Estratto n. 4

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23 ottobre 2015
Mattina


Quel venerdì di ottobre sembrava che il cielo dovesse crollare da un momento all'altro.

Un terribile temporale iniziò a tormentare tutto il dormitorio già dalle cinque del mattino. Lo so perché mi svegliai di soprassalto e guardai l'ora, poi sentii le lamentele poco auliche dalle camere accanto alla mia. I fulmini illuminavano l'intera stanza e la mia testa era come un parafulmini. Il rimbombo dei tuoni era tutt'altro che un toccasana per il mio orecchio.

Caffè e aspirina furono la mia colazione, ovviamente non approvata da mio fratello, che non tardò a dare il suo parere non richiesto.

«Ti bucherai lo stomaco con quella roba».

Gli alzai il medio senza nemmeno pensare. Così, mentre buttavo giù il cocktail del buon giorno che mi si prospettava, misi in mostra il tatuaggio che correva lungo il dito.

Nec spe nec metu.
Questo era quello che rispondevo ogni volta che mi si faceva notare che mi sarei provocata dei danni all'organismo. Ne avevo già subiti e ne avrei pagato le conseguenze a vita.

Un'aspirina in più non avrebbe fatto alcuna differenza.

Senza speranza, senza paura.
Questo era ciò che ero diventata... una stronza cinica e fin troppo spavalda.

Mi avviai lentamente verso l'aula. Ero in anticipo e camminavo controcorrente verso i padiglioni di scienze, mentre tutti gli altri sembravano ancora degli zombie in direzione della caffetteria. Solo Katy aveva scelto di seguire microbiologia con me, così la attesi fuori dalla porta mentre scorrevo la bacheca di Instagram.

«Doukas Stawks ti ha mandato un messaggio» lesse Katy ad alta voce avvicinandosi di soppiatto e sbirciando lo schermo da sopra la mia spalla.

Eliminai la notifica, annoiata e contrariata dal fatto che non fosse Karter.

«Immagino lo abbia obbligato Jay, a meno che non sia così stupido da non sapere che non gli risponderei nemmeno sotto tortura» borbottai mentre il dito premeva sul "cancella".

Entrammo e occupammo due posti a metà dell'aula, abbastanza centrali per vedere al meglio le slide e la professoressa.

Katy aveva un debole per lei, io per la microbiologia.

Erano lezioni da tre ore di fila, tutti i venerdì mattina, ed erano appesantite dalla stanchezza accumulata durante la settimana, eppure la Kiwistkyi le rendeva leggere e interessanti. Tra un termine scientifico e l'altro buttava dentro qualche parolaccia, mantenendo sempre attiva la nostra attenzione. Quella mattina, però, non riuscivo a stare al suo ritmo. L'acufene sembrava peggiorare di minuto in minuto e io pensavo solo al dolore.

«L'acicloguanosina, o aciclovir, si differenzia dalla guanosina per la catena laterale aciclica che è priva di ribosio e desossiribosio. Una cavolata, giusto? ».

L'ennesimo tuono e l'ennesimo fischio assordante. E poi di nuovo, e ancora.

Era come se mi stessero infilzando degli spilli nelle tempie e alla fine non ressi più. Sentii il bisogno di andarmene.

«Tutto bene?» chiese Katy preoccupata per il mio pallore. Annuii con una smorfia di dolore trattenuta e raccolsi velocemente le mie cose per poi imboccare l'uscita. Il temporale non accennava a placarsi e, di pari passo, il mio mal di testa. Frugai frenetica nella tracolla alla ricerca di un'altra aspirina che ingoiai prima ancora di prendere la bottiglietta d'acqua.

Fui persino tentata di cercare su Google la percentuale di possibilità di un'esplosione del cranio.

Mi sforzai di tornare in camera il più in fretta possibile, ma il riecheggiare dei tuoni nei corridoi vuoti mi debilitò ulteriormente. Arrivai al punto di non riuscire quasi a reggermi in piedi e avevo ancora tre rampe di scalinate e altri due corridoi da percorrere. All'ennesimo boato mi cedettero le gambe, eppure le ginocchia non sbatterono sul pavimento. Rimasi sospesa a mezz'aria e non dovetti nemmeno guardare chi fosse, il suo profumo parlava da sé.

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