Capitolo 66

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Prendi fiato
e ricomincia

Mi sentivo come quelle ragazzine eccitate per il primo concerto della loro band preferita o alle prese con la prima cotta, sentivo come se tutto potesse essere possibile, seppur non amassi per niente dedicarmi alle faccende di casa l'avevo promesso questa mattina al telefono che quando sarei tornata a casa mi sarei data da fare per aver dormito da "Julie" e per aver preso una sottospecie di insufficienza in matematica: avevo delle lacune in quella materia, mia madre mi ripeteva sempre di iniziare con un argomento che non sapevo e iniziare a rattoppare per poter recuperare, il problema era che si trattava di un grosso buco come potevo risolvere con dei semplici cerotti?

Misi le cuffiette alle orecchie, dopo essermi accertata che fossero ben salde, cercai nella playlist che avevo creato qualche giorno rinominata come happy quella canzone che mi mandava letteralmente fuori di testa, una delle poche che con il suo ritmo riusciva a darmi la carica e a trasportarmi in uno stato di carica mai visto ovvero Titanium, iniziai a muovermi a tempo con l'aspirapolvere, mentre con lo straccio immaginavo di essere qualche diva che si dimenava in un nuovo balletto, e infine con la scopa iniziai a cantare come se fosse l'asta del microfono. Proprio quando finì di sistemare gran parte delle camere iniziai invece a dimenarmi sotto le prime note di Nobody's perfect, decisamente un'altra canzone che aveva quel qualcosa che mi faceva impazzire, con una piccola giravolta afferrai il matterello e dopo aver simulato un microfono mi sbracciai come se fossi la nuova Ariana Grande.

Chiusi gli occhi e immaginai il suo volto, le sue braccia che mi trattenevano mentre la maglietta si sollevava a poco a poco involontariamente, potei ricordare l'imbarazzo di questa mattina, mentre Tyler era troppo concentrato a mugugnare qualcosa ancora assonnato. Avevo una voglia matta di urlare qualcosa come Tyler sono cotta di te, ma ancora non ero così pronta da poterlo strepitare ai quattro venti.
Degna di nota non poteva essere il fatto che aveva deciso di prestarmi una sua maglietta che per mia fortuna abbastanza lunga da potermi coprire, ma poteva essere degno di nota il fatto che lui avesse insistito così tanto per farmi dormire insieme a lui?

Il suo corpo emanava un tale calore che nemmeno l'aria condizionata avrebbe fatto niente per poter risolvere la situazione, eppure mi aveva avvicinata a lui stringendomi con un braccio, come quando da piccolina avvicinavo a me il mio morbido peluche, mi sentivo un po' così.
Mi strofinai le mani imbarazzata.

"Tesoro siamo a casa." Si avvicinò mia madre avvolgendomi in un caldo abbraccio che trasudava amore e affetto da tutti i pori, aveva un sorriso magnifico, che mi rincuorava ogni volta. Persino da piccola quando combinavo guai, papà mi sgridava per le mie solite marachelle mentre lei si metteva sullo stipite regalandomi un po' di serenità. "Siamo usciti, pensavamo tornassi più tardi." Indicò le buste della spesa che papà aveva appena poggiato sul bancone della cucina, mi voltai verso l'orologio posto al di sopra del frigorifero notando con grande stupore che erano già le dodici e tre quarti.

Era da tanto che non passavo del tempo con i miei genitori, loro impegnati per il loro lavoro, io d'altro canto che uscivo spesso, e questo ci faceva incontrare poco persino nell'arco di una giornata, condividevamo una tazza di caffè e una brioche, e tornavamo a ritrovarci per cena o per il pranzo.
"Ho comprato due biglietti per andare a vedere la partita di baseball." mi sventolò mio padre di fronte agli occhi, lo abbracciai di getto senza nemmeno rimuginarci, sin da piccola mio papà aveva questa passione per lo sport: che sia basket, baseball o hockey sul ghiaccio non si perdeva una partita in televisione e quando poteva mi portava con se, aveva sempre difeso il fatto che io fossi un portafortuna umano, non riusciva più a guardarle quando al lavoro è stato promosso ad un grado maggiore, più impegno, più costanza e ovviamente più ore lavorative, avevano accostato questa sua grande passione.
"Non vedo l'ora, quando andremo?"
iniziai a domandare sotto lo sguardo divertito di mia madre che dal canto suo disprezzava quasi questa nostra tradizione, più che altro perché gli sport non facevano proprio per lei.
"Partiremo venerdì, e domenica pomeriggio saremo qui a casa." Annunciò felice, mentre con una mano battei il cinque provocando un suono secco.
I Boston Red erano la squadra preferita di mio padre, e per questo motivo anche la mia, avevamo anche comprato le magliette blu con la scritta Boston rigorosamente rossa, e i cappellini per non parlare dei calzini, se fosse stato per lui avremmo acquistato persino l'intimo di questa squadra, ma sarebbe risultato fin troppo eccessivo.

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