Rebecca

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Mio Dio, mi sono fatta la pipì addosso.

Quello fu il mio primo pensiero quando sentii una sensazione di bagnato tra le gambe, in piena notte, nel bel mezzo di uno strano sogno di cui non ricordavo bene la trama.

Mi ero già svegliata almeno cinque volte a fare pipì da quando ero andata a dormire, ma, evidentemente, non erano bastate. Cercai a tentoni la luce della lampada sul comodino e, quando l'accesi, sollevai le coperte, imbarazzata e avvilita.

Fermi tutti.

Quella non era pipì, perché era di uno strano colore e di una strana consistenza.

Gesù, fu il mio primo pensiero, mi si sono rotte le acque.

Ci siamo.

Ci siamo davvero.

Era un po' presto rispetto alla data del parto, ma non troppo presto.

Poteva anche essere.

Mi alzai in piedi e mi resi conto che non mi reggevano le gambe. Non sapevo se fossi solo debole o paralizzata dalla paura per quello che stava per succedere.

La mia valigia per l'ospedale era pronta già da qualche giorno, dovevo solo prenderla e andare.

Ce la potevo fare.

Mi appoggiai al comodino con le ginocchia che mi tremavano così tanto che temetti di cadere per terra.

No, non ce la potevo fare, quindi feci l'unica cosa che mi venne in mente: chiamai Niccolò.

Ero veramente una bieca profittatrice a chiamarlo nel cuore della notte e pretendere che arrivasse a casa mia per darmi una mano. Eppure lui, come il perfetto cavaliere senza macchia e senza paura, nel giro di mezz'ora era da me.

Avrei pensato al letto più tardi.

Mi infilai una tuta da ginnastica e le scarpe slacciate, indossai la giacca a vento per difendermi dal freddo dell'inverno ormai inoltrato e l'attesi seduta in cucina.

-Come stai, come ti senti? - mi chiese prendendomi le mani non appena entrò in casa.

-Mi sento strana - risposi in tutta onestà.

Mi aiutò ad alzarmi in piedi, prese la mia valigia, la mia cartella medica, si assicurò che la porta di casa fosse ben chiusa, che avessi con me telefono e caricabatteria, mi fece salire in macchina, chiuse la portiera e, malgrado l'ora, sveglio come un grillo, guidò fino all'ospedale.

Avrebbe dovuto esserci Diego, non lui.

Avrebbe dovuto essere Diego a ricordarmi di respirare, a chiedermi come stavo, a prendersi cura di me.

Quella che stava per nascere era figlia di Diego, non di Niccolò.

Sentivo la sua mancanza e sentivo anche la rabbia e l'amore che, malgrado tutto, provavo ancora nei suoi confronti. Per quanto fossi terrorizzata, avrei voluto che mi tenesse la mano, che mi facesse forza, che mi incoraggiasse a tenere duro.

Quello non avrebbe dovuto essere compito di Niccolò.

-Ehi, tutto bene? - la sua voce mi distrasse.

-Tutto bene.

-Credi di sentire le contrazioni?

-No, non credo.

-Te lo chiedo una volta sola: vuoi che lo chiami? - poteva essere una domanda invadente, ma lui aveva un modo dolce di chiedere le cose che mi fece apprezzare il fatto che riuscisse a trattare tutto con delicatezza.

SEGRETI SVELATI (Sequel di SEGRETO)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora