13 - un vecchio amico

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La colazione era stata più silenziosa di quel che mi sarei potuta immaginare. Il fatto che mi trovassi a tavola con quello che era stato il mio migliore amico, con il quale avevo perso i contatti senza un motivo apparente, e che fosse evidente che ci eravamo nascosti un bel pó di cose era sicuramente il motivo principale della tensione che percepivo, nonostante fossi impegnata ad abbuffarmi di una lauta colazione che papà mi aveva appositamente fatto preparare.
Lo trovai circa un ora dopo la fine della colazione. Finito il pasto mi ero fermata con il vampiro, Edmond, per rifinire gli ultimi dettagli ed avevo strappato all'uomo la promessa che avrebbe dato priorità all'affitto di una delle mie proprietà rispetto a quelle di estranei.
Ero seduta nel giardino anteriore, su una panchina vicino ad una fontana, riparata dal sole dall'ombra di un albero poco distante, quando sentii il rumore di passi. Indirizzai il mio sguardo in quella direzione e me lo ritrovai davanti. Non provò neanche a mascherare la sorpresa, non credo ci provò, non ne aveva motivo. Ci guardiamo per un pó "Quindi è lui?" L'ultima volta che mi aveva parlato della sua vita sentimentale era nei casini fino al collo con Julia e si vedeva con un uomo misterioso. "Si" mi informò "un vampiro" non so che tono usai per quella costatazione, più che altro la feci per interrompere il silenzio e, dal suo sguardo, compresi che aveva capito il mio intento "già, qui invece sono tutti mannari" probabilmente lo disse per la mia stessa ragione, evitare l'imbarazzo "già, visto la festa di ieri sera c'è ne sono più del normale" ammisi "tu non c'eri o ti avrei notato" constatai calma "credeva fosse più prudente per me" mi spiegò "perché? Pensava che i lupi ti avrebbero sbranato?" Ero sarcastica ma dalla sua faccia imbarazzata e dal modo in cui abbassò lo sguardo compresi che avevo fatto centro senza neanche volerlo. Mi ferì. "Se temevate così tanto che ti sbranassimo forse io dovrei temere che loro dissanguino mamma ed Eli" lo dissi per ripicca e lasciai trasparire lo sdegno che provavo per i loro timori.
Alle mie parole il suo sguardo scattò su di me, indignato "loro non se ne vanno in giro ad aggredire la gente" era arrabbiato, tanto, stringeva i pungni tanto da sbiancare le nocche "e noi non ce ne andiamo in giro a mangiare le persone" gli rinfacciai schifata dalla sola idea.
"non voglio litigare con te" quelle parole gli vennero fuori dopo un, anche troppo, lungo silenzio "neanche io" convenni. Eravamo stati amici per molti anni e non ci eravamo separati di certo per un litigio, a dire il vero non avevo idea del perché non ci fossimo più sentiti, ma non volevo di certo rovinare tutto. Rimanere civili era il minimo che potevamo essere. "Quindi questo posto..." cominciò guardandosi intorno "è la casa di mio padre" conclusi al suo posto "Quindi è vero" mormorò continuando a guardarsi intorno e ammirando i giardini e il palazzo perfettamente visibile da dove ci trovavamo "che è un mannaro?" Domandai incerta su cosa si riferisse "anche" ammise "mi hanno detto che il proprietario della tenuta è una persona molto importante, una specie di re tra i mannari" spiegò "una cosa del genere" convenni, intenzionata a non mettermi a spiegare tutta la società mannara. Ci mancava solo quello.
"Quindi tu.... vivi qui?" Era chiaro come il sole che la domanda che mi voleva rivolgere non era stata quella ma lo ignorai, non volevo complicazioni "no, assolutamente, è solo la seconda volta che ci vengo" spiegai "mi avevano detto che qui vivevano anche i suoi figli" spiegò "non tutti" chiarii "credevo fosse una specie di regola, che si vivesse tutti assieme se si è parenti" era evidente che non aveva idea di cosa stesse parlando "no, non c'è alcuna regola simile" negai. Quella conversazione mi stava spazientendo non poco, non se ne vedeva una fine o un senso ed io volevo starmene un pó in tranquillità "ho saputo dell'incidente, sarei venuto al funerale ma ero fuori città e quando sono tornato e me lo hanno detto tu eri andata già via" mi congelai. Non volevo parlare di quello, mai. Mi faceva male, sopratutto se a parlarne era chi non aveva idea di cosa fosse accaduto davvero. Non lo sopportavo. "Non fa niente" affermai "volevo solo dirti..." lo fermai prima che lo dicesse "non farlo, non voglio sentirlo, non voglio parlarne e non voglio ricordarmi quel giorno" lo informai prima che aprisse quel discorso "davvero?" Chiese titubante "si, fa male Andrea, mi fa star male. Ci ho messo anni ad accettarlo e ad andare avanti e ora voglio vivere quello che succederà e non restate bloccata in ricordi che non posso cambiare" ammisi e lui lo accettò senza controbattere.
Rimanemmo in silenzio per un pó, ognuno perso nei suoi pensieri, io mi concentrai sul profumo dell'erba tagliata da poco, il canto degli uccelli, la brezza fresca della mattina sulla pelle, cercando di ignorare un lieve formicolio sulle braccia "Diana" girai la testa per guardarlo quando mi chiamò, lo vidi fissarmi a bocca aperta, sorpreso, una reazione in netto contrasto rispetto al tono pacato con il quale aveva fatto il mio nome. Guardai il punto in cui i suoi occhi erano incollati. La pelle delle mie braccia si muoveva, come animata da volontà propria o forse come se qualcosa che vi fosse all'interno si muovesse. Fissai quello strano fenomeno cercando di capire cosa diavolo stava succedendo, non mi era mai capitato una cosa simile e non ne avevo mai sentito parlare prima, era strano, parecchio, ma almeno non faceva male. Non riuscii neanche a rendermi conto di aver concluso quel pensiero che mi ritrovai a terra, a quattro zampe. Il lupo prese il sopravvento sulla parte umana, e si che sapeva che fare. Corsi. Sfrecciai fuori dalle mura di cinta della tenuta di mio padre e mi immersi nel bosco, lasciando che fosse il lupo ad agire, senza mai provare a riportare al comando la parte umana. Era meglio così. In quel momento era il lupo ciò di cui avevamo bisogno.

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