Capitolo 6

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Non è stata una bella giornata.

E di certo ripulire il portico di casa di Jace dal vomito non aiuta a migliorare la situazione.

Tanto per cominciare, sono arrivato in ritardo a scuola. In ritardo già al secondo giorno, fantastico.

Però non è stata colpa mia, ma di Izzy: ieri mi aveva fatto giurare di costringerla ad andare a scuola, anche con la forza, a prescindere da quanto avesse bevuto.

E io mantengo sempre quel che prometto.

Il problema è che Isabelle ci ha impiegato il doppio del tempo a prepararsi e a truccarsi per nascondere le profonde occhiaie che le segnavano il viso, e per colpa sua sono arrivato in ritardo.

Poi le lezioni erano noiose: siamo in quel periodo dell'anno in cui non si affrontano ancora argomenti nuovi in favore di un sano ripasso del programma dell'anno precedente.

Insomma, una noia mortale.

Poi Izzy si è sentita male, ha chiesto ad una bidella di chiamarmi e ho passato con lei in infermeria la quarta ora e buona parte della pausa pranzo, fin quando non è arrivato Simon a darmi il cambio. 

Allora ho lasciato l'infermeria lanciando un'occhiata assassina a Simon e mi sono fiondato in mensa.

Volevo parlare con Magnus e scusarmi per la maleducazione con cui l'avevo lasciato solo dopo che avevo accompagnato Lydia a casa. Mi avrebbe fatto piacere chiacchierare con lui un altro po', ma non l'avevo più visto e avevo pensato che si fosse offeso.

Però in mensa non c'era, quindi mi sono seduto con Jace, Clary e Lydia al nostro solito tavolo.

"Come sta Izzy?" mi aveva chiesto Clary.

"Ora sta meglio, ha solo un gran mal di testa. C'è Simon con lei."

"Robert non può venirvi a prendere?" aveva chiesto allora Jace.

"No, deve lavorare. Passa a prenderci quando finiscono le lezioni. Però quando arrivo a casa la lascio con mia madre e vengo ad aiutarti a ripulire casa."

"Grazie Alec, sei un amico."

Poi ho finito di mangiare e sono tornato in infermeria da Izzy, rimanendo al suo fianco finchè le lezioni non sono finite e nostro padre non ci è venuto a prendere.

Una volta a casa ho aiutato mia sorella a stendersi sul suo letto e ho chiamato nostra madre perchè si occupasse di lei, poi sono andato da Jace.

Ed eccomi qua, inginocchiato a pulire vomito dal portico di casa sua.

"Ehy Alec - esclama Jace affacciandosi alla porta - pausa birra?"

"Decisamente"

Entro in casa preceduto da Jace, che prende un paio di birre avanzate da ieri sera e si butta con molta poca grazia sul divano.

"Allora Alec - inizia - ora che hai quasi diciotto anni, pensi di trovarti finalmente una ragazza?"

Riesco a non strozzarmi con la birra che sto bevendo per miracolo: Jace in genere parla di se stesso, di Clary, di se stesso, del football e di se stesso. Mai di me. E a me va bene: ascoltare i suoi problemi mi distrae dai miei.

E soprattutto non sa che sono gay. Non lo sa nessuno, a parte mia sorella.

E io ho troppa paura per dirlo a qualcun'altro, anche al mio mio migliore amico: ho paura di non essere accettato, paura di venire trattato in modo diverso, paura che le persone, di me, abbiano sempre e solo amato la facciata che mi ero costruito e mai me, il vero me; paura di essere allontanato da lui, da Jace, il mio migliore amico.

Under Pressure || MalecDove le storie prendono vita. Scoprilo ora