Appendice, Capitolo 3 - È grazie a te che ho imparato a stare bene (parte 1)

246 19 216
                                    


 Roma, 11 Marzo 2003

Domenico aveva raggiunto l'appartamento più in fretta che aveva potuto, considerando che già in situazioni normali il traffico di Roma non aveva nulla da invidiare a quello di Napoli, ma quel giorno ci si era messa anche la pioggia e così il taxi che aveva preso alla stazione era stato più fermo, bloccato dalle altre auto, che in movimento.

Stufo di quell'andatura a dir poco singhiozzante, si era deciso a percorrere l'ultimo tratto di strada a piedi e, dopo aver pagato la corsa -se così si poteva definire-, era sceso dalla vettura e si era messo a camminare a passo svelto verso la propria destinazione, approfittando del riparo offerto dai balconi dei vari palazzi per non bagnarsi eccessivamente.

Era già stato lì una volta, e anche se non ricordava alla perfezione la strada non impiegò molto tempo a raggiungere il palazzo grigio come il cielo sopra la propria testa, del tutto uguale a quelli nei dintorni, ma al tempo stesso diverso ai propri occhi.

Aprì il portone e salì rapidamente i gradini fino al quinto piano -non c'era l'ascensore-, si avvicinò alla seconda porta sulla destra e infilò la chiave nella toppa della serratura.

"Ehilà, sono io, non vi spaventate!"

Annunciò allegro, aprendo la porta d'ingresso che dava direttamente su un piccolo salotto. La prima cosa che vide fu una palla di pelo tricolore che si era messa davanti alla porta ad aspettarlo e che ora si stava strofinando contro le sue gambe facendo le fusa.

"Partenope, ciao! Anche tu mi sei mancata tantissimo!"

Esclamò con la voce piena di dolcezza, mentre si chinava a prenderla in braccio per accarezzarla, dopo aver abbandonato il borsone a terra. La seconda cosa che vide, poi, fu Claudio, avvolto nella sua vestaglia blu, seduto alla scrivania sul lato destro della stanza. Sospirò, preoccupato, avvicinandosi a lui.

"Che ci fai lì?"

Domandò, con la stessa apprensione. Si erano sentiti al telefono appena il giorno prima e si era accorto che l'amico aveva una voce strana, nasale, e quindi, allarmato, gli aveva chiesto informazioni circa il suo stato di salute. Inizialmente Claudio aveva negato di stare male, ma poi, insistendo un po', Domenico era riuscito a fargli confessare la verità: aveva un po' di raffreddore ed una leggera febbre, niente di oggettivamente preoccupante, ma Domenico sapeva che Claudio, vivendo da solo, non aveva nessuno che avrebbe potuto prendersi cura di lui, anche perché era sicuro che non si sarebbe mai rivolto alla sua famiglia. Lo conosceva abbastanza, poi, da sapere anche che si sarebbe trascurato ed infatti era seduto lì, a studiare, invece che a riposare!

Claudio non si spaventò affatto quando sentì qualcuno aprire la porta d'ingresso, perché sapeva che poteva trattarsi solo di una persona ed in un certo senso la stava aspettando. Si era trasferito in quell'appartamento ad Ottobre, quando ormai era diventato lampante che continuare a vivere sotto lo stesso tetto dei propri genitori sarebbe stato impossibile. Suo padre lo avrebbe cacciato volentieri fuori a calci senza dargli un soldo, questo lui lo sapeva bene e comunque non sarebbe stato un problema pur di poter lasciare quella che ormai non considerava più casa sua, eppure gli aveva proposto –concesso- di avere un tetto sulla testa a sue spese.

Accettare quella proposta era stato umiliante, ma l'aveva fatto pensando a se stesso: si era da poco iscritto all'università e aveva tutta l'intenzione di proseguire gli studi, e certamente ritrovarsi improvvisamente per strada non sarebbe stato d'aiuto. Suo padre, allora, gli aveva comprato in fretta e furia un piccolo e poco costoso appartamento in periferia, certamente non per una questione economica, ma perché pensava che così gli avrebbe fatto uno sfregio, lo avrebbe messo a disagio, considerando che aveva conosciuto sempre e solo l'agiatezza.

Un Sole intero di felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora