Capitolo 4 - Il tuo sorriso da lontano

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Simone, dopo quella visita di Sbarra, venne totalmente abbandonato a se stesso. Era riuscito a dormire un po' -più che altro gli sembrava che il suo corpo si fosse spento per poter spegnere anche il dolore- ma non poteva certo dire di essersi riposato. Senza il calore del corpo di Manuel, il profumo della sua pelle e le carezze che si scambiavano ogni sera era ormai impossibile per lui riposare davvero, anzi si chiedeva come avesse fatto tutti quegli anni senza di lui. Forse per tutta la sua vita non aveva fatto altro che spegnersi e basta.

Non appena riaprì gli occhi desiderò di non averlo fatto: il dolore che non aveva avvertito in quel periodo di sonno -breve o lungo, non lo sapeva- era tornato a farsi sentire con gli interessi e se possibile lo stanzino era piombato in un'oscurità ancora più profonda, la notte era entrata senza bisogno di passare per le finestre, che del resto lì non c'erano.

Il tempo passava lentamente, così lentamente da sembrare fermo, e l'unica cosa che ne testimoniava lo scorrere era il vociare ovattato che proveniva dall'altra parte della porta. Riconobbe la voce di Sbarra, poi forse quella di Zucca, mentre le altre per lui erano del tutto sconosciute. Da un lato desiderava sentire quella di Manuel, dall'altro sperava che il suo ragazzo non si presentasse lì, ma sapeva bene di poterlo soltanto sperare, perché era impossibile che l'altro non andasse a cercarlo, soprattutto se Sbarra gli aveva già parlato.

Ad un certo punto ogni voce si spense e Simone non ebbe neanche più quella magra compagnia a distrarlo. Come un'ombra lenta, un profondo senso d'angoscia si impadronì di lui, strisciando lentamente fino al suo cuore, che cominciò a battere all'impazzata. Si sentiva come quando da piccolo si svegliava in piena notte per un brutto sogno e nel buio della sua cameretta gli sembrava si nascondessero mostri terribili. Un po' li vedeva anche adesso, quei mostri, come se avessero dato il cambio a quelli che fino a poco prima si trovavano al di là della porta, ma lui non era più un bambino e non si trovava nella sua cameretta, non poteva chiamare la mamma per mandarli via. Doveva affrontarli da solo.

                                                                        *****

Manuel non aveva chiuso occhio tutta la notte e quando allo spuntare dei primi raggi di Sole si decise a lasciare quella stanza troppo vuota per lui, si rese conto che non era stato l'unico a passare la notte in bianco. Sua madre, Dante e la nonna di Simone erano seduti in soggiorno, ciascuno con una faccia da funerale che per Manuel furono come pugni nella pancia. Dante, in particolare, sembrava invecchiato di dieci anni in una sola notte.

Fece per tornare sui suoi passi, sperando di non essere stato visto, ma sentì sua madre chiamarlo e si bloccò.

"Tesoro, vieni qui. Sei già sveglio?"

Gli chiese dolcemente, con un sorriso, anche se dai suoi occhi si vedeva che era preoccupata. Manuel, tenendo lo sguardo basso per i sensi di colpa, si trascinò nella stanza.

"E chi ha dormito, ma'."

Sussurrò e Anita si alzò per abbracciarlo, stringendolo forte. La lasciò fare per qualche secondo, poi si separò da lei per andarsi a sedere al tavolo, in disparte dai tre adulti che invece erano sistemati sul divano. Si era accorto di non riuscire a sopportare neanche il contatto fisico, oltre a quello visivo. Sentiva gli occhi di Dante puntati addosso, sentiva il suo giudizio su di sé come non succedeva neanche a scuola e sapeva che era soltanto per l'affetto che provava nei confronti di sua madre che non l'aveva sbattuto fuori di casa.

"Lo so che me vuole di' qualcosa, prof. Avanti, lo faccia."

Interruppe quel silenzio assordante che non riusciva più a sopportare, trovando il coraggio di alzare gli occhi verso quelli dell' adulto. Nonostante fosse ormai il compagno di sua madre, nonché padre del suo ragazzo, non aveva smesso di considerarlo il suo professore né di chiamarlo così. Era una forma di rispetto, per lui.

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