11. Ale

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Teo inspirò a fondo, poi tossì. Michelito prese a tamburellare con le dita sul proprio ginocchio, guardandosi intorno freneticamente. Nervoso, nervoso, nervoso. Ogni secondo sembrava lungo un'ora.

«Ehi!».

Michelito trasalì: li avevano già trovati? Ma non era nessuno di pericoloso, solo il tizio che faceva le pulizie, un uomo con i capelli grigi e baffoni a manubrio, che indossava la giubba con il logo del Metropolitan aperto sopra una maglietta delle Sorelle Tutte Matte, una girl band che andava particolarmente forte fra gli adolescenti.

«Ciao» Salutò Michelito, scattando in piedi

«Che è successo a quello lì?» Domandò il tizio delle pulizie, burbero «Ha preso qualche porcheria... qualche droga?»
«No, certo che no!»

«E allora che ha?»
«Sta male, ha avuto un incidente. Stiamo solo aspettando che dei nostri amici arrivino e lo porteremo via»
«Un incidente?»

«Sì. Un faretto lo ha schiacciato» Michelito si riabbassò per sollevare la maglietta di Teo e mostrare l'ampia ecchimosi sul torso dell'uomo «Un incidente sul lavoro, zio. E chiamare l'ambulanza costa troppo, lo sai...»

«Già!» l'uomo delle pulizie annuì, un po' meno sospettoso «Trecento dollari solo per fare un giro su quel furgoncino puzzolente sono davvero troppi. Che cosa pensano, che la gente sia fatta d'oro? Quando ero giovane io, farsi soccorrere da un'ambulanza costava solo cinquanta dollari, altroché»

«Io credo debbano essere gratis» rivelò Michelito, serio

«Gratis no, eh! Cioè, non siamo mica comunisti»
«Ma ci sono altri paesi che lo fanno, cioè, so che in Europa...»
«Comunisti» tagliò corto l'uomo delle pulizie, scuotendo la testa per poi allontanarsi trascinando dietro di sé l'enorme secchio su ruote e lo scopettone con le setole di plastica verdi, ondeggiante come il pennacchio di un elmo.

Michelito aspettò accucciato accanto all'amico, vegliandolo finché non arrivarono i soccorsi.

Ad un certo punto, Teo iniziò a chiudere gli occhi e lasciar ciondolare la testa, sempre più stanco. Quando Michelito gli parlava, spaventato dall'idea di lasciarlo addormentare, l'altro rispondeva perlopiù a mugolii e monosillabi. Ormai la mano sudata di Teo tremava così tanto che sembrava la stesse muovendo di proposito a destra e a sinistra.

"Non mi sta capendo neanche" Pensò Michelito. Iniziò a scuoterlo, cercando di non essere brusco

«Non andarmi in standby, zio! Resisti un altro poco, ti prego!»

«M' ho snno...»

«Lo so zio, mi spiace! Ma è importante che non dormi! Mi senti?»

«Mmmh...»

«Zio, zio, mi capisci?».

Un altro mugolio. Michelito non sapeva se si stesse sforzando di seguirlo, ma sapeva che non ce la faceva proprio, non era colpa sua.

Poi, un cinguettino chiptune dal suo cellulare lo avvertì che aveva ricevuto un messaggio.

"Esci".

Era stato inviato da un contatto salvato in rubrica col nome di "Ale" seguito dal simbolino di una birra e tre cuoricini viola.

Michelito accarezzò i capelli di Teo, prima di tirargli un paio di schiaffetti per dargli un po' di adrenalina. Dubitava che l'operaio sarebbe riuscito a collaborare, ma forse sarebbe riuscito a trasportarlo: era alto, ma non così massiccio...

"Asp un secondo?"

La risposta non si fece aspettare, un lapidario: "Va be'".

«Ce la fai a tenerti, se ti prendo in spalla? Sulla schiena, eh?» Chiese Michelito all'amico. Dovette ripetere la domanda un paio di volte prima di ottenere un sì biascicato, ma, ancora più importante, Teo riuscì davvero a passargli le braccia intorno al collo. Quelle gambe lunghe erano scomode da sistemare a peso morto, minacciando di sgusciare qui e lì e strisciare per terra, ma infine riuscì a sistemarlo e iniziare a barcollare via.

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