Capitolo 42

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canzone consigliata - let her go

T Y L E R

Spesso, troppo spesso mi sento vuoto, se dovessi dare una definizione al mio oggi molto probabilmente non assocerei nessuna frase adatta, eppure quel dolore lancinante nel petto non faceva altro che propagarsi in tutto al corpo, una scossa non sarebbe bastata a farmi tornare in me tantomeno parlarne con qualcuno credevo mi potesse fare stare meglio, dal momento che ogni volta che toccavo quei tasti a mio avviso dolenti le sensazioni dentro di me mutavano in maniera impressionante, e sicuramente non era un bene per me.

Definivo la mia vita come un pianoforte, non solo perché lo definivo il mio strumento preferito, adoravo sentire quella dolce melodia accompagnata anche dai tasti dai toni più gravi, i tasti neri rappresentavano tutto ciò che rappresentava una cattiva notizia, un dolore e una sconfitta tuttavia al contrario quelli bianchi erano tutte le volte che ci alzavamo dopo una partita persa, le gioie che ci offriva la vita.

Per un momento mi pentii, stavo coinvolgendo una persona estranea in quello che era stato il mio passato ma coinvolgeva il presente, non sapevo perché il mio instinto mi avesse portato proprio da lei, forse perché era così simile a lei, forse per sentirla più vicina, forse perché in fin dei conti credevo mi avesse saputo prendere per mano e comprendere le mie debolezze, non avevo nessuna idea del perché ma sapevo che in cuore mio non mi avrebbe deluso.
La guardai di sottecchi mentre il suo sguardo tramutava tranquillità ma dal modo in cui si agitava magari passandosi una mano fra i capelli, scattando da una parte all'altra lo sguardo,non sembrava essere poi così pacata.

Il silenzio tramutava più di mille parole, i nostri pensieri facevano baccano più di uno stereo con la musica a tutto volume. Avrei voluto sapere cosa in quel momento le stesse passando per la sua mente, se magari stava pensando a quello che le avrei dovuto dire a momenti o chissà, a quello che avrebbe dovuto mangiare per cena.

Un sorriso mi apparse d'istinto, pregai non mi avesse visto, non avrei avuto una scusante tanto meno le avrei detto il motivo di quella curva sul mio viso, pensava sempre a mangiare e alle sue amate barrette, non avrebbe amato nessuno più di loro, ne ero quasi certo.

Dopo averla convinta a venire via con me sulla mia Audi nera pensavo che tutto sarebbe stato semplice: confidarmi e magari trovare un punto di riferimento, ma sarebbe davvero stato così?

La intimai di scendere con un gesto fugace della mano, non se lo fece ripetere, sistemò l'orlo della sua maglietta bordeaux e si guardò intorno, probabilmente cercando qualcosa che le fosse famigliare, ma sarebbe stato quasi impossibile dal momento in cui si trovava lontano decine di chilometri da casa sua, e il suo sento dell'orientamento appariva pessimo, la prendevo in giro perennemente ricordandole che sapeva si e no le strade più importanti e quella per tornare a casa.

Il suo volto rivolto verso il mio in meno di qualche secondo, il suo sguardo parlava per lei, sapevo quanto fosse curiosa e sicuramente stava lottando contro se stessa per non proferire parola e per aspettare che lo facessi io. Lo apprezzavo molto.

"Non ti aspettavi che ti portassi qui."

La mia apparve più un'affermazione che una domanda, annuì impercettibilmente senza far uscire nessun suono dalla sua bocca, continuava solo a guardarsi attorno.
D'altro canto io conoscevo molto bene il posto come il resto della mia famiglia: si trattava di un cimitero privato appartenente a cinque famiglie differenti, non che questo fosse importante.
Non ero mai stato d'accordo con questa cosa, non aveva alcun senso ma mia madre aveva insistito talmente tanto che nessuno aveva pensato di opporsi, e poi quello era l'ultimo dei nostri problemi.

Non le avrei spiegato tutto dal principio, non ero in grado di sostenere una conversazione simile, almeno non in quel momento, in fin dei conti nemmeno Madison sapeva effettivamente chi fosse questa lei, ma aveva capito che non fosse qualcosa di scontato.

"Ti assomiglia sai -dissi fissando il marciapiede, eravamo seduti su una delle panchine di fronte a quel posto in cui non avrei messo piede, non quella sera, non con lei- aveva i capelli abbastanza lunghi, anche se nell'ultimo periodo aveva deciso che un caschetto le avrebbe dato quell'espressione da donna, ma lei non sapeva di esserlo già."

Mi bloccai per qualche secondo, la sua mano si avvicinò lentamente e titubante, forse per paura di una mia reazione non molto bella, accarezzò dolcemente il mio braccio e proseguii con il mio discorso.

"Lei è morta e io non ho potuto fare nulla, avrei dovuto essere più presente nella sua vita, ormai era divenuta una persona di famiglia, nessuno si da ancora pace per quello che le è successo- le sue sopracciglia si aggrottarono, se gli avessi dato la possibilità avrebbe fatto centinai di domande ma preferivo procedere per gradi, per me tutto questo risultava surreale, parlare di lei a qualcuno che non fosse un mio parente, in particolare i miei genitori, risultava parecchio strano- vogliamo semplicemente rivendicarla, non è giusto che lei se ne sia andata così, troppo in fretta."

Parlai velocemente per non cedere alla tentazione di urlare, di sembrare un pazzo maniaco, nonostante la sua espressione fosse molto comprensiva e di sicuro non sarei risultato uno psicopatico, male che vada solo una persona complessa, a tratti difficile.

"Hai bisogno di qualcuno che ti stia affianco, hai bisogno che qualcuno ti ricordi che affliggersi così tanto non è la soluzione migliore - finalmente parlò dopo aver sospirato precedentemente- hai bisogno di qualcuno che accarezzi le tue ferite e ti aiuti a ricucirle Tyler"
Pronunciò il mio nome con enfasi, come per dirmi che solo io avrei potuto fare qualcosa per me stesso, solo io avevo in mano le redini della mia vita, dunque solo io avrei permesso chi sarebbe stato in grado di aiutarmi, era questo che intendeva?

"So bene quanto possa essere difficile pensare che qualcuno possa aiutarti, ma so anche che quelle ferite sanguineranno sempre, hai solo bisogno di un antidolorifico."
Il suo sguardo parlava di per se, alludeva a qualcosa che probabilmente aveva segnato anche lei, per il modo in cui ne parlava, il suo tono di voce così basso, come se avesse un'esperienza alle spalle. Almeno lo credevo.
Le sue parole mi fecero riflettere, tanto da pensare che un'amica come lei mi avrebbe confortato, chissà. Ma avevo la netta sensazione che lei non sarebbe fuggita, e dal suo sguardo ne avevo persino la certezza.
Le accarezzai una guancia, chiuse gli occhi come per bearsi di quella sensazione nonostante per un'istante sembrava fosse scossa, e sicuramente non se l'aspettava.

In quel momento non servivano altre parole,
in fin dei conti le stavo facendo assaporare a poco a poco quell'amaro che per me aveva in qualche modo segnato il mio passato.
Però per parlare di me i pezzi di quel quadro dovevamo essere incastrati come un puzzle,
e io le avrei dato la possibilità di ricostruire il disegno poco a poco, ma solo se fosse stata disposta a saperne di più.

Le avrei dato un pezzetto alla volta, speravo soltanto non mi deludesse, e che questo servisse a qualcosa.









•••

Uno dei capitoli più lunghi che ho scritto fino ad adesso, in verità l'avrei fatto anche più lungo ma non volevo annoiarvi troppo, anyware sono molto contenta di averlo scritto, diciamo che sono soddisfatta dopo circa due ore.
Allora cosa ne pensate?
Come sempre spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto, se vi va lasciate una stellina di supporto, e un commento su ciò che vi passa per la testa.💫

IMPORTANTE:
Avevo pensato di prendermi una settima circa o poco meno per sistemare e revisionare ogni capitolo scritto fino ad adesso perché mi sono resa conto di non esserne soddisfatta al 100%
comunque sia vi avviserò poco prima!

Infine se ne avete voglia vi ricordo di passare sul profilo di MichaelNobile7, qui ci cimentiamo nello scrivere tutto ciò che ci passa per la mente, pensieri ingarbugliati, come gli chiamo io.

Al prossimo aggiornamento.
(Sarà venerdì sera)

•Benny❤️

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