Epilogo - Eternamente ora (parte 9)

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Erano trascorsi anni dall'ultima volta in cui Arthur aveva messo piede in quel locale, ma poteva dire di conoscerlo discretamente bene: era il bar dell'università e non era cambiato di una virgola in tutto quel tempo. Ampio e spazioso, abbastanza da contenere un numero consistente di studenti alla ricerca di una buona dose di caffeina prima di una lezione pesante o di un pranzo veloce nel poco tempo di pausa a disposizione, presentava sul fondo della sala la postazione del bar vero e proprio, con le macchine per il caffè ed un bancone, mentre tutto il resto era occupata da una fitta rete di tavolini in legno che lasciava appena lo spazio per muoversi tra le file ed una lunga mensola che abbracciava tre delle quattro pareti, fornendo un ulteriore ripiano di appoggio per gli avventori.

Lui, a dire il vero, non lo aveva frequentato più di tanto, preferiva sempre portarsi un thermos di caffè ed una fetta di dolce casalingo da casa, così da risparmiare qualche soldo, ma spesso, nei giorni d'esame, si era ritrovato lì a ripetere freneticamente il programma di turno con qualche collega, come se quei ripassi raffazzonati custodissero il segreto per la promozione.

Fece qualche passo in avanti, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, ed il rumore delle proprie scarpe sul pavimento lucido riecheggiò in tutta la sala: faceva uno strano effetto vederlo vuoto, dal momento che solitamente era pieno di gente, e soprattutto sentirlo silenzioso, dato che di solito tra il chiacchiericcio e la radio in sottofondo a stento si riuscivano ad udire i propri pensieri. Mentre camminava tra i tavolini ordinati, notò che su uno di essi era deposto un piatto fumante e dunque, spinto da una certa curiosità, vi si avvicinò. Con grande sorpresa e piacere vide -e solo a vederlo gli si illuminarono gli occhi e si passò la lingua sulle labbra- che si trattava di una porzione più che generosa di paccheri ai frutti di mare, il cui profumo faceva concorrenza all'aspetto nel fargli venire l'acquolina in bocca. Pensò subito, tuttavia, che qualcuno doveva aver portato lì quella pietanza, probabilmente lo stesso qualcuno che voleva anche mangiarla, quindi alzò il capo e cominciò a guardarsi intorno.

"Heilà? C'è nessuno?"

Chiese a voce alta, in modo da farsi sentire, ma non ottenne risposta. Si schiarì la voce e riprovò.

"Questa pasta... è di qualcuno?"

Domandò ancora, ricevendo indietro solo silenzio.

"No? Nessuno? Allora la mangio io, eh!"

Avvertì, attendendo qualche altro secondo che qualcuno di facesse vivo. Lasciato ancora senza risposte, decise di sfilarsi il cappotto, che ripiegò accuratamente sullo schienale della sedia, ed accomodarsi, senza farsi ulteriori domande su chi avesse potuto portare lì quel piatto e poi abbandonarlo. Mangiò con gusto, quella pasta era tra le cose più buone che avesse mai assaggiato, e proprio quando era arrivato a più di metà piatto e si stava concedendo un bicchiere d'acqua, udì una voce provenire dalla propria destra.

"Ciao, scusami, è libero questo posto? Posso sedermi?"

Si voltò in quella direzione ed il sorso che stava deglutendo gli andò miseramente di traverso quando vide il proprietario di quella voce.

"Sì...sì, certo, prego!"

Rispose con voce roca, tossicchiando, sicuro di aver intanto raggiunto, in viso, un colorito molto vicino a quello di un pomodoro. Era conscio di aver appena fatto una figura a dir poco barbina -'Che figura di merda!', pensò intanto- ma non poteva biasimarsi del tutto: era inconcepibile, piuttosto, che gente così bella andasse in giro tranquillamente, senza avvisare!

Lorenzo sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso, intenerito da quella reazione -gli ricordava Riccardo, in un certo senso, e per questo il proprio sorriso era adombrato da malinconia-, ma anche lusingato: 'Faccio ancora colpo.', pensò, anche se non era lì per gonfiarsi l'ego -non che ne avesse bisogno, con Riccardo che lo riempiva costantemente di complimenti e reazioni spontanee come quella, nonostante i tanti anni insieme-.

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