Giorno 5: John
Guardai l'orologio: due e venti. Cambiai canale e sbuffai. Il pomeriggio non c'era nulla di interessante in televisione e, io, mi stavo annoiando a morte. Per fortuna tra circa mezz'ora sarei andato a prendere Ariadne. Quando lei non era in casa sentivo proprio la sua mancanza. Era incredibile come, nonostante fossero passati solo pochi giorni, io mi fossi già abituato alla sua presenza. Sorrisi e mi venne in mente un'idea geniale per: 1) passare il tempo e 2) aiutarla. Spensi la televisione e mi alzai dal divano. Ero tornato a casa all'una e mezza e, in mezz'ora, avevo mangiato. Per un'altra mezz'ora avevo fatto zapping tra i canali della televisione ma, adesso, mi ero rotto le palle. Mi stiracchiai e misi in programma di farmi un pisolino non appena fossi tornato a casa. Andai in corridoio e mi diressi verso la camera di Ariadne. Poggiai la mano sulla maniglia della porta e tentennai. E se magari questo gesto gli avrebbe dato fastidio? Se se la fosse presa di nuovo con me? Avrei rischiato. Mi sembrava un bel gesto ma, sopratutto, mi sembrava giusto visto tutto ciò che aveva passato. Aprii la porta ed entrai in camera. Il letto era rifatto e il pigiama riposto ordinatamente su uno dei cuscini. I borsoni erano di fianco allo specchio, aperti, e lasciavano intravedere i vestiti. Mi avvicinai e li scrutai attentamente. Mi sembravano abbastanza pieni. La cose erano tutte ammassate una sopra l'altra disordinatamente. Chissà con che fretta e paura le aveva fatte. Ne presi uno e lo appoggiai sopra il letto. Tirai fuori i vestiti e un paio di scarpe trovato. La camera era dotata di un grande letto matrimoniale bianco, con coperte e federe bianche, con a fianco due piccoli comodini bianchi nella parete di destra, nella parete di sinistra c'erano due piccoli armadi bianchi e una grande scrivania in legno, di fianco alla porta c'era uno specchio e, infine, nella parete davanti alla porta c'era una grande finestra che lasciava entrare molta luce. Le pareti erano lilla, con qualche quadro qua e lá rappresentanti fiori lilla o bianchi. Mi diressi verso gli armadi, li aprii entrambi e tornai dal borsone. Presi i vestiti uno per volta e li piegai accuratamente per poi riporli negli armadi. Erano tanti e tutti diversi. Tutti estivi. Sorrisi. Per fortuna non avevo ancora trovato l'intimo. Presi le All Star bianche che trovai nel borsone e i sandali alla schiava, così pensavo di chiamasserò, che avevo trovato vicino allo specchio e li sistemai in fondo al secondo armadio, quello senza cassetti. Tirai fuori trucchi, cinture e gioielli. Li risposai tutti in uno dei piccoli cassetti che si trovavano nel primo armadio. Appesi jeans e vestiti mentre maglie, maglioncini e pantaloncini corti li piegai e li riposi nel cassetti. Sbuffai. Le donne avevano troppi vestiti. Finii di sistemare il primo borsone senza troppe difficoltà. Mi sedetti sul letto e presi fiato. Non era stato difficile ma era stato lungo. Mi rialzai e presi il secondo borsone, che poggiai di fianco al primo. Il primo borsone lo tolsi e lo posai sotto il letto. Così era nascosto ma facile da trovare. Lasciai momentaneamente tutto e tornai in sala, avevo bisogno di bere un po. Guardai distrattamente l'orologio e impallidii. Erano le tre e un quarto. Sputai l'acqua che avevo in bocca e lanciai il bicchiere nel lavandino. Un tiro degno del miglior giocatore di baseball. Scattai in camera mia, mi infilai calze e scarpe velocemente e tornai in sala. Raccattai cellulare e chiavi ed uscii da casa. La chiusi a chiave e mi fiondai giù per le scale. Uscii fuori dall'edificio e impiegai qualche secondo per localizzare la macchina. Raggiunsi l'auto, la aprii ed entrai. Misi in moto e partii. Accellerai il più possibile. In dieci minuti arrivai e scesi subito dalla macchina. La chiusi e, sospirando, entrai. Avevo paura della sua reazione. Appena misi piede dentro il negozio delle risate perforarono le mie orecchie. Ariadne era seduta alla cassa e rideva con un ragazzo, che era anch'esso appoggiato alla cassa. La sua risata era forte e sincera, era uno dei suoni più belli che io avessi mai sentito. E non era per me. Li osservai. Lasciai andare la porta che, con un tonfo secco, si chiuse. Lo sguardo di Ariadne captò la mia presenza e quel ragazzo sconosciuto si girò. Si tirò su e venne da me. "Buon pomeriggio, posso aiutarla?" Lo guardai, di sbieco, e stetti al gioco. Se Ariadne faceva finta di non riconoscermi, probabilmente per non sfigurare davanti al suo amichetto, lo avrei fatto anche io. "Salve, mi servirebbe un libro sulla gravidanza. Dove posso trovarne uno?" Lui mi squadrò da capo a piedi e mi indicò l'ultimo corridoio a destra. Per essere piccola, la libreria, era ben fornita. Mi diressi dove indicato e lessi tutti i titoli dei libri. Non sapevo dove mettere le mani. Perché ero così testardo e stupido? Avrei semplicemente dovuto andare da lei e rivendicare la mia proprietà. Scossi la testa: lei non era mia. Osservai tutti i libri presenti e ne pescai uno a caso dallo scaffale. Lo guardai. Poteva andare. Ritornai all'entrata e mi diressi verso la cassa. Adesso, alla cassa, c'era solamente il ragazzo. Lo guardai. Lui mi guardò. "É in dolce attesa?" Mi chiese, sorridendo. Stavo per rispondere quando Ariadne ci raggiunse, senza grembiule ma con la sua borsetta a tracolla. "Si...in dolce attesa." Lui sorrise. Gli consegnai il libro e lui lo fece passare in cassa. Nel frattempo tirai fuori i soldi. "Sono...10,99$. E come si chiama la fortunata?" Risi. "Ariadne." Gli lasciai i soldi e me ne andai. Uscii dal negozio e mi diressi verso la macchina. Mi ci appoggiai contro e l'aspettai lì, sfogliando il libro. Non so se lo avrei mai letto. Buffai e aspettai. Uno...due...tre. La porta del negozio si aprì e ne uscì lei. Si guardò a destra e a sinistra fino a quando non mi vide. Venne verso di me. Io aprii l'auto e mi ci infilai dentro. La portiera si aprì e lei entrò. Misi in moto e partimmo. "Sei arrivato in ritardo." Risi, risi di gusto. "Non mi sembra ti sia dispiaciuto." Lei mi guardò, sorpresa. "Sei, per caso, geloso?" La guardai, contrariato. "Decisamente no." Lei sospirò. Il mio tono mi aveva tradito. "Sei tu che non ci vuoi, che non ci vuoi neanche provare." Io strinsi le mani al volante, tanto che le nocche mi diventarono bianche. Sapevo che stavo per dire qualcosa di davvero brutto. "Infatti non vi voglio." Lei sussultó, alle mie parole, e si portò una mano alla bocca. Trattenne un singhiozzo e poggió la testa al finestrino. La guardai piangere sommessamente. Mi sentivo un mostro. Arrivati a casa parcheggiai l'auto e lei scese immediatamente dalla macchina. Scappò verso l'entrata. Io la raggiunsi in fretta e aprii la porta. Salimmo le scale fino a casa. Aprii anche questa porta ad entrammo in casa. Si fiondò in camera sua, chiudendo la porta e sbattendola, e io la seguii, poggiando il libro sulla penisola. Tempo dieci secondi e la porta della sua camera si riaprì. Ne uscì lei, senza più borsa, con le lacrime che scendevano e una misera mano a spazzarle via. Una lama mi trapassò il petto: ero stato io a ridurla così. "P-perché uno dei miei b-borsoni è vuoto? E i m-miei vestiti sono quasi t-tutti negli armadi?" Tirò su con il naso e mi guardò. Il suo sguardo era triste e vuoto. Esprimeva bisogno. Io mi avvicinai a lei. "Ho pensato fosse una bella cosa aiutarti a svuotare i borsoni." Lei annuì e riamase ferma a pensare. "Grazie." Annuii. Lei si voltò, dandomi le spalle, e tornò in camera sua, richiudendo la porta. Io mi passai una mano sul viso e scossi la testa. Ero proprio una grandissima testa di cazzo. Tornai in sala e mi sedetti sul divano, mi tolsi le scarpe e mi misi comodo. Accesi la televisione e gurdai l'ora: quattro meno un quarto. Sentii dei paesi dietro di me e mi voltai immediatamente. Era lei. Aveva il suo solito pigiama e la sua solita treccia. Il viso era ancora un po rosso per il pianto ma si vedeva che aveva ormai smesso. Mi guardò per poco e poi venne da me, venne verso il divano. Ci si sedette sopra e incrociò le gambe, sempre guardandomi. "Mi dispiace per ciò che ho detto, non era mia intenzione offenderti e farti piangere." Lei annuì semplicemente. "A me dispiace di averti accusato." Io annuii semplicemente. "A volte le parole che si pensano fuoriescono...è semplicemente l'istinto che vince sul buon senso." Mi ritrovai ad essere d'accordo con lei, ad annuire alle sue parole. "Verresti...verresti ad aiutarmi a sistemare il secondo ed ultimo borsone?" Sorrisi, rincuorato. "Sarebbe un privilegio per me, signorina." Rise di gusto e, a quel suono, il mio cuore fece una capriola. Si alzò in piedi e saltellando si diresse verso la sua camera. Io spensi la televisione e la seguii. Entrai in camera e lasciai la porta aperta. "Ti piace come ho sistemato le cose?" Lei annuì. "Signore, lei ha fatto un bellissimo lavoro." Risi e mi inchinai. "Grazie, signorina." Mi tirai su e la trovai seduta sul letto a ridere di cuore. Era così bella. Risi anche io e mi diressi verso gli armadi. Li aprii e mi girai. Anche lei si alzò e aprì il borsone restante. "Io sono molto disordinata quindi io ti passo la roba e tu la sistemi." Risi. Furba la ragazza. "Come far fare il lavoro sporco agli altri." Arrosì. Scossi la testa, sorridendo. Lei tirò fuori i vestiti e incominciò a piegarli e poi a passarmeli. Eravamo una buona squadra. Mi passò delle Vans porpora e io le sistemai vicino alle altre paia di scarpe. Lei mi osservò. "Mai pensato di fare il commesso?" Scoppiai a ridere. "Ne faccio anche a meno...il mio lavoro mi piace." Lei annuì. Continuammo a sistemare i vestiti per una ventina di minuti, a volte in silenzio e a volte scherzando. A un certo punto mi rigirai, per prendere i vestiti, ma trovai Ariadne ferma. Mi piegai per prendere il borsone ma Ariadne lo spostò di scatto, ancora prima di averlo anche solo potuto toccare. Lei abbassò lo sguardo e arrossì. Mi avvicinai a lei. "Girati." La guardai accigliato. Lei prese il borsone e si avvicinò all'armadio, aprì un cassetto e, di spalle e nascondendo il borsone, lo svuotò. Io mi voltai, come richiesto. In tutto questo tempo avevamo sistemato vestiti, maglie, maglioncini e pantaloni. Cosa voleva nascondere? Arrivai subito alla soluzione. L'intimo. Arrossii anche io e sorrisi. Sentii le porte degli armadi chiudersi e Ariadne ricomparve davanti a me. Ridemmo insieme. "Abbiamo finito." Lei annuì. Presi il borsone e lo misi sotto il letto insieme all'altro. Io e Ariadne ci demmo il cinque. "Sala?" "Assolutamente si." Andammo in sala e lei si posizionò sul divano, accendendo la televisione. "Film?" Mi guardò, sorridendo, e alzò le sopracciglia. "Assolutamente si." Rise e si fiondò a scegliere il film. 'Scegliere' per modo di dire. Sapevo che avrebbe preso Eclipse. Quella stranissima ragazza andava pazza per quella stupidissima saga. Esattamente come mia sorella, quelle due sarebbero andate d'amore e d'accordo una volta conosciutesi. A proposito...dovevo parlare della visita ginecologica ad Ariadne. Prese il film, come avevo immaginato, e lo inserì nel lettore. "Aspetta a far partire il film." Lei si girò verso di me. "Perché? Devo assolutamente vedere Eclipse!" Si lamentò come una bambina. "Devo dirti una cosa importante." Lei si mise in ginocchio sul divano, affacciandosi allo schienale. "Ovvero?" Aprii il frigo e presi da dentro di esso una birra. Presi il cavatappi da uno dei cassetti della cucina, aprii la bottiglia e lo riposi nel cassetto. Ne presi un sorso e mi preparai il discorso. "Mia sorella è ginecologa e quindi ti ho fissato un appuntamento con lei." A quelle parole Ariadne crollò, come un sacco di patate, sul divano. Risi e la raggiunsi. La osservavo dall'alto, osservavo la sua espressione. "Sei arrabbiata?" "Non avrebbe senso essere arrabbiata, John. In fondo è per il mio e il suo bene." Io annuii. "L'unica cosa che mi preoccupa è il fatto che a visitarmi sia tua sorella...immagino tu le abbia detto chi sono." "L'ho dovuto fare, Ariadne. Non mi piace mentire, sopratutto alla mia famiglia." Sconsolata annuì. Io mi sedetti sul divano e le offrii in sorso di birra. Lei declinò l'offerta. "Non posso, l'essere incinta mi impedisce molte cose." Mi schiaffeggiai mentalmente. Come avevo fatto a dimenticarmene? "Scusami." Lei alzò le spalle e mi sorrise. "Quando sarebbe la visita?" "Lunedì prossimo alle 4." Lei annuì. "Pronto per il film?" Come risposta bevvi un gran sorso di birra. Lei scoppiò a ridere e fece partire il film. "Cosa mangiamo stasera?" Mi chiese a bassa voce, come per non disturbare qualcuno di immaginario. Mi abbassai al suo orecchio per rispondere alla sua domanda. "Sangue."
STAI LEGGENDO
Noi e il frutto del nostro amore
ChickLitJohn, bello e simpatico, gentile e sicuro di sè, ragazzo che tutte vorrebberò ma, per lui, deve essere, rigorosamente, solo per una notte. Ariadne, bella e timida, buona e insicura di sè, ragazza che tutti vorrebberò, rigorosamente, per sempre. Una...