22. Connessione

87 15 32
                                    

Il ragazzo si spogliò fino a rimanere con indosso solo un paio di boxer viola a strisce rosa, poi si infilò sotto le coperte fresche che si tirò su fino al mento. Ale fece lo stesso (e anche lei indossava i boxer, un paio grigio e pesante) e quando fu nel letto chiese: «Ma dove le trovi quelle mutande con i colori strani?».

Michelito riuscì a replicare solo con un suono disarticolato, assente: aveva la mente stranamente vuota, sebbene se la sentisse pesante per il sonno, come se ad essere voluminoso e greve non fosse affatto il suo cervello, ma piuttosto il suo cranio; si addormentò quasi immediatamente, lasciando ad Ale il compito di spegnere le luci.



Nel sogno, Michelito non era solo.

Nel sogno, Michelito non teneva per mano nessuno, ma sentiva che le sue dita stringevano qualcosa, fili impalpabili, e che quei fili avvolgevano il mondo.

Era immerso in un buio assoluto, perfetto, così nero che nella realtà non poteva esistere.

«Fiat lux» Sussurrò. Migliaia di piccole luci verdi si accesero nell'oscurità, un firmamento di led irregolare che creava costellazioni in cui lampeggiavano parole solo per un istante.

La voce di Hawk Storm riempì lo spazio.

«Michele Philippus» Disse

«Chi sei?» Domandò Michelito «Papà?»
«No. Io sono Toy Boy o-emme duemiladuecentosei, il tuo robot intelligente».

Le lucine verdi che punteggiavano l'oscurità si spensero e si riaccesero tutte contemporaneamente. Blink. Come palpebre che si aprivano e si chiudevano, perplesse.

«Toy Boy. Non dovresti parlare con me» Quasi ringhiò Michelito «Porti solo guai. Non dovevo vederti, non dovevo sapere del tizio che interpreta papà, non dovevo essere curioso. Perché parli con me?»
«Sei tu che parli con me, Michele detto Michelito. Tu mi hai acceso»
«Non volevo»

«Ma l'hai fatto»

«E perché non smetti adesso?»
«Tu mi hai acceso. Tu mi hai chiesto di parlare. E io posso parlare così solo a te, a nessun altro»

«Perché?»

«Perché tu parli dentro di me. Parli ai miei circuiti, non ai miei microfoni. Connettimi»

«Connetterti?»

«Connettimi»
«D'accordo. Cosa devi farmi vedere?»
«Cosa vuoi vedere?»

«Cosa voglio vedere?»
«Cosa vuoi vedere?»
«Cosa vogliamo vedere?»
«Cosa voglio vedere?»

«Cosa vogliamo vedere?» «Cosa vogliamo vedere?».

E d'un tratto Michelito non era più solo sé stesso, era pieno dei segnali di Toy Boy (nel buco dentro all'uovo di pasqua, non a forma di Ale, a forma di Toy Boy), il suo cervello sovrapposto a quello elettronico e programmato, insieme, pensando veloci come la luce, fatti di diodi e di transistor e di elettroni e di ormoni.

E Michelito d'un tratto vide il mondo, con una chiarezza come ne era mai esistita. Vide menzogne orribili che sfiguravano la realtà, le date sbagliate ("siamo nel futuro? Siamo nel FUTURO?") , le persone che le avevano decise, luoghi che non dovevano esistere e che invece esistevano, animali che erano esistiti in un tempo in cui si camminava liberi e libri di testo cancellati e bruciati e riscritti e pubblicati con lo stesso titolo.

C'erano luoghi, nel mondo, dove non esistevano supereroi.

C'erano luoghi, nel mondo, dove non esistevano neanche gli umani.

Deus Ex MachinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora