Capitolo 5: Presagi (terza parte)

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Metto in funzione il mio nuovo cellulare in compagnia di mio fratello Austin. Mi piace averlo accanto a me, a sentire i suoi racconti spensierati, ad avvertire la stabilità emotiva.

Crescere è bello solo quando nessuno ostacola il cammino e limita la propria identità.
Crescere significa lottare contro i soprusi, le ingiustizie, la paura di non farcela.
Crescere è sinonimo di credere e vincere.

A tutti quelli che sono nella mia situazione sprono di gioire alla vista del sole caldo, al manto verde che culla il prato, a un complimento inaspettato.

La felicità è il miglior trattato di pace per l'anima. È il più efficiente perché non serve stipulare accordi con altri spiriti. La persona, in totale autonomia, decide arbitrariamente come dedicarsi al riposo.

Un individuo non muore in assenza del dolce ricordo profumato di libertà.

Aggiorno Firyal su quello che è successo. Nel dispiacere riesco a consolarmi con l'immensità di una conversazione virtuale. La tranquillità vissuta con lei è confortevole come un letto di nuvole.

Per molti è difficile aprirsi subito con il prossimo, eppure non c'è sensazione più bella.

Come si fa a capire se è la persona giusta? Quando gli o le si confida i segreti della sfera sensibile privi di vergogna.

L'amore non è la commedia melensa, colma di baci sdolcinati. È una stortura, una sbavatura, un'errata inquadratura del sublime incompresa.

Non è vero che è tutto rose e fiori. Abbondano le spine dell'insicurezza, della gelosia tossica, dell'infedeltà. La natura in taluni casi nasce morta.

Ciò che chiamerò amore non sarà uno spettacolo volgare. Amerò in pubblico e in privato, vivrò ogni sfaccettatura.

Ciò che è più ostacolato è il fattore che più merita di esprimersi.

L'omofobia e le varie discriminazioni attaccheranno in eterno.

Volgo uno sguardo di luce in un mare in tempesta. Le nuvole non versano più le lacrime degli innocenti.

Perché si dà sempre retta alla negatività che alla positività? Perché si ignora il fatto che un sorriso salva dalla sventura?

"Sei i colori della vita" mi risponde.

Da bambina mi ripetevano che quasi nulla in natura è di colore bianco.

Non è una sfumatura generalmente gradita, però per me c'è sempre eleganza. È il portavoce di purezza, ordine, chiarezza mentale.

Non è un caso che poche eccezioni riescano a rientrare nella seguente categoria.

Il nero è amico del blocco, dell'opposizione, del controllo, del mistero. Sottili spennellate mi coprono nel momento in cui assumo il comando delle mie azioni, spolverando mistero per protezione.

Il grigio non mi appartiene. La mediocrità e la mancanza di energia sono le leggende metropolitane che non spaventano.

Turba il terrore della realtà.

La vitalità scorre rossa come il sangue nelle vene.

L'arancione della fiducia in sé stessi splende raggiante.

L'infinita bellezza del mondo è insita nella mente e non si può cancellare.

Firyal vive bene nell'ambiente scolastico. Come in ogni luogo sociale si trova lo strato più variegato di popolazione: il buono, il cattivo, il colto, lo stolto, il lavoratore. La differenza sostanziale è che tutti sono autonomi.

Non importa l'abbigliamento, la tinta dei capelli, i gusti sessuali, musicali, cinematografici. Il commento di approvazione o negazione non penalizza l'individualità.

Lì il bullismo è un vaga leggenda. Sono atti terrificanti come vacue minacce che non si concretizzano.

Ciò dev'essere l'ingranaggio della normalità, non la rarità.

Le rapide notifiche di mi piace, commenti, condivisioni viaggiano a bizzeffe.

Come può la tecnologia dinamizzare l'uomo? Perché si impiega un secondo a pigiare un tasto, ma un'eternità a scoprire la vera vita?

Fatta eccezione per le conversazioni online riduco drasticamente il tempo perso al cellulare o al computer.

Avevo dimenticato quanto fosse rilassante scorgere sotto una prospettiva pulita, limpida, ordinata.

La finzione stordisce, il reale guarisce.

Anche mio fratello intraprende questo cammino. Sostituisce le sessioni di videogiochi con vere dispute sportive.

Fronteggiare una dipendenza è il compito più difficile da neutralizzare.

Si smarrisce la forza di persistere. Quando qualcosa si spezza non c'è alcun motivo per insistere.

Prima di abbandonare definitivamente la piccola sanguisuga virtuale, scrollo le storie su Instagram. Noto l'agitazione di Austin, le scocche rosse, gli occhi strabuzzati. Lancio un tipico sguardo che chiede risposte. Gira lo schermo con modo innocente e smarrito.

Non ci voglio credere. È facile illudere la mente, convincere che non ci sia pericolo. Io non so fuggire.

Josephine pubblica una mia foto imbarazzante risalente a tre mesi fa. La mano destra impugna una banana, la sinistra sventola delle ciliegie.
La didascalia che incornicia l'ennesima burla è: "Cosa le piace realmente?"

Mi mordo il labbro per non perdere la calma, per non urlare a squarciagola, per non dilaniare ulteriormente il cuore.

Pago caro per bicchieri di troppo ed eccessiva fiducia.

Giustamente la vergogna non deve scadere dopo ventiquattro ore. Necessita di accompagnarmi fino a quando la proprietaria del profilo non cancella il post, fino a quando il dolore non penetra nelle ossa e le frantuma. Non merito di soffrire poco. Devo sopportare fino a quando ho ossigeno. Chi sospetta che sta diventando impossibile anche respirare?

Non occorre dilungarsi in pensieri, proteste, ribellioni. Mi confondo, mi paralizzo, mi blocco. Soffocare è la mia punizione per aver parlato.

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