1. Panem et circenses

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Michelito si era seduto su uno dei leggeri scrigni di carbonio per mangiare il suo panino al prosciutto e avocado, mentre guardava il resto dei suoi compagni che si affaccendavano per montare le ultime luci led del palcoscenico. Avrebbe voluto finire il lavoro insieme a loro, ma il suo stomaco brontolava decisamente troppo, visto che il pranzo era già stato rimandato di oltre due ore.

Quella sera ci sarebbe stato uno spettacolo multimediale finanziato dalla Watermelon Inc., che essendo l'azienda più importante degli Stati Uniti d'America aveva ovviamente versato una somma generosissima a tutti i lavoratori... l'unico peccato era che il preavviso dato loro era stato pochissimo. Montare gli elementi delle scenografie interattive, le luci, i carrelli per le videocamere, le casse e gli schermi led in meno di sette ore stava richiedendo una certa fatica, ma Michelito non era uno di quelli che si lamentavano.

Mangiò il panino come un leone, bevendo sorsi di Hypno-Cola per mandare giù i corposi bocconi, si pulì le mani sui pantaloncini e scattò di nuovo in piedi, pronto a tornare al lavoro. Era stato assunto come supervisore del montaggio in virtù del suo potere: interagire con le apparecchiature elettriche semplicemente con il pensiero, calibrandole, controllandole e persino programmandole grazie alla sua capacità di interferire con le più infinitesimali scariche elettriche.

Il suo non era un potere grandioso e vistoso come quello di Helena (la ragazza che stava trasportando quasi cento chili di materiale racchiuso in uno degli scrigni di carbonio, sollevandolo con una mano sola) o Joshua (che stava testando la luce dell'occhio di bue, alimentandolo con l'energia generata dalle sue mani), ma era fondamentale. E a lui piaceva, gli piaceva davvero tanto.

«No! No ragazzi, state montando quei diodi al contrario, la corrente deve passare in senso contrario!» Esclamò Michelito, avvicinandosi a grandi passi a due operai che stavano finendo di infilare le lucine in una grossa scritta a caratteri cubitali.

«Al contrario?» Ripeté uno dei due operai.

«Sì, zio, al contrario» il giovane fece finta di avvitare qualcosa a mezz'aria, poi additò la scritta incompleta «Questa deve rimanere in bi-kappa-gi tutto il tempo, è importante fare le cose per bene».

Uno dei due operai, il più alto, un uomo scattante sulla cinquantina, si grattò la testa e lo guardò con confusione gufesca. «Bi-kappa...?»

«Bi-kappa-gi. Ehm... sullo sfondo».

L'operaio alto annuì e si chinò per mettersi al lavoro secondo le indicazioni del supervisore. Era stato assunto da poco e capitava ancora che facesse qualche strafalcione, ma Michelito aveva sempre apprezzato il fatto che, al contrario di molti altri, non aveva problemi a farsi correggere da qualcuno più esperto di lui, anche se si trattava di qualcuno che aveva parecchi anni in meno.

«Ah, mi ricordi me quando ero più giovane, Michelino. Anche io quando parlavo non mi capiva nessuno»

«Anche ora non ti si segue sempre facile, Teo» gli disse bonariamente il ragazzo, sbirciando il lavoro dell'operaio

«Va bene così?»

«Bel gioco, zio. Va bene così» lo rassicurò Michelito, battendogli una mano sulla spalla

«Quando abbiamo finito possiamo parlare, Michelino?»

«Certo, Teo. Ora concentriamoci qui, però, okay?».

L'altro annuì e tornò al lavoro, battendo ritmicamente uno dei piedoni a terra.

Michelito si allontanò di qualche passo, girellando tra i colleghi per vedere dove avrebbe potuto essere più d'aiuto.

Nonostante l'identità dei finanziatori, ci teneva che lo spettacolo riuscisse bene.

La Watermelon Inc. era un'azienda attorno a cui si era creata una nomea piuttosto ambigua. Per un certo periodo era stato quasi conoscenza comune il fatto che l'azienda simpatizzasse per Werhunter, uno dei più spregevoli supercriminali che l'America avesse conosciuto, nonostante i tentativi di smentire la cosa. Adesso si mormorava che avessero segretamente cambiato bandiera, mettendosi al totale servizio del nuovo dittatore.

Il pubblico non aveva apprezzato, le vendite stavano calando ad una velocità allarmante. Così la Watermelon Inc. aveva iniziato a farsi pubblicità spietata e finanziare spettacoli che potessero mettere le loro malefatte in secondo piano.

"Panem et circenses. Sono sempre dal lato sbagliato della storia." Pensò Michelito.

La Watermelon Inc. e i suoi vertici erano i cagnolini dei potenti, inseguivano il denaro e il potere per rimanere a galla e in cambio offrivano tecnologia (di, bisognava ammetterlo, qualità sopraffina) e competenze per supportarli.

Michelito avrebbe voluto poter dire che l'unica cosa che gli interessava era poter lavorare senza scocciature ed essere pagato... ma non era del tutto vero. L'idea di mettersi a disposizione della Watermelon Inc. gli lasciava un senso di disagio addosso, anche se sapeva che in pochi si facevano altrettanti problemi.

Il nuovo regime non lasciava scampo: chiunque appartenesse ad un ceto medio o basso si trovava a dover fronteggiare nuove tasse, prezzi più alti e c'era un bisogno disperato di soldi. Semplicemente, non c'erano né tempo né energie per pensare alla moralità. Il governo non tirava abbastanza la corda da scatenare rivolte, ma abbastanza da strozzarci i lavoratori sì.

Una cospicua eredità aveva messo Michelito in condizioni migliori di molti altri, ma era empatico, sveglio e conosceva ormai fin troppo bene certi meccanismi per non rendersi conto di cosa stava succedendo.

«Vibrazioni positive» Si disse sottovoce, picchiettandosi la fronte con le dita unite.

Si guardò attorno per assicurarsi che il suo potere non avesse influenzato nessun macchinario. Sembrava tutto a posto.

Lasciò che i preparativi si prendessero tutta la sua attenzione. Adorava stare in mezzo alle persone ed essere circondato dai suoi colleghi che lavoravano, spostavano l'attrezzatura, davano gli ultimi ritocchi a questo o quello lo riempiva di entusiasmo. Amava il suo lavoro.

«Ehm, Michelino!» Lo chiamò l'operaio Teo «Ho finito con i diodi-cosi, qui. Puoi controllare se funziona?».

Michelito si avvicinò a passo svelto, spinse l'interruttore per accendere la scritta e la guardò illuminarsi di rosso. Si concentrò sul ronzio sottilissimo della corrente elettrica che entrava nei LED HL, così flebile che solo lui poteva percepirlo (e non lo percepiva certo con le orecchie, ma come nelle ossa, con un senso che gli altri parevano non possedere), e lo controllò. Le luci si accesero e poi spensero, come un'onda, poi alcune si accesero ed altre no, e infine tutta la scritta rimase stabilmente brillante di scarlatto.

«Funziona tutto, zio» Disse Michelito, soddisfatto «GG per te»

«Era l'ultimo per oggi, no?» domandò Teo, stanco e allegro al tempo stesso

«Tu puoi smontare, hai finito»
«E tu?»

«Io ci sono quasi» il ragazzo sorrise.

L'operaio Teo annuì. Stava continuando a battere il piede per terra, con un ritmo sincopato, ma senza forza.

«Ti conviene non rimanere fuori per la notte» Si intromise l'altro operaio, un ragazzo con le lentiggini e un nasino minuscolo, la voce simpatica da ranocchia.

Michelito guardò alle proprie spalle, dove qualcuno aveva fatto cadere una pila di cartoni (per fortuna niente di rotto), poi di nuovo verso i due operai.

«E perché no?» Domandò

«Non sai la storia del Mostro del Metropolitan?»

«No» Michelito rise «C'è un mostro nel Metropolitan? Un vecchio lenzuolo camminante o un demonio?»

«Un killer» disse l'operaio con le lentiggini, battendosi una mano sui calzoni coperti di polvere

Deus Ex MachinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora