Rebecca

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Una bambina.

Una piccolissima bambina perfetta mi stava crescendo dentro.

Non era più un pensiero astratto, avevo delle foto che lo provavano: era reale, concreta e mancava ormai pochissimo per vederla.

Essere incinta voleva dire mille cose, il mio corpo che cambiava, quella pancia spropositata che mi limitava nei movimenti quando ballavo, la consapevolezza che stava succedendo qualcosa. Ma quelle foto cambiavano tutto, cambiavano tutto davvero, in modo irreversibile.

Irreversibile...

Era sempre stata una parola legata a concetti per lo più negativi, ma, nel mio caso, irreversibile era positivo, perché, da lì in avanti potevo fare quello che volevo fare davvero e, cioè, andare avanti senza dovermi più guardare alle spalle.

Da quella improvvisa e inattesa rivelazione, da quel primo test di gravidanza fatto di nascosto in bagno, molte cose erano cambiate nella mia vita, perché, fino a quel momento, avevo dato la precedenza alla costruzione della mia autonomia, a crearmi un posto tutto mio, sereno, tranquillo, nel quale potessi riprendere in mano le redini della mia vita, perché, ammettiamolo, negli ultimi tempi mi sentivo come se la vita avesse preso il sopravvento su di me. Adesso non potevo più permettermi di ondeggiare nel vento, sospesa come una foglia ormai secca: dovevo diventare ramo rigoglioso, dal quale avrebbe potuto nascere nuova vita.

Fin a quel momento, avevo principalmente pensato a rimettermi in sesto, a capire cosa volessi diventare, a come sciogliere quell'intreccio di dubbi, rimpianti, segreti e ripensamenti che mi aveva tenuta in un limbo tutto mio nell'ultimo anno e mezzo.

Ero scesa a patti con me stessa, avevo preso piena coscienza di chi ero stata e di chi volevo diventare.

Nel mio passato, ero stata una ragazza molto insicura, che aveva avuto paura di prendere delle decisioni per non deludere gli altri e, così facendo, si era perduta e rovinata. Ero stata anche un'egoista, perché, fin dal primo momento, avevo saputo che la mia storia con Diego non poteva avere un futuro e innamorarmi di lui avrebbe portato solo guai, ma lo avevo voluto lo stesso, o, meglio, non ero riuscita a rinunciarci.

Alla fine era andata esattamente come avevo intuito, come la mia pancia mi aveva suggerito e adesso ne pagavo le conseguenze: sradicata dalla mia vita, mi ritrovavo lontano da casa a cercare disperatamente di rimettere insieme i pezzi di un puzzle scombinato.

Ora, però, le cose dovevano cambiare a ogni costo.

Non era più una questione che riguardava solo me, né dovevo pensare a ciò che volevo fare, ma a chi dovevo diventare.

Sarei diventata una madre, quindi gran parte della mia intera esistenza avrebbe ruotato intorno alla bambina.

Avrei, però, continuato a vivere: non volevo che la bambina in arrivo risucchiasse tutta la mia vita, facendomi diventare una madre insoddisfatta e, potenzialmente, crudele.

Avrei continuato a lavorare, in un modo o nell'altro me la sarei cavata: se il parto filava liscio, avrei avuto bisogno solo di un mese, forse due di riposo, prima di ritornare operativa e contavo di fare esattamente così. D'altra parte, non potevo permettermi di perdere molti giorni di lavoro, perché non navigavo nell'oro e, in quel momento, mi servivano entrambi i miei impieghi.

Stavo bene, mi sentivo in forma e non vedevo perché dovessi pensare che qualcosa sarebbe andato storto.

Dovevo terminare, beh, si poteva anche dire iniziare i lavori per la cameretta della bambina in arrivo, comprarle un piccolo corredino e attrezzare l'auto per gli spostamenti.

Per fortuna, avevo messo da parte un piccolo gruzzoletto proprio per quelle operazioni: ormai erano andati i tempi in cui mettevo abiti alla moda e scarpe col tacco - un vestito con le frange indossato in una sera che mi aveva cambiato la vita. Ora mi importava solo stare il più comoda possibile, quindi la mia divisa era abbigliamento premaman e scarpe basse o da ginnastica.

SEGRETI SVELATI (Sequel di SEGRETO)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora