Capitolo 5: Presagi (prima parte)

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La scuola è la croce e delizia di tutti gli studenti. Ci si siede annoiati, insonnoliti, stanchi su gelide sedie per ascoltare lezioni infinite.

Sono la classica persona che si sveglia di buon mattino, si carica lo zaino sulle spalle, prende appunti copiosi. Non c'è una volta in cui non chieda ulteriori spiegazioni, curiosità, aneddoti.

Mi perdo ore e ore a sottolineare, ripetere, elaborare mappe e riassunti. Lo studio apre la mente predisposta al ragionamento. Come sostengo da sempre, una bella cultura non compensa l'assenza di intelligenza.

I pregiudizi storpiano la verità. Mostra i ragazzi studiosi come mostri coperti di brufoli, con occhiali spessi, vestiti inadeguati.

Le convinzioni intaccano lo spirito. Se la gente si distaccasse dalle dicerie, cambierebbe visione. I reietti tanto emarginati sono provvisti di una testa, due occhi, un naso, le labbra, due braccia, due gambe.

Che cambia? Penso che adesso sappiate la risposta.

Ebbene, sono innamorata degli studi. Non mi pare che io sia una creatura mutante, nonostante gli altri si siano costruiti quest'immagine. Continuo a sostenere l'idea di riscattare parte della mia ignoranza. Tutti sono accecati dalla nebbia eterna. È cosa spaventosa non riconoscerla, ritenere di scavalcarla.

Ciò che un tempo regala soddisfazione, oggi è sinonimo di sconforto. Le mura assistono consce alla cattiveria, seppur siano anch'esse innocenti.

Sospiro. La mia seconda casa si sta incendiando? È instabile? È preda di un violento terremoto? Perché non la sento sicura? O sono io che mi sto sbagliando e nulla è cambiato?

Un luogo non deve condizionare l'incolumità. È un essere inanimato in balia del caso. È la naturalezza dell'orrore a dover spaventare, non l'artificiale.

Le gambe scattano imperterrite, i piedi battono sulla strada. Il cuore corre nel petto e armato d'ansia. Sono in ritardo e l'anno scolastico è iniziato da pochissimi giorni. Detesto passare per una fannullona.

Come mi giustifico? La scusa della sveglia biricchina è vecchia quanto la creazione del mondo. Eppure è la verità. Perché è così difficile chiudere un occhio? Perché il mondo non accetta errori?

Mi fiondo in aula con l'accanito presentimento di fronteggiare la professoressa di matematica. La cattedra vuota, la sedia sgombra, la lavagna incontaminata dal gesso mi tranquillizzano. Sono salva.

Gli sguardi dei compagni puntano alla mia figura. L'indifferenza stordisce alcuni, il pettegolezzo inserisce il carburante ad altri. La solitudine è il destino degli eroi?

Il nervosismo di Cassandra si libera sulla ciocca di capelli a lungo torturata. Gli occhi disinteressati mi guardano ricchi di distrazione. Siede al mio posto. Non intendo rovinare l'amicizia fraterna fra le due vipere, ma non mi farò superare così facilmente.

La vita è la scuola migliore. Ci sono tante nozioni da apprendere. La prima è quella di combattere, lottare, difendersi. Come si riesce se non si prova?

Lo stesso passo che ho usato prima lo modulo con sicurezza. Faccio valere le mie ragioni. Cambierò banco solo per mia scelta e non per costrizione.

Che esistenza è quella plagiata da ordini e comandi?

Queste ragazze sono dure di comprendonio e io non ho intenzione di supplicarle. La gente si sfrega le mani in attesa di un nuovo litigio. Odio fare spettacolo. Sono chiusa in uno squallido circo e non ricevo nemmeno lo stipendio.

Pure se ci fosse, non lo accetterei. I soldi non fanno la la felicità. Sì, tutti ridono a quest'affermazione. I gioielli? Gli abiti firmati? Le ville? Il potere? Il successo? Non cadono dal cielo.

Sospetto che l'uomo desidera più materiali tanto quanto la sua assenza di valori.

Il denaro fa piangere quando la cravatta si annoda strettissima al collo, quando si insulta il corpo di una donna, quando si tratta un proprio simile come animali.

Un portafoglio zeppo di sporcizia non è nulla in confronto alla ricchezza di amore, solidarietà, fratellanza, beneficenza.

I cuori di carta sono molteplici e le forbici aumentano a dismisura.

"Non prendo ordini da una traditrice. Josephine, fammi sedere qui".
"Sei così infantile che sollevi polemiche per un banco".
"È principio".

Cos'è il principio? Un capriccio o una giusta motivazione?

Più la scruto e più avverto disgusto. Mi urta la saccenza, il fisico, l'essenza. Queste teste vuote, questi sorrisi malefici martellano con insistenza.

"Vattene, puttana".
Rido, scuotendo la testa. Conosce solo la parola senza attribuirle il giusto peso. L'ignoranza è causa di molti mali. D'altronde, nell'antica Grecia erano più flessibili e razionali. Che mi aspetto da questo branco dominato dal Leviatano?

Scaravento i suoi oggetti sul pavimento. Una manciata di secondi cancella la strage. Il passo per la rissa è breve. La docente interrompe la stupida diatriba. Arretro spaventata.
"Non m'interessa sapere perché quel quaderno è volato a terra, né indagare sulle urla da oche. Se entro cinque secondi non vi sistemate, riporto una nota di classe".

Raggiungo l'ultimo banco in fondo all'aula. Ho fatto una pessima figura. Inoltre, sono l'unica a non avere una compagna vicino.

La scena è desolante. File e file di coppie ben unite cozzano con un unico rettangolo eremita.

La lezione non aiuta la situazione. I miei interventi sono disprezzati dall'insegnante, nonostante la correttezza.
"Signorina Miller, aveva il massimo dei voti nella mia disciplina alle scuole medie?".
"Sì".
Una curva sadica e angosciante ghigna sulle labbra.
"Quelle A sono F secondo la mia griglia. Smetta di interrompere e segua".

Il desiderio di rispondere a tono prevale più del resto. Il volto tradisce le mie intenzioni, la lingua tace.

"Non ha il coraggio di controbattere perché è una sciocca codarda. Menti come le tue non dispongono neppure delle basi più fragili per spiccare il volo. Non avrà mai le ali".

In quel preciso istante prego con tutto il cuore di sprofondare, di non tornare più, di vivere su un altro pianeta. L'umiliazione cresce come un dolore sordo nel petto, colpisce con fitte assordanti.

Mi provoca, ma non posso reagire. Non è momento di bruciarmi terra intorno. O forse sono realmente vigliacca, chissà.

Chino la testa sul libro, perdendomi in universi immaginari per sfuggire alla realtà.

Lo sconforto picchia violentemente quando chiedo gentilmente una matita. Il ragazzo avanti a me effettua una torsione del busto, non incastra le sue pupille con le mie.
"Muoviti a usarla, Miller".

Che nervoso essere chiamata per cognome. Sono un'estranea. Indugio una manciata di minuti, poi la riconsegno. Preferisco arrangiarmi piuttosto che sfruttare il materiale di un maleducato.

Lascio la stanza non appena sento il suono della campanella. La stanchezza sostiene per inerzia una ragazza distrutta.

Crollo davanti agli armadietti. Le mani mi nascondono il viso, i capelli contribuiscono a coprirmi. Come sostengo questo inferno? Non posso parlare, ridere, scherzare. Ophelia continua a ignorarmi.

"Che succede? Non ti vedo in forma".
Rabbrividisco ogni volta che ascolto la voce di Jake. Mi alzo repentinamente.
"Lasciami in pace" replico gelida.
"Non è finita bene, ne sono consapevole. Rifletti su una cosa. Non è necessario chiudere così drasticamente i rapporti. Voglio essere tuo amico e mi dispiace per essere stato così rude alla festa. Sei libera di amare chi vuoi".
"Non ho bisogno di te, lo so già".

Ora come ora urlerei al primo che mi capita. Non mi è consentito soffrire dignitosamente in un misero angolo. Mi avvio verso casa. I presagi nefasti mi accompagnano invisibili e ineluttabili.

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