Rebecca

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Ormai a poche settimane dal parto, avevo deciso di mettermi in maternità.

Un concetto strano, a ben pensarci, perché fino all'ultimo secondo avevo ribadito la mia indipendenza, la mia autonomia, il mio essere in grado di saper gestire tutto, a prescindere da quello che stava succedendo al mio corpo. Eppure, le caviglie gonfie, il fiato corto, la perenne sonnolenza avevano avuto la meglio e mi avevano costretto ad alzare bandiera bianca.

Entrambi i miei datori di lavoro, sia al negozio che alla scuola di danza, erano entusiasti di come erano andate le cose fino a quel momento, quindi avevano accettato di buon grado il mio periodo di assenza e si aspettavano che, dopo qualche mese di riposo, avrei ripreso a lavorare a pieno regime.

Non avevo ancora le idee chiare su come avrei fatto con la bambina.

Probabilmente, avrei potuto portarmela in palestra.

Ma, in negozio? Non credevo proprio.

Non avevo dei genitori che potessero farle da nonni, né amici o conoscenti a cui lasciarla nelle ore di lavoro, quindi avrei dovuto trovarmi una babysitter.

Iniziare lo svezzamento il prima possibile.

Avrei allattato al seno?

Non ne avevo ancora la minima idea.

Non sapevo neanche se avrei partorito in modo naturale.

Il ginecologo sosteneva che tutto stava procedendo nel migliore dei modi, che dovevo solo cercare di non affaticarmi troppo e sarei riuscita a portare a termine la gravidanza senza un parto prematuro.

Era anche vero che, negli ultimissimi giorni, mi sentivo strana.

Tipo, quella notte non ero riuscita a dormire e mi ero svegliata presto, ancor prima delle luci dell'alba, quando ancora la città era immersa in un silenzio ovattato e rassicurante, per poi addormentarmi in un sonno tormentato alle prime luci dell'alba.

Fui risvegliata dal suono del campanello.

-Chi è? - chiesi al citofono con la voce ancora impastata dal sonno.

-Sono io, aprimi.

Niccolò non era certo nuovo a incursioni a casa mia senza preavviso, ma era strano vederlo a quell'ora del giorno. Quando comparve sulle scale del pianerottolo, il pensiero di me, grossa come una balena, con un pigiama premaman addosso, le ciabatte col pelo e i capelli di chi si è appena svegliato mi mise in imbarazzo.

-Scusa, mi sono appena svegliata - tentai di giustificarmi, ravvivandomi i capelli.

Ma, poi, perché dovevo sentirmi in imbarazzo?

Lui non era attratto da me, non poteva esserlo, quindi non avrebbe fatto caso al mio peso, alla mia faccia o a come ero vestita.

Ero solo ridicola a preoccuparmi per stupidaggini del genere: Niccolò non poteva perdere tempo con la sottoscritta e se era lì a quell'ora strana era solo perché noi eravamo amici.

E la sua amicizia mi bastava.

Gli feci spazio per farlo entrare in casa: aveva in mano diverse borse di plastica dall'aspetto familiare.

-Ma sai che ore sono? - chiese dirigendosi senza tanti preamboli in cucina.

Lo seguii, incuriosita.

-Non ne ho la minima idea - ammisi candidamente.

-È ora di pranzo e, visto che sapevo benissimo che non ti saresti mai organizzata, date le tue inesistenti doti culinarie - appoggiò sul tavolo le borse ed estrasse dei contenitori di alluminio dai quali proveniva un profumo invitante - Ho preso cibo da asporto per sfamarti.

SEGRETI SVELATI (Sequel di SEGRETO)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora