Capitolo 18: Delusioni fraterne.

4K 172 10
                                    

Giorno 7: Ariadne
"Isbel vado a cambiarmi!" Le mie grida rimbombarono per tutto il negozio. E, come risposta, ricevetti solo un gran silenzio. "Isbel?!" E anche stavolta nulla. Be, sai come si dice: non c'è due senza tre. "Isbeeel?!" Niente. Sbattei il piede a terra e sbuffai. Ma dove si era cacciata? Mi diressi verso la porta d'entrata e la trovai intenta a fumare fuori dal negozio. Che scema! E me lo aveva pure detto. Risi di me stessa e uscii anche io dal negozio. Lei, però, non si accorse di nulla. Le posai una mano sulla spalla e lei si voltò verso di me, attenta a starmi lontano con la sigaretta. La ringrazia mentalmente. "Vado a cambiarmi, va bene?" Lei annuì e mi sorrise. "Allora appena tu hai finito e te ne sei andata vado io e cambiarmi." La guardai e aggrottai le sopracciglia. "Non sei di turno tutto il giorno tu?" Lei rise e finí la sigaretta. "Dio, no! La giornata di ieri con Adrian mi è bastata!" Le sorrisi...potevo capirla. Quando voleva Adrian sapeva proprio essere noioso e per niente di compagnia. Ridemmo insieme e rientrammo. Oggi in città tirava un pò di vento ma faceva lo stesso in caldo bestia. Mentre Isbel si sedette dietro il bancone della cassa io andai nel retro del negozio. Mi tolsi il grembiule, mi infilai il maglioncino che mi ero portata dietro per il vento e raccattai la mia borsa. Odiavo le borse. Controllai di aver preso tutto e ritornai in negozio. Guardai l'orologio e notai di essere leggermente in anticipo oggi. Erano le tre meno dieci. Evidentemente oggi avevo fretta di andarmene e non ero l'unica ad essersene accorta. "Hai fretta oggi? Hai un'appuntamento importante?" Mi girai verso di lei e gli feci l'occhiolino. Decisi di divertirmi un pó. "Devo uscire con uno stra figo...che neanche ti immagini!" Mi leccai le labbra e gli sorrisi. Lei mi guardó e spalancò la bocca, formando perfettamente una piccola 'o'. Risi della sua espressione e aspettai che si riprendesse. "Ma...ma quel bel ragazzo dall'altro giorno? Lui mi sembrava il padre del bambino, no?" Io risi e annuii. Lei non sapeva tutta la storia...nessuno la sapeva e io non mi sentivo pronta a raccontargliela. "Si...John è il padre del bambino." Gli confermai, a bassa voce. Lei mi osservò per qualche minuto, seria, mentre io ero intenzionata a cambiare discorso il più in fretta possibile. "Comunque oggi non esco con un figaccione ma devo vedermi con mia sorella. È da un pò che non ci vediamo e dobbiamo parlare di molte cose e, se tutto va bene, potrò lasciare John per trasferirmi da lei e cercare di diventare indipendente il più in fretta possibile." Lei corrugó le sopracciglia, confusa. "Ma...ma non state insieme?" E ora cosa le dicevo? Come già detto non volevo rivelare la storia a nessuno, per ora non mi fidavo di nessuno. Mi morsi il labbro, sul punto di rispondere, quando il campanello del negozio suonò e io mi girai e, colui che entrò, altro non era che John. Lo guardai e gli sorrisi, mimandogli un 'grazie' silenzioso. Lui corrugó le sopracciglia e, al mio segno di lasciar stare, scrollò le spalle. Io mi rigirai verso Isbel e gli sorrisi, timidamente. La salutai con la manina e piano piano incominciai a indietreggiare verso la porta, andando a sbattere contro il petto ampio di John. Lui mi prese la mano e insieme uscimmo, non prima, però, di aver salutato Isbel. Uscimmo e tirai, finalmente, un sospiro di sollievo. "Perché eri così tesa dentro?" Io lo guardai e gli strinsi la mano, involontariamente. "Isbel mi stava facendo domande a cui non volevo rispondere ma, per fortuna, sei entrato tu." Mi lazai sulle punte e gli lasciai un soffice bacio sulla guancia. "Quindi grazie." Mi sorrise e, stavolta, fu lui a stringermi la mano. "Allora...io pensavo di andare a casa, rinfrescarci, riposarci e poi andare all'incontro con tua sorella." Si girò per guardarmi e io annuii, in approvazione alla sua idea. "Dove hai lasciato la macchina?" Ero giusto un pò stanca e, poi, questo caldo di certo non aiutava. "Scusa ma l'ho dovuta mettere un po più lontana del solito. Non c'era parcheggio." "Potevi lasciarla in doppia fila." Parve rifletterci e poi scosse la testa. "Qui non conviene metterla in doppia fila, essendo vicino al centro i controlli sono molto frequenti." Annuii, comprensiva. Gli lasciai la mano e mi raccolsi i capelli in una coda alta. Portavo sempre un elastico al polso...non si sapeva mai. Non ripresi, però, la mano di John tra le mie e a lui non parve dare fastidio o, almeno, non lo diede a vedere. Arrivammo, dopo una decina di minuti, finalmente alla macchina. La aprii ed antrammo, pronti a partire. "Ti prego accendi l'aria condizionata!" Si girò verso di me e scosse la testa. "Ma se dobbiamo fare massimo dieci minuti in macchina!" Mi girai verso di lui e gli scoccai un'occhitaccia assassina. Lui rise e scosse la testa, sconsolato per aver perso. Accese l'aria condizionata sotto il mio sguardo vigile. Annuii. Lui rise di nuovo e si concentrò sulla strada, divertito. In meno di dieci minuti arrivammo a casa e, dopo aver parcheggiato, scendemmo dalla macchina. Entrammo nell'edificio e, per la prima volta, prendemmo l'ascensore per arrivare al nostro appartamento. John aprí la porta: finalmente a casa. Buttai la borsa sulla penisola e mi infilai in camera mia. Mi spogliai completamente e mi infilai dei comodi pantaloncini in cotone bianchi e una canotta blu notte. Mi tolsi le calze e le buttati in un angolo della stanza, stessa fine dei miei vestiti. Uscii dalla camera e andai in bagno. Mi sciacquai faccia e collo e mi rinfrescai il pancione. Rinfrescato tutto rimasi lì qualche minuto, con la canotta alzata, ad osservare la mia pancia che, di giorno in giorno, cresceva sempre più. "Si direi che sei grassa." La voce arrivò dritta alle mie orecchie, facendomi innervosire. Io e la parola grassa non andavamo proprio d'accordo. Fin da piccola ero sempre stata molto magra e, intorno i quattordici anni, c'era stato un periodo in cui avevo sofferto di anoressia. Poi guarii ma ancora oggi ero molto magra e, anche con il pancione, continuavo a essere minuta. Lo guardai e gli feci una linguaccia. Lui sorrise, malizioso. "Ci sono mille altri modi di usare quella lingua lo sai?" A quelle parole io spalancai gli occhi e arrosii come un pomodoro. Lui si mise a ridere e io, afferrato il suo spazzolino, glielo tirai addosso. Ma lui lo schivò per un pelo. Ottimo riflessi il ragazzo. Si staccò dallo stipite del bagno e se ne andò, continuando, però, a ridere come uno scemo. Io mi abbassai la maglia, mi lavai i denti, rimisi a posto il suo spazzolino e andai in camera sua. Le enormi tende erano tirate, la stanza era semi-buia e John era steso sul letto. Salii anche io su di esso e mi sdraiai di fianco a lui. Ormai dormire insieme il pomeriggio era diventata un'abitudine. Appoggiai la testa sulla sua schiena e mi addormentai.

Noi e il frutto del nostro amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora