Niccolò

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Ma come ero finito in quella situazione? Solo cinque mesi prima, se mi avessero detto che mi sarei ritrovato nel cuore della notte nella sala d'attesa di una sala parto, col cuore che mi batteva così forte che sembrava sul punto di uscirmi dal petto, mi sarei messo a ridere.

Impossibile, avrei detto.

Non certo io.

Io ero uno spirito libero che non voleva legami, figuriamoci affrontare l'idea del parto, di un bambino, pannolini sporchi e via dicendo.

No, non potevo proprio essere io.

Eppure, eccomi lì ad aspettare, a tormentarmi le mani e asciugarmi il sudore sui jeans consumati.

Passavano i minuti e passavano le ore con una lentezza esasperante, senza nessuna notizia, solo l'orologio della sala d'attesa che battevano secondi che non passavano mai, fermi sempre sullo stesso numero, in eterno. Quell'attesa snervante mi stava sfibrando e non avere notizie era la cosa peggiore di tutte. Per un impaziente come me era una vera e propria tortura: ero sempre stato abituato ad avere tutto e subito, ma, da quando l'avevo conosciuta, avevo imparato ad aspettare, essere paziente e rispettare i tempi e anche quell'occasione non era un'eccezione.

Nel frattempo, dato che proprio non sapevo stare con le mani in mano, avevo fatto qualsiasi cosa: mandato messaggi a mio padre per chiedere come funzionava in questi casi, letto informazioni sui neonati su internet, fatto ricerche su Google, riguardato le nostre foto sul cellulare, misurato a passi il perimetro della sala d'attesa, mi ero fatto una treccina nei capelli, mi ero fissato le unghie per circa due ore, avevo sbuffato, cambiato posizione mille volte, mi ero alzato in piedi e riseduto, stiracchiato e innervosito.

Dopo qualcosa come cento anni, una delle ostetriche uscì dalla sala parto e mi si avvicinò:

-È lei l'amico di Rebecca? - annuii, balzando in piedi così in fretta che mi girò la testa. Dovevo bere un caffè e mangiare qualcosa - Ci sono state delle complicazioni.

-Cosa? - chiesi, forse un po' troppo ad alta voce.

-Le contrazioni non sono ancora sufficienti per un parto naturale. Abbiamo provato a stimolarla, ma non risponde ai trattamenti, per cui...

-Ma sta bene? - la interruppi, spazientito.

-Sì, ma per il bene della bambina è meglio non aspettare ancora. La bambina sta un po' soffrendo perché è in posizione e non riesce a uscire perché la signora non ha le contrazioni.

-E quindi?

-Quindi le faremo un taglio cesareo. Le stanno praticando l'epidurale in questo momento.

-Cioè, la taglierete? - balbettai incredulo.

-Sì, ma non si preoccupi, è una procedura standard - beh, standard un cavolo: dovevano aprirle la pancia, non era una cosa da tutti i giorni (anche se mio padre mi diceva che il taglio cesareo era un parto come tutti gli altri, ma, alla fine, lui che ne sapeva? Quella che avrebbero tagliato era Rebecca, non era tutti gli altri). Mentre io sudavo, l'ostetrica mi guardava placida e serena, come se niente fosse - stia tranquillo, aspetti qui e, nel giro di un'oretta, dovrebbe essere tutto finito e potrà vedere sua figlia.

Rimasi interdetto e non ebbi il tempo di dirle che Beatrice non era mia figlia, anche se ero stato per lei più padre del suo vero padre.

Io conoscevo i tratti del suo viso, avevo aiutato sua madre a sceglierle il corredino, avevo montato la sua culla, il fasciatoio e messo il seggiolino in auto, tutte cose che, sulla carta, avrebbe dovuto fare Diego, se solo non fosse stato sposato con un'altra donna a fare la bella vita a Milano. Non lo conoscevo nemmeno, ma quello che avevo saputo sul suo conto mi bastava per essere certo che fosse un idiota.

SEGRETI SVELATI (Sequel di SEGRETO)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora