Diego

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La disperazione portava a fare cose molto strane.

Appena uscito dalla stazione di Bologna, tirai fuori la mappa della città dove avevo segnato con un cerchietto rosso i tre negozi dove, potenzialmente, avrei potuto trovare Rebecca.

Il piano era piuttosto semplice: nel corso della giornata, avrei visitato tutti e tre i punti vendita, cercando di ingraziarmi almeno una delle commesse e sperando di ottenere le informazioni che mi servivano.

-Si lavora bene, qui? - chiesi alla prima ragazza, piuttosto in carne, con un grande sorriso rosso e occhiali da vista dalla spessa montatura nera.

-Abbastanza, sì - mi rispose con gentilezza, continuando a piegare maglioni.

-Lavorate a turni?

-No - ridacchiò scuotendo la testa - magari. Siamo in tre e copriamo l'intero orario di lavoro. Nei momenti di calma, è fattibile, ma durante i periodi di festa diventa un manicomio - fece roteare un dito sulla tempia e rise di nuovo, di una risatina sciocca e infantile.

La trovavo già fastidiosissima.

-Immagino - sorrisi e mi passai una mano tra i capelli. La ragazza alzò gli occhi verso di me, quasi vedendomi per la prima volta.

Dovevo averla colpita, perché arrossì furiosamente.

Questa volta, però, nessuno mi avrebbe chiesto informazioni su Alessandro.

-Abiti qui, nei paraggi? - mi chiese, avvicinandosi con circospezione.

-Sì, poco lontano - mentii, perché non potevo certo dirle che arrivavo da Milano per trovare l'amore della mia vita - potresti darmi qualche consiglio su cosa comprare?

-Certo, certo - si affrettò a dire, poi, arrossendo ancora di più - per la tua fidanzata?

-No, non sono fidanzato - avevo tolto la fede da tempo ormai - qualcosa per me.

Mentre mi mostrava camice e maglioni, ebbi il tempo di farle altre domande.

Si chiamava Giulia, aveva venticinque anni e stava terminando gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio e, nel frattempo, lavorava per guadagnare qualche soldo. Con le colleghe copriva l'intera giornata lavorativa: lei arrivava al mattino all'apertura, le dava il cambio una collega a mezzogiorno, che a sua volta veniva sostituita alle quattro fino all'ora di chiusura.

No, non erano turni fissi, potevano cambiare.

Sì, lavoravano tutte e tre lì già da un po'.

Sì, in linea di massima questa era la politica in tutti i negozi, ma ovviamente tra colleghe ci si faceva dei favori, all'occasione.

No, non andava d'accordo con tutte le sue colleghe, Daniela era una stronza, l'altra, invece era simpatica.

-E come si chiama l'altra collega? - chiesi sfoderando il mio sorriso più dolce.

-Non dovrei dirti il suo nome, sai, è una questione di privacy - mormorò e non mi sentii in dovere di farle notare che, invece, mi aveva già dato il nome dell'altra sua collega.

-Beh, pensavo che ormai fossimo entrati in confidenza - mi sentivo uno stronzo, perché mi stavo chiaramente approfittando del fatto che quella ragazza era attratta da me.

Ma il fine giustificava sempre i mezzi.

-Okay, facciamo un patto: io ti dico come si chiama e contravvengo a una regola, ma tu mi dai il tuo numero di telefono - alla faccia della timidezza.

-Affare fatto. Te l'avrei dato comunque - aggiunsi in fretta, a bassa voce.

Certo, come no.

-Viola, si chiama Viola - trattenendo una smorfia, infilai una mano in tasca e, con una penna, le presi una mano sulla quale scrissi alcuni numeri a caso.

SEGRETI SVELATI (Sequel di SEGRETO)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora