Capitolo 15

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Niente soavi versi di anatra come sveglia, stamattina.

Nè tantomeno sveglie, in effetti.

Oggi non è giornata.

Non lo è da otto anni a questa parte.

R&R lo sanno, infatti evitano di svegliarmi: normalmente Ragnor mi avrebbe buttato in testa il primo oggetto che avesse avuto a disposizione per svegliarmi, poco importa se fosse stato un cuscino o una sedia, ma oggi mi lascia dormire.

Secondo lui, più tardi mi alzo, meno tempo avrò per piangere.

Il che non è del tutto sbagliato, in effetti.

Quando mi sveglio sono circa le nove. Mi dirigo a passi lenti verso la cucina, dove trovo un biglietto sul tavolo.

È da parte di Ragnor, dice:

Buongiorno! Io e Raph siamo a scuola, facci sapere se vuoi che torniamo subito dopo la fine delle lezioni o se preferisci che ti lasciamo un po' da solo. Ah, ti ho lasciato dei pancake in frigo.
Ragnor

È sempre così premuroso con me, non mi merito un amico come lui.

Nè tantomeno merito degli amici, una casa o qualunque cosa io possieda. Non dopo quello che ho fatto.

Mi accascio contro il frigorifero senza nemmeno aprirlo, in questo momento provo soltanto tristezza e sconforto, non riuscirei a mangiare qualcosa neanche volendo.

E in un attimo i ricordi ritornano tutti, perfettamente intatti nonostante abbia cercato di dimenticarli non so quante volte.

Ormai fanno parte di me, non posso liberarmene senza perdere un pezzetto della mia identità. È per questo che li reprimo per 364 giorni all'anno. Finchè un giorno tornano, ed esplodono come bombe ad orologeria.

Cerco di alzarmi lentamente e mi trascino sul divano. È molto più comodo del pavimento, per piangere. E anche più caldo.

Mi butto sul divano e le immagini iniziano a scorrere davanti ai miei occhi senza che io possa fare nulla per fermarle.

C'è un sorriso, così smagliante da illuminare la stanza.

C'è una mano morbida che mi accarezza i capelli.

Poi c'è odore di alcool.

C'è un rumore sordo, come di qualcosa di pesante che sbatte.

C'è un urlo di disperazione.

C'è un corpo freddo e inerme.

C'è un coltello.

C'è del sangue. Tanto sangue. Forse troppo sangue.

E soprattutto c'è dolore. Ovunque, in ogni parte del corpo. Ma è soprattutto il cuore a fare male.

Certe volte mi sembra di essere un fantasma, uno di quegli spiriti dei morti che non può andare oltre perchè qualcosa di incompiuto lo tiene ancorato in una specie di dimensione a metà. I ricordi sono la stessa cosa, mi tengono bloccato qui, incapace di dimenticare e soprattutto di andare avanti.

Non so per quanto tempo resto lì, buttato sul divano come un mucchietto di stracci, a piangere.

So benissimo che stare qui a piangermi addosso non risolverà niente, ma è l'unica cosa che mi resta da fare.

Under Pressure || MalecDove le storie prendono vita. Scoprilo ora