5. La storia di Toy Boy (parte 3)

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Quando l'indomani tornò tra noi, ci volle ancora meno tempo perché il suo comportamento cambiasse di nuovo. Come al solito, dapprima era sorridente e giocoso, ma bastarono solo poche ore perché qualcosa cambiasse di nuovo. Era concentrato, lo vedevo: ci stava osservando.

Scrutava le nostre interazioni, i nostri movimenti, il nostro aspetto. Dopo avermi chiesto il permesso, mi passò una mano tra i capelli e poi fece lo stesso coi propri.

Poi guardò gli altri, gli occhi socchiusi in un'espressione di confusione.

«Cosa cerchi, Toy Boy?» Gli chiesi, mentre lui si aggiustava il farfallino come farebbe un essere umano nervoso.

«Necessito di... nuove informazioni per processare un concetto. Vorrei che Lydia mi aiutasse ad espandere il mio database: sapresti dirmi dove si trova, per piacere?».

Gli indicai dove trovarla, ma credevo proprio che stesse per succedere qualcosa d'importante e volevo vedere che cosa aveva in mente di fare. Lo seguii con discrezione. Non so se lui non se ne accorse o se la cosa, semplicemente, non gli desse fastidio, ma non cercò di fermarmi.

Toy Boy proseguì e si approcciò alla mia collega, che si stava legando i capelli con un vecchio elastico giallo. Io mi ero fermato ad una certa distanza, lasciandoli parlare in pace.

«Lydia, amica mia! Come sei bella oggi!» Salutò il robot, allargando le braccia.

Lei gli fece segno di avvicinarsi per prendergli il viso sorridente tra le mani e scuoterlo un po', affettuosamente

«Ma tu sei ancora più bello, lo sai?».

Lui fece una risatina adorabile, altalenante, arricciando il naso

«Sei molto gentile, grazie! Posso fare una domanda?»

«Biscottino, dimmi tutto»

«Cosa sei tu?».

Lydia batté le palpebre, sorpresa.

«Io... sono una donna. Un essere umano».

Toy Boy la guardò un po' spaesato. Le sue emozioni avrebbero dovuto essere a favore degli umani con cui interagiva, abbellimenti della sua interfaccia, eppure la sua espressione mutò ancora come se stesse seguendo dei veri pensieri, esprimendo vere emozioni. Divenne concentrata, mentre prendeva la faccia di Lydia tra le mani.

Quelle mani, che si erano poggiate delicatissime sulla pelle di Lydia, avrebbero potuto spaccarle il cranio e comprimere tutto quello che c'era dentro in fretta e senza sforzo, se solo lo avesse voluto.

La donna lo lasciò fare, cercando i suoi occhi come una mamma apprensiva.

«Che strana cosa da chiedere! Non stai bene, Toy Boy?» Si sincerò lei, prendendogli le mani. Quella domanda sola già mostrava quanto lo umanizzasse.

Toy Boy le offrì una risposta standard, di quelle che gli avevo sentito dire già decine di volte, ma la sua espressione non rifletteva affatto le sue parole.

«Io sto bene, grazie mille per aver chiesto! E tu?»

«Sto bene, sto bene, grazie. Ma cosa volevi chiedermi, biscottino mio?».

Toy Boy rimase in silenzio per un attimo, processando, completamente immobile. Poi, parlò:

«Cosa è un essere umano?».

Non so di per certo perché avesse scelto di fare questa domanda a Lydia. Avrebbe potuto chiedere a Barbie, o a me, o al signor Green... parte di me si chiede se non fosse una questione di linguaggio: diciamo "umano" di chi è gentile e compassionevole, e lei era certamente la più compassionevole tra tutti noi, quindi la più umana.

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