Appendice, Capitolo 6 - Nella vernice fresca dei miei ricordi (parte 2)

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Claudio si svegliò di soprassalto -non ricordava nemmeno di essersi addormentato-, disturbato da un trillo meccanico, elettrico, che perforava i timpani. Pensò di esserselo sognato, ma poi lo sentì ripetersi altre due, tre volte, e adesso era certo di essere sveglio. Si tirò a sedere, controllò l'ora -era l'una e mezza da poco passata- e sospirò, mentre nella sua mente si faceva viva e chiara l'immagine di chi potesse essere andato a casa sua a quest'ora. Sperò di sbagliarsi, sperò che fosse qualcuno che aveva voglia di fare uno scherzo di cattivo gusto, sperò perfino, per quanto assurdo, che si trattasse di Babbo Natale in ritardo venuto a portargli chili e chili di carbone; insomma, sperò che fosse chiunque, tranne la persona che poi vide attraverso il piccolo schermo del videocitofono.

Si accigliò, preoccupato, intuendo che qualcosa non andasse: Domenico, infatti, se ne stava appoggiato alla parete in cui era incastrata la pulsantiera mentre bussava nuovamente e con una certa insistenza al citofono, ed ebbe la sensazione che non riuscisse a reggersi bene in piedi. Non era pronto a parlargli, non aveva nulla di nuovo da dirgli, ma al tempo stesso non poteva né voleva lasciarlo lì. Un conto, infatti, era rifiutare le sue telefonate sapendolo, presumibilmente, a casa, mentre una cosa del tutto diversa era lasciarlo fuori, nella notte -perché era certo che Domenico non se ne sarebbe andato-, soprattutto considerando che non indossava un cappotto o qualsiasi altra cosa potesse proteggerlo dal freddo, ma soltanto camicia e pantaloni.

C'era solamente una cosa da fare, dunque afferrò rapidamente le chiavi e salì in ascensore per raggiungerlo più velocemente, considerando che il proprio appartamento era all'ultimo piano del condominio.

"Domenico! Cosa ci fai qui?"

Esclamò, con tono di rimprovero, una volta aperto il portone.

Domenico, non appena vide Claudio proprio davanti a sé, si illuminò di un sorriso splendente, innamorato, che partiva dagli occhi e arrivava fino al cuore, e subito raddrizzò la propria postura staccandosi dal muro al quale aveva avuto necessità di appoggiarsi, gesto che gli causò una leggera vertigine, ma era troppo felice per badarci.

Dopo i tentativi falliti di mettersi in contatto con lui, era rimasto per un po' in compagnia della famiglia, ma poi erano andati tutti a letto e anche lui aveva provato a dormire, ma senza riuscirci. Si era alzato, allora, e senza far rumore si era spostato in cucina dove, mentre la casa era immersa nel silenzio più totale, aveva cominciato a buttare giù una birra, come faceva sempre quando faceva difficoltà a prendere sonno. Non si era fermata a quella, però, ne aveva buttate giù un altro paio, poi era passato al vino ed infine ad una bottiglia di grappa, che solitamente si apriva per le occasioni speciali.

Fu nel fondo dell'ennesimo bicchiere che trovò l'idea di andare a casa di Claudio e la mise in pratica senza pensarci, lasciando il bicchiere ancora mezzo pieno sul tavolo, dandosi il tempo di afferrare solo le chiavi della moto. Quando era arrivato lì sotto aveva pensato che avrebbe dovuto aspettare tutta la notte -e lo avrebbe fatto!-, ma così non era stato, forse perché quella era pur sempre una notte magica.

"Ti ho chiamato, ma non mi hai risposto. Volevo...volevo augurarti Buon Natale!"

Spiegò, mangiandosi qualche parola, con gli occhi fissi in quelli dell'altro.

Claudio sentì il proprio cuore stringersi e la colpa assalirlo al pensiero che Domenico si fosse ridotto in quelle condizioni -era palesemente ubriaco, oltre che triste- soltanto per causa sua: ancora una volta gli aveva fatto del male.

"Buon...Buon Natale anche a te."

Mormorò in risposta, spostando lo sguardo per non entrare di nuovo nel bosco. Prima che potesse aggiungere altro, anche se non sapeva esattamente cosa dire, Domenico fece un piccolo cenno d'assenso con il capo, e riprese a parlare.

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