27. La verità e la missione

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«Connesso, Ti-Bi?»

«Affermativo, Michelito!» cinguettò il robottino, adorabilmente collaborativo.

Il giovane Philippus sollevò il pollice alzato verso Serena, la quale stava finendo di settare i parametri del proiettore.

Il trio (più un robottino molto importante) era uscito di nuovo sul palco, per ultimare i rapidi preparativi che avrebbero consentito di svelare il segreto di Toy Boy di fronte ai presenti dell'Ultimo Rave.

Il cuore di Michelito batteva forte, ma di emozione, non di paura.

«Spero nessuno ci abbia registrato sopra negli ultimi anni» Disse Ale. Stava scherzando, ma cercava anche di non crearsi troppa aspettativa.

«Tipo sovrascrivendo i file della chiavetta? Oh no. Un quarto d'ora di pubblicità all'Ultimo Rave, te lo immagini? Sovversivo, zia»

«Non sono il tuo bro né tua zia. Le parentele non ti entrano in testa, Miche»

«Che cretina, lo sai che intendo!».

Serena si intromise: «Ho passato dei bei guai per tenere al sicuro questa chiavetta» e qui espirò rumorosamente, per scaricare la tensione «Quindi mi auguro che ci sia dentro esattamente quello che mi aspetto. Scendiamo, dobbiamo vedere bene anche noi. Prima fila, signore, signora e Toy Boy, che ne dite?».

La musica si era arrestata, lasciando i ballerini del teknival perplessi, in attesa della prossima canzone. Serena aveva fatto srotolare un grande telo bianco che si era steso in fondo al palco, e su cui era ora saldamente puntato il fascio di luce emanato dal proiettore. Alcune delle luci attorno erano ancora accese, interferendo con la visibilità, così Michelito le spense discretamente con l'aiuto del proprio potere.

La folla rumoreggiò incuriosita, qualcuno persino preoccupato, sciamando come l'acqua dentro un contenitore che era stato scosso nel concentrare la propria attenzione verso il palco.

Cosa stava succedendo? Era uno dei numeri organizzati per il teknival? Il Folle Fernando provò a salire credendo che fosse il suo momento di fare cantare le calopsitte, ma Ale riuscì a sbracciarsi e fargli capire ai gesti che era il caso rimanesse dov'era.

Alla destra di Michelito, Serena aveva iniziato a mangiarsi le unghie, gli occhi puntati sullo schermo. Lì il simbolo dei Mutoid, il cactus fiammeggiante, emerse improvvisamente in contrasto con lo sfondo bianco.

«Non riesco a crederci, non riesco a crederci» Borbottò sottovoce la DJ, prima di riprendere a mangiarsi le unghie. Michelito passò un braccio attorno alle spalle di Ale, tenendo sottobraccio lo zaino da cui Toy Boy faceva capolino e, collegato al proiettore, si godeva la visione insieme a loro.

Un rumore bianco e sottile iniziò a spandersi dalle altoparlanti, mentre il simbolo dei Mutoid sfumava nell'immagine seguente, un ambiente chiuso, un viso umano.

Michelito sentì Serena a fianco a lui trattenere il respiro e artigliargli un braccio, all'altezza del gomito. «Che succede? Serena? Che succede?» Indagò, bisbigliando.

Lei scosse la testa, senza riuscire a staccare gli occhi da quel viso conosciuto

«È... è solo che quella è mia sorella».

Il viso che aveva riempito lo schermo sorrise ad un pubblico che non poteva vedere. Guardò oltre l'obiettivo, assicurandosi che la telecamera che la riprendeva fosse dritta e funzionante, poi si fece un po' indietro.

Era una donna dai capelli lunghi e scuri, ma la sua età precisa era difficile da indovinare, camuffata dal pesante trucco punk che le cerchiava gli occhi e le colorava le labbra di nero. Indossava un collare borchiato ed un giacchetto di pelle, di cui si poteva vedere quel poco che entrava nell'inquadratura che la riprendeva fino alle spalle.

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