Aprii appena gli occhi infastidita da quella solita luce che mi accecava tutte le mattine sempre a causa mia che ogni sera dimenticavo di abbassare la tapparella della finestra della mia camera.
Mi misi seduta passandomi le mani sugli occhi ancora appannati ed appiccicosi, appena i miei piedi bollenti entrarono in contatto con il pavimento gelido un brivido mi percorse il corpo facendomi portare le gambe al petto.
Con una smorfia di fastidio in volto mi alzai andando verso la finestra per chiudere la tapparella, mi stiracchiai accendendo poi la luce abbassando l’interruttore accanto al mio letto.
Mi guardai intorno storcendo il naso, le parti erano bianche come sempre, il mobile di legno sempre pieno di bamboline di ceramica e di qualche cornice con dentro qualche foto della mia famiglia accanto alla scrivania ancora piena dei libri del giorno precedente. Il tappeto grigio spiegazzato sotto il letto non aveva fatto una piega ed io ero ancora lì come ogni mattina a guardarmi intorno in quella camera vuota e spoglia ma che a me piaceva così.
Il cellulare posto sopra la scrivania s’illuminò di colpo facendo vedere a grandi caratteri l’ora, mi dovevo preparare per andare a scuola.
Aprii il secondo grande armadio della stanza che profumava di lavanda come piaceva sia a me che a mia madre e presi i vestiti.
Infilai il mio maglioncino di cotone preferito, celeste come i miei occhi mi faceva sentire me stessa per quanto possa essere ridicolo, infilai i pantaloni neri aderenti ed allacciai le mie solite scarpe grigie (http://www.polyvore.com/cgi/set?id=146809183&.locale=it) mi truccai come ogni mattino ed uscii dalla camera prima di scendere le scale.
Arrivai all’entrata della cucina, feci un grosso respiro e varcai la soglia della porta, non alzai lo sguardo sino a quando non arrivai al mio solito sgabello sulla destra del tavolo.
Mia madre si stava versando del te dentro una tazza verdognola mentre mio padre a capo tavola era così impegnato a leggere il giornale che credo non si accorse nemmeno del mio arrivo ma infondo nemmeno mia madre lo fece.
Non era una novità.
Presi la tazza sotto il mio naso portandomela alle labbra, soffiai raffreddando il latte bollente all’interno prima di berne un sorso, nella stanza entrò Chris che passandosi una mano fra i capelli andò a sedersi di fronte a me.
“Oh cielo com’è tardi.. io vado!” mia madre battè con forza la tazza dentro il secchiaio ed afferrò la borsa accennando un lieve sorriso prima di sparire e di correre fuori di casa.
Alzai gli occhi al cielo alzandomi e mettendomi lo zaino in spalla, mi voltai verso Chris che stava mangiando l’ultimo biscotto della mattinata prima di piegarsi sotto il tavolo per prendere il suo zaino nero e di caricarselo in spalla.
“Noi andiamo” lo disse con quella solita voce da chi lo dice solo perché deve tuttavia mio padre non disse nulla, ci guardò un secondo poi tornò a leggere il giornale.
Aprii il cancelletto arrugginito avvicinandomi alla sua auto ed aspettai che la aprisse per salire, la sicura scoccò un paio di volte sbloccando tutte le portiere, salii mettendomi lo zaino fra i piedi ed aspettando che Chris mettesse in moto.
“Dimmi che non dobbiamo passare da loro” nel mio tono era evidente la speranza di non dover accompagnare a scuola Justin e Chaz ma tuttavia anche la paura di una risposta contraria, sul volto di Chris si formò un leggero sorriso seguito poi da una negazione con la testa.
“Non dovresti farti nemico Justin” disse poi dandomi un’occhiata con la coda dell’occhio, alzai le spalle guardando la strada davanti a me.
“Non me lo sono fatta nemico, siamo solo troppo diversi” non rispose, si limitò ad annuire leggermente e a guidare sino alla scuola.
Parcheggiò davanti al cancello di ferro aperto come ogni mattina, i ragazzi entravano uno dietro l’altro, chi andava direttamente in classe, chi agli armadietti e chi si fermava nel piazzale d’entrata.
Come ogni giorno varcai la soglia del cancello entrando in quella che tutti chiamavano scuola ma che io chiamavo prigione anche se infondo non era così malvagia, lì almeno non svevo la costante indifferenza dei miei genitori e i maltrattamenti di Justin, almeno in parte.
Girai la testa sentendo delle risate familiari che mi fecero rabbrividire, scorsi il ciuffo alto di capelli color biondo cenere di Justin svoltare l’angolo accompagnato da Chaz e mi affrettai a deglutire prima che arrivasse.
“Io vado a lezione” non diedi il tempo a Chris di rispondere poiché mi affrettai ad andare verso l’atrio della scuola, il più lontano possibile dal mio incubo.
Mi portai una mano al petto nascondendomi dietro una parete, mi posai contro essa cercando di tornare a respirare regolarmente ma la cosa non era semplice.
Sentii dei passi vicinissimi a me, alzai lo sguardo incrociando degli occhi verdi estremamente conosciuti dalla mia mente: Cassie.
Lei era la ragazza più spettacolare che io avessi mai conosciuto, era la sola che riuscisse a capirmi, la sola che sapesse sempre quale fosse il momento giusto per parlare, la sola che sapeva come farmi sorridere, lei era speciale per questo era la mia migliore amica.
La mia unica amica a dire la verità.
Purtroppo però non era tutto rose e fiori, lei era la sorella di Justin.
Mi guardava dall’alto verso il basso sorridente quasi stesse trattenendo una risata, sul suo volto era impressa una smorfia compiaciuta nel vedermi lì, ero certa sapesse cosa fosse successo.
“Ehi che stai facendo?” chiese porgendomi la mano, l’afferrai rialzandomi dal muro e passandomi le mani sui vestiti.
“Scappo dal mio peggior incubo” alzai le spalle, lei sorrise annuendo.
Sapeva bene il rapporto che c’era fra me e Justin se così lo si poteva definire, lei diceva che lui era fatto così e che nemmeno lei lo avrebbe mai fatto cambiare, approvava inoltre la teoria che lui mi odiasse senza un motivo preciso eppure mi odiava.
“Credi di scappare per sempre?” chiese poi, allora fui io ad alzare le spalle innocentemente, ero certa che prima o poi sarei esplosa ma infondo quale altra scelta avevo?
Lui non mi avrebbe mai lasciata in pace.
“Andiamo in classe o faremo tardi” era come se quel mattino volesse discutere sull’argomento più del solito così deviai guardando l’ora sul cellulare, si passò una mano fra i capelli forse infastidita dal mio comportamento ma infine annuì.
Iniziammo a camminare lungo i corridoi verso l’aula di biologia, andammo a sederci in seconda fila come era nostro solito fare, aprii la cartella e subito notai l’assenza di qualcosa di fondamentale.
“Oh no..” sussurrai, corrugò la fronte non capendo ed istintivamente mi morsi il labbro sorpassandola.
“Ho lasciato il libro nell’armadietto torno subito” uscii di corsa dall’aula pregando che il professore ritardasse com’era solito fare, presi in fretta la piccola chiave nera dalla tasca posteriore dei pantaloni ed aprii l’armadietto iniziando a cercare il libro di biologia.
Lo afferrai ma prima che potessi chiudere con la chiave l’armadietto una mano mi si posò sulla schiena con fare aggressivo urtandomi contro la lastra di acciaio grigio.
Sentii le risate dei giocatori della squadra di basket dietro di me e subito capii chi fossero.. gli amici di Bieber, chi altro?
Mi voltai e con mia grande sorpresa non lo vidi, erano solo tre ragazzi che giocavano a basket con lui nella squadra della scuola.
“Allora Smith quando pensi di diventare un attimo più intelligente?” sghignazzò uno, non feci in tempo a rispondere che il ragazzo dagli occhi di ghiaccio accanto a lui mi prese il libro fra le mani portandoselo al petto, non me lo avrebbero mai restituito.
“Ridammelo non ho tempo, devo andare a lezione” dissi alzando gli occhi al cielo.
“Oh ragazzi la piccolina deve andare a studiare” le risate dei tre ragazzi si levarono alte lungo il corridoio facendomi istintivamente abbassare lo sguardo.
Maledetta timidezza.
“Che c’è hai perso la lingua adesso?” mi morsi il labbro trattenendo le lacrime dentro gli occhi, mi voltai verso il ragazzo con il mio libro fra le mani e cercai una seconda volta di prenderlo ma con scarsi risultati anzi, nulli.
“Dammelo!” le mie urla però non fecero altro che farli divertire ancora maggiormente ed istintivamente venni urtata verso l’armadietto che durò picchiò contro la mia schiena.
Mi avrebbero torturato.
“Che cazzo fate?” la voce peggiore e terrificante che io conoscessi rimbombò possente lungo le pareti del corridoio facendo voltare tutti e tre i ragazzi.
Col terrore ormai nelle vene mi voltai e vidi Justin che serio si avvicinava verso di noi, deglutii certa che anche lui avrebbe iniziato con la tortura dando man forte ai tre.
“Ci stavamo divertendo Bieber, vuoi partecipare?” sul volto di Justin per qualche ragione si levò uno sguardo si rabbia verso Luke che rideva ancora assieme agli altri due, la mascella di Justin si contrasse e serrò i pugni.
“Andatevene subito e non avvicinatevi più a lei” quelle parole furono un fuoco d’artificio così improvviso che mi servì qualche secondo per rendermi conto di tutto.
Aveva davvero detto così?
I ragazzi si guardarono confusi ma non obbiettarono, rimasero qualche secondo ad osservarlo forse credendo di vedere una risata ironica sul suo volto ma no, i pugni serrati ai lati del corpo, la mascella contratta e lo sguardo fisso impassibile non prometteva nulla di tutto ciò.
Se ne andarono e per una decina di secondi Justin rimase fisso ad osservare il corridoio fino a quando i tre non sparirono completamente dalla sua visuale, si passò una mano in testa prima di posarsi sopra il cappuccio della felpa grigia lasciando scoperte solo le punte dei capelli dietro.
Deglutii facendo qualche passo in avanti ed afferrai il mio libro da terra lasciato pesantemente cadere poco prima ma Darren, alzai lo sguardo su di lui che per qualche ragione a me nascosta rimaneva lì ad osservare il piazzale deserto con lo sguardo fisso nel vuoto.
Senza dire nulla lo sorpassai sentendo subito un ghigno provenire da lui, serrai gli occhi cercando di mantenere la calma ma ero certa sarebbe stato un compito arduo.
“Di solito si ringrazia una persona che ti aiuta” disse poi, mi girai lentamente quasi incerta di aver capito bene,
avrei dovuto ringraziarlo? Mai.
“Ringraziare te? Se bastasse un gesto per farmi dimenticare tutto…” abbassai sia il tono che lo sguardo man mano che finivo la frase, forse lo stavo sfidando si, forse sarebbe bastato ringraziarlo ma no, non mi sarei mai abbassata a tanto.
Lui voleva solo vedermi debole, convincermi che io non sarei mai riuscita a difendermi da sola ma non glielo avrei permesso.
Non più.
“Sei irritante come poche..” il suo tono si fece improvvisamente più serio e con rapide falcate si avvicinò afferrandomi il braccio con la sua solita freddezza e arroganza, mi avvicinò a lui facendo arrivare il mio volto a pochi centimetri dal suo.
“Non farmi pentire di averti aiutata” soffiò contro il mio volto, potevo respirare il suo alito che ogni volta profumava di menta e fumo miscelati assieme.
“Non ti ho chiesto io di intervenire” risposi.
Per un secondo credetti di riuscire a reggere il suo sguardo ma no, non ce la feci e fui costretta ad abbassarlo e a portare gli occhi sulla sua mano ancora salda al mio polso che secondo dopo secondo aumentava la presa.
“Avrei dovuto lasciare che ti picchiassero”
“Non l’avrebbero fatto” risposi tornando a guardarlo in volto, fece una smorfia e senza ragioni mi lasciò andare urtandomi leggermente indietro.
“Ti facevo più furba Smith” sghignazzò con un sorrisetto stampato in volto.
Si girò ed iniziò in silenzio a camminare, lo vidi allontanarsi da me con passo lento, le mani dentro le tasche dei pantaloni, il cappuccio alzato e l’aria fiera di chi è certo del suo potere.
Un potere che io potevo solo sognare.
Un potere che mi costringeva ad arrendermi ogni qualvolta lui mi si avvicinasse.
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I'm Danger (Justin Bieber)
FanfictionIspirato a una storia vera... Evelyn Smith, una ragazza semplice, timida anzi, timidissima. Tanto riservata e chiusa in se stessa da permettere a tutti di schiacciarla, tutti tra cui lui: il suo incubo più grande. Justin Bieber, il migliore amico di...