Capitolo 25

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Era già mezzanotte passata, e io tra meno di mezz'ora avrei dato modo ai miei genitori di mettermi in punizione o sovrastarmi dalle numerose domande che facevano ogni qualvolta tardassi, anche di un minuto al di fuori del coprifuoco settimanale.
Nemmeno Julie, sarebbe servita come copertura, gli avevo convinti che potevo rimanere a casa sua più del dovuto, ma se superassi anche quel di più, sarei finita in guai seri. Soprattutto se mia madre avesse chiamato la mamma della mia migliore amica per chiedere conferma della mia giustificazione.

Era già successo, e fortunatamente era andata piuttosto bene.

Immaginai mia mamma con sguardo minaccioso e la sua solita vestaglia verde chiaro, i capelli legati alla rinfusa e lo sguardo stanco, farmi il terzo grado ancor prima di entrare dentro casa, magari con una ciabatta in mano o con una torcia, come per fare da investigatore. Mio padre, di solito non mi aspettava, era come me: pigro e piuttosto goffo, anche se preferiva non ammetterlo, ma ridacchiava sotto i baffi ogni qualvolta lo accusassi di questo.

Sollecitai Brian ad accompagnarmi a casa, nonostante io in fondo non volessi, nessun taxi sarebbe stato disponibile a quest'ora , e non in un punto così desolato dal resto della città. Mi intimò a restare ancora un po', nonostante stessi sbraitando da più di mezz'ora.
Non si curò di me, richiamò la barista per portargli un boccale di birra, un altro.

Quella sembrava essere la serata perfetta per morire alla guida del peggior nemico, ubriaco e per giunta con dei precedenti non del tutto "sani". Dunque, raccattai la borsetta e senza degnarlo di uno sguardo pensai che sarebbe stato meglio andarmene e chiamare qualcuno.

Prima che potessi scendere le scale di legno, mi strinse per un braccio, deglutì, le stesse sensazioni che pensavo fossero svanite del tutto, rifecero capolino nella mia mente.
Disgusto, pena: due sensazioni tanto familiari, che mi accesero quella lampadina d'allarme.

"Dove vai?"

Strattonai la presa e riuscì a liberarmi, non che avessi molta forza, ma il teatrino di modelle ammiccanti dietro di me, e tutto quell'alcool non sembravano farlo ragionare lucidamente.
O forse il suo pugno intorno al mio polso non era poi così forte come avevo immaginato.

"Vado a casa."

Non disse nient'altro. Cercai di fuggire da quel postaccio passando indiscreta, le urla di uomini ubriachi fradici mi fecero sussultare e velocizzare il passo, giurai fra me e me, che il prossimo posto l'avrei scelto io, magari una caffetteria se proprio fosse stato necessario incontrarci.

Avevo solo venti minuti per tornare a casa e al momento non avevo nessuna persona da chiamare:
Julie mi avrebbe fatto troppe domande, e io non potevo rivelare nulla, avevo promesso a me stessa di tenerla fuori per il suo bene.
Elodie, non mi sarebbe stata d'aiuto da Londra, era una mia cara amica, ma per colpa degli studi i suoi genitori l'avevano mandata a vivere dagli zii.
Tra i contatti mi apparse anche quello di Jason, non sarebbe riapparso magicamente, avevo dimenticato persino di eliminare ogni traccia della sua esistenza, avrei dovuto farlo, come lui aveva fatto con me solo qualche tempo prima.
Eppure non avevo mai avuto il coraggio di cliccare su quel pulsante rosso "elimina", per me era ancora un piccolo pezzo importante, nonostante tutto.

Ci sono parole che non possono essere pronunciate, per orgoglio, o semplicemente perché non c'è una vera e propria opportunità di dar sfogo ai propri pensieri.
Ci sono parole che fanno bene al cuore, e altre che sembrano essere peggio di una pugnalata in pieno ventre, o come dico io sarebbero peggio dei crampi al ventre prima delle mestruazioni.

Scesi ancor più giù, superando tutti quei numeri futili, che mi ero decisa di salvare, nonostante non avessi mai chiamato nemmeno una volta, si trattava di compagni delle medie, o di parenti.

Infine mi accorsi di possedere un numero che non avevo la minima idea e il minimo accenno di quando lo salvai tra i contatti, il nome di "Tyler" sembrava essere l'unica soluzione in quella notte invernale, mi avrebbe davvero salvata? No,non credo.

E mentre combattevo con l'orgoglio e la paura di una sua risposta che non sarebbe arrivata, i minuti scorrevano, solo quindici minuti di tempo per arrivare a casa. Se mi fossi messa a camminare a piedi ci avrei impiegato si e no una mezz'ora buona.

Schiacciai sul tasto della cornetta.
A ogni "bip" sussultai come se avessi paura di sentire la sua voce imprecare in ogni lingua.

"Pronto?"

Ripetè più volte, prima che potesse chiudere mi ritrovai a ricredermi era la mia unica soluzione, almeno quella sera.

•••
Holaaa ragazzuoli, questo capitolo l'ho fatto leggermente più corto, per regalarvi un po' di suspence!

808 parole solo per voi!

Allora, sono curiosa di sapere...
Cosa ne pensate?

Commentate in tanti, anche con critiche costruttive, eventuali ipotesi, tutto ciò
che volete,leggerò tutto come sempre.

-Benny

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