Capitolo 32

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Guardo giù: sono sul punto più alto dell'edificio, alto abbastanza perchè tutto quanto finisca nel giro di una manciata di secondi.

Gli ultimi giorni sono stati un inferno. All'inizio credevo di potercela fare: in fondo, gli altri potevano anche parlare alle mie spalle e insultarmi, tanto tra poco più di un anno avrei lasciato per sempre quella scuola e non li avrei più rivisti. Nel frattempo, avrei avuto Jace, Izzy e gli altri. Mi sarebbe andata meglio che a molte altre persone nella mia situazione.

Non ero ancora sicuro che quanto aveva detto Camille fosse vero, anche se sembrava una spiegazione plausibile agli eventi. Avevo cercato di contattare Magnus, ma si ostinava a non rispondermi. Alla fine, mi sono convinto che se mi ignorava voleva dire che non gli importava di me, dunque cercavo di pensarci il meno possibile. Credevo che rivolgendo la mia mente altrove, sarebbe stato tutto più o meno a posto. E ha funzionato, per un paio d'ore. Poi, dopo essere tornato a casa da scuola, mia madre mi ha chiesto di uscire per fare un paio di commissioni che lei non poteva sbrigare a causa di impegni di lavoro. L'ho accontentata, ma mentre tornavo indietro mi sono imbattuto in un gruppetto di ragazzi della mia scuola. Erano tre o quattro. Io ho cercato di cambiare strada, non appena li ho visti, ma mi sono accorto di essere circondato. Mi avevano teso un'imboscata, erano in tutto una decina.

All'inizio, dato che eravamo in una via non molto frequentata, ma comunque percorsa da diverse persone, mi hanno dato delle pacche sulla spalla e hanno finto di essere miei amici, a beneficio dei pochi passanti.
Ho cercato di liberarmi dalla loro presa, ma non ci sono riuscito. Hanno iniziato a camminare e uno di loro mi ha sfilato il telefono dalla tasca dei pantaloni.

Hanno imboccato un vicoletto e poi un altro. Si sentivano i rumori del traffico, ma non c'erano passanti in vista. Si sono stretti intorno a me, come in una morsa. Ho combattuto, ma c'era ben poco che potessi fare, eravamo dieci contro uno. Mi hanno gettato a terra e preso a calci.

Ma il peggio non era stato quello, no. Il peggio era venuto dopo, dato dalla combinazione di aria fresca di inizio maggio sulla mia pelle nuda e di calore sgradevole di corpi pulsanti di vita, ma a me estranei, che si insinuavano con violenza dentro di me.

Se ne sono andati non molto tempo dopo, lasciandomi steso in strada, ricoperto di sangue e viscido, caldo, sporco liquido bianco. Uno di loro è anche tornato indietro. Ha gettato delle monete davanti alla mia faccia e ha detto: "Grazie per le tue prestazioni, siamo sicuri che è piaciuto a te quanto a noi. Torneremo a cercarti presto - si è avvicinato a me, quasi sussurrando - molto presto." Poi se n'è andato.

Non so dire per quanto sono rimasto sdraiato a terra. Alla fine mi sono inginocchiato lentamente e ho vomitato quel poco che avevo nello stomaco. Mi sono tirato su e rivestito.

In qualche modo sono tornato a casa, dove non c'era ancora nessuno. Sono corso in bagno, mi sono tolto i vestiti di dosso più in fretta che ho potuto, anche strappandoli. Ho vomitato ancora e mi sono infilato sotto la doccia. Mi sentivo sporco, sudicio, lurido. Presto mi sono reso conto che l'acqua e il sapone non bastavano più. Ho preso la spugna e ho iniziato a strofinarmi tutto il corpo, con tanta forza da scorticarmi la pelle. Credo di essere rimasto per ore in quella doccia.

Quando finalmente mi sono deciso a uscire, mi sono stretto nell'accappatoio e mi sono guardato allo specchio.
Mi facevo schifo. Non sono riuscito a reggere il mio sguardo per più di una manciata di secondi. Continuavo a tremare, sentivo ancora la loro sporcizia colarmi lungo le gambe, mi sembrava di impazzire.

Mi sono lavato i denti per eliminare il sapore di vomito dalla bocca, mi sono infilato dei vestiti puliti e sono corso in camera mia. Mi sono guardato intorno, poi ho chiuso a chiave la porta, mi sono accertato che anche le finestre fossero ben chiuse e mi sono rannicchiato sul letto, avvolto in una coperta. Solo allora mi sono reso conto di avere il respiro affannato.

Under Pressure || MalecDove le storie prendono vita. Scoprilo ora