Appendice, Capitolo 2 - Le tue profondità verdi come gli occhi tuoi (parte 1)

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Nei giorni seguenti si videro più spesso di quanto entrambi avevano sperato, ogni occasione era buona: la prima volta, Claudio aveva chiamato Domenico per restituirgli i vestiti che gli aveva fatto lavare; la seconda, poi, lo aveva accompagnato a comprare delle scarpe nuove -che, come gli aveva giurato, gli aveva anche pagato- e infine la terza, Domenico aveva riportato a Claudio l'anello che aveva perso, dopo essere tornato personalmente al bar per chiedere se l'avessero trovato -aveva dovuto insistere un po', ma il sorriso che aveva fatto Claudio quando l'aveva rivisto ne era valsa decisamente la pena-.

Finite le occasioni, erano cominciate le scuse che Domenico continuamente inventava per passare di lì e che Claudio accettava pur sapendo benissimo che lo fossero, fino a quando non ci fu più bisogno di dare una motivazione a quei piccoli incontri che si ritagliavano ogni giorno, quando Domenico finiva il suo turno: se aveva il turno di notte, il mattino dopo portava con sé un piccolo vassoio di sfogliatelle -ricce e frolle, naturalmente- in hotel, e lui e Claudio, che gli faceva sempre trovare un caffè forte ad aspettarlo, facevano colazione insieme nella sua camera; quando invece aveva il turno di giorno, prima di tornare a casa si fermava a prendere un tè, una bevanda che per lui era praticamente sconosciuta, ma di cui Claudio andava pazzo, oltre ad esserne un esperto, e che si rivelò una piacevole scoperta.

In poco tempo e senza neanche accorgersene avevano creato una loro routine, che però era praticamente già finita: il giorno dopo Claudio sarebbe partito di nuovo per Roma e allora, per salutarsi, avevano deciso di andare a mangiare la pizza più buona di Napoli, come aveva assicurato Domenico.

Il locale era molto semplice, ma curato, i colori prevalenti erano il bianco e l'azzurro che richiamavano il mare ed era proprio il mare il punto di forza di quel posto: Domenico si era assicurato di prenotare un tavolo all'esterno, su un terrazzo che affacciava direttamente sulla spiaggia, e lo spettacolo del mare di notte che si proponeva davanti ai loro occhi era semplicemente mozzafiato. La Luna -che quella notte era piena- giocava con i suoi riflessi argentati sull'infinita distesa d'acqua sotto di sé, le onde si infrangevano placide sulla spiaggia scandendo un tempo lento, dove non c'era spazio per la fretta, e il piacevole venticello estivo da un lato accarezzava la loro pelle, gentile, e dall'altro stuzzicava l'olfatto, dispettoso, con il suo profumo di salsedine.

Claudio -elegantissimo nel suo completo di lino blu- e Domenico -più informale, con un jeans scuro e una camicia bianca, idea di sua sorella, a cui aveva risvoltato le maniche e sbottonato i primi bottoni per non sentirsi soffocare- se ne stavano seduti uno di fronte all'altro. Si erano parlati poco da quando erano arrivati, ma si erano guardati molto, portando avanti una conversazione fatta di soli sguardi: Domenico aveva notato che quegli occhi blu adesso erano più leggeri di quando li aveva visti per la prima volta -ed erano così già da qualche giorno-, mentre Claudio aveva colto un velo di malinconia in quegli occhi verdi, di solito così allegri e vivaci, di cui non poteva fare a meno di chiedersi la causa.

"È o non è la pizza più buona che tu abbia mai mangiato?"

Chiese Domenico, a colpo sicuro, avendo notato la soddisfazione con cui il ragazzo di fronte a lui aveva mangiato la prima fetta. Claudio annuì con convinzione, mentre ancora masticava, rispondendo con un verso d'approvazione.

"A Roma non ne ho mai mangiata una così!"

Aggiunse, entusiasta. Domenico ridacchiò, con l'aria di chi la sapeva lunga.

"Non prenderla come un'offesa, ma a Roma non sapete fare né la pizza né il caffè. Non è colpa vostra, il segreto sta nell'acqua."

Claudio fece una risatina, onestamente dopo aver assaggiato quella pizza non se la sentiva di replicare, e annuì.

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