi detto di svegliarti ed eccomi qui." Io rimasi in silenzio a contemplarlo. Era bellissimo e, purtroppo, perfetto. Vedendomi in silenzio e ferma, la sua espressione cambiò da felice a dubbiosa a triste. "Ehi...h-ho fatto qualcosa di sbagliato? Siamo ancora d'accordo per essere amici perché a me farebbe molto piacere, ma sai, c'è, se tu....." Sorrisi e gli tappai la bocca con la mia mano, per farlo stare zitto. "Grazie" Lo sentì sorridere sotto la mia mano e leccarmi il palmo, facendomi inorridire. "Ehi! Che schifo!" Tolsi di scatto la mano e me la portai alla maglia, ormai sgualcita, e me la strofinai forte contro di essa, per pulirla dalla saliva. Dopo averla pulita con grande cura gli tirai uno scappellotto sul braccio facendolo scoppiare a ridere, come un idiota. Forse per la sua risata troppo forte o per la mia voce troppo forte, fatto sta che un gruppo di ragazzi apparse dietro John, preoccupati e sorpresi. Il mio sorriso scemo e il mio sguardo si calamitò su di loro. "Tutto bene?!" Disse una ragazza con i capelli corti, lisci e rossi, occhi marroni e lentigini, con un viso magrino ma con lineamenti gentili e delicati e con uno sguardo quasi materno. John a quella voce si raggelo e smise, piano piano, di sorridere. Si girò fino a darmi completamente le spalle. Mi alzai per vedere oltre la sua spalla e contai cinque persone. "Ehi El...ragazzi, si si, va tutto bene, adesso arrivo...voi aspettateci di là." Dopo quelle parole i suoi amici si guardarono e, annuendo, ritornarono da dove erano venuti, tranne El, la ragazza rossa, che rimase ferma sul posto per qualche secondo, aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma poi, sospirando, ci ripensó e seguì gli altri. Appena El se ne andó John si rigiró verso di me e mi passò una mano sulla guancia, accarezzandomi, mentre mi guardava negli occhi. "Scusa, i miei amici sono ancora qui...se vuoi li posso mandare via se ti danno fastidio." Io scossi la testa energicamente e gli sorrisi. "Mi piacerebbe molto conoscerli, almeno qui, oltre a te, conoscerei qualcun altro." Lui mi sorrise divertito e stupito, ma felice. John annui e mi prese per mano, per portarmi da loro, ma io lo fermai. "Prima prendo i vestiti così poi posso fiondarmi in bagno a cambiarmi visto che è già tardi." Entrai velocemente in camera, sotto lo sguardo vigile di John, mi avvicinai a uno dei miei borsoni, che purtroppo non ero riuscita a disfare, e presi un leggins al ginocchio bianco, una maglietta bianca e nera larga, le mie ballerine nere e l'intimo. Una volta sicura di aver preso tutto raggiunsi John fuori dalla mia camera e mi richiusi la porta alle spalle, pronta per fare conoscenza. "Sicura?" Mi fermai e lo guardai. "Mai stata più sicura" Sorrise e ci incamminammo verso la sala. Una volta oltrepassata la porta che portava alla sala mi sentii osservata, avevamo gli occhi puntati addosso. Io, imbarazzata, mi portai indietro una ciocca di capelli ribelli. John mi mise un mano sulla schiena e mi spinse in avanti, come per farmi coraggio. Io, spinta, feci qualche passo in avanti e poi sorrisi ai cinque ragazzi. "Ragazzi, questa è..." Non li diedi il tempo di finire, io avevo la mia voce. "Io sono Ariadne" Sorrisi e feci un ulteriore passo avanti. In neanche cinque secondi avevo gli occhi di tutti puntati sulla mia pancia e questo mi creava imbarazzo. La ragazza di prima, El, mi si avvicinò e, dopo un momento di imbarazzo, mi buttò le braccia al collo. Io rimasi ferma immobile, come paralizzata, non mi aspettavo questa reazione. Io, con le mani lungo i fianchi, non sapevo cosa fare, mi voltai verso John per una risposta e trovai un sorridente John che mi faceva segno di ricambiare l'abbraccio. Io sorrisi e strinsi forte quella ragazza che mi stava donando il primo abbraccio dopo tanti giorni. Dopo poco si staccò e ci osservammo: doveva avere pochi anni in più di me. Mi sorrise e si presentò. "Io sono Eleonor ma puoi chiamami El se vuoi." Gli sorrisi e annuì. Mi strinse la mano e mi trascinò dagli altri cinque ragazzi. Uno a uno mi si presentarono e a turno mi abbracciavano. C'erano Eleonor, James, Tom con il gemello Chuk. Solo una ragazza non si era ancora presentata. Era in piedi nell'angolo della sala e mi guardava con la rabbia negli occhi. Mi guardò dal basso verso l'alto e fece una smorfia di schifo. Questo mi ferì e mi fece innervosire, nessuno doveva permettersi di guardarmi così. Feci un passo avanti e la sfidai a ignorarmi. Quello che successe fu peggio di ricevere uno schiaffo in piena faccia. La ragazza si fece avanti e si posiziono proprio di fronte a me. "Io sono Rose, puttana." Indietreggiai, come se fossi stata colpita veramente. Le lacrime risalirono fino ai miei occhi e sgorgarono copiosamente. Mi girai indietro e vidi John livido di rabbia, i pugni stretti lungo il corpo e, tra le lacrime, lo vidi muoversi verso di me. Io, ferita ed in imbarazzo, non prestai attenzione a nessuno, corsi in bagno e mi ci chiusi dentro. Non sarei mai riuscita a stare tranquilla, proprio ora che le cose andavano meglio. Piansi per qualche minuto ma la consapevolezza di dover essere al lavoro da li a poco mi fece tornare la calma. Da di la non sentivo più nulla. Non c'erano urla ne rumori, regnava un silenzio irreale. Mi svestii e mi feci una doccia veloce, durante la quale accarezzai il mio dolce amore. Il mio miglior sbaglio. Sorrisi e tirai su il naso in modo poco elegante. Uscii dalla doccia, mi asciugai e indossai i vestiti scelti precedentemente. Legai i capelli umidi in uno chignon e feci per lavarmi i denti quando mi ricordai di aver lasciato lo spazzolino in camera. Sbuffai e apri la porta del bagno per andarlo a prendere. Appena l'aprii lo trovai ad aspettarmi. Era con un braccio appoggiato sul muro e con una mano a coprirli gli occhi, appena mi vide si mise composto e mi fissò negli occhi stanchi. Fece per parlare ma io, sorprendentemente, lo abbraciai di slancio e lo strinsi forte a me. In quel momento noi avevamo bisogno di affetto, di lui. Lui ricambio la stretta e mi accarezzò lentamente la schiena, come un piccolo massaggio. Rimanemmo così per infiniti minuti lui che mi coccolava e io che avevo il viso completamente affondato nel suo collo. Inspirai il suo odore e stordita mi staccai. Sospirai e lui parlò. "Non ci sono più, gli ho mandati via." Mi infilai gli occhiali e annui. "Mi dispiace Ariadne, non avrei dovuto farteli conoscere..
subito." Sospirai. "Non è possibile andare d'accordo...stare insieme-e feci delle virgolette immaginarie a quelle parole- se io non vado d'accordo con i tuoi amici. Loro sono importanti per te e non dovresti permette a una qualunque come me di distruggere questo rapporto. Io sono solo uno stupido intralcio." A queste parole John cercò di avvicinarsi a me ma io lo schivai e mi precipitai in camera, chiudendola a chiave. Presi la borsa e tutto quello che mi sarebbe servito per il mio primo giorno di lavoro. Ero stanca, da tre giorni a quella parte non c'era mai stato un giorno decente, per lo meno tranquillo. Tutto questo non me lo aspettavo. Non pensavo sarebbe stato così difficile. Sospirai e aprii la porta, controllando che non ci fosse John. Via libera. Uscì dalla camera, chiudendomela alle spalle, e mi diressi verso la porta d'ingresso. Tirai fuori le chiavi e aprii la porta. Stavo per uscire quando una voce mi interruppe. "Ariadne" Sussultai e mi voltai, lentamente. Lo guardai e lui ricambiò il mio sguardo. Lo vedevo. Capivo il suo dolore, il suo dispiacere e la sua richiesta di perdono, di comunicazione. Ma io non potevo. Era tardi e il senso di oppressione che mi attanagliava il corpo mi impediva di rimanere li e ascoltarlo. Lo guardai un'ultima volta e uscii di casa, chiudendomi la porta alle spalle...certa che lui mi avrebbe capito.

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