Trascrizione audio n. 03/2106

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Nora: 3 anni
Jacob: 7 anni
Villa Marshall - Trenton, New Jersey - compleanno di Nora.

Dagli interrogatori di Kassidy Holmes e Gregory Jills, personale di servizio della famiglia Marshall, del 27 gennaio 2016.

Era il suo terzo compleanno quando Nora si ruppe il labbro e non raccontò mai a nessuno la verità. Ogni volta che le chiedevano come fosse successo rispondeva con un semplice «Sono inciampata».

Aveva paura che, dicendo la verità, nessuno le avrebbe creduto. Preferì continuare a essere, agli occhi di tutti, la piccola principessina un po' goffa e sbadata. Quella che non si accorgeva dell'anta aperta e ci andava a sbattere la faccia.

Nora era davvero una piccola principessa. Era la più piccola della famiglia e viveva in una villa composta da tre camerette, due studi, una camera matrimoniale, quattro camere degli ospiti, sette bagni, una piscina, una Jacuzzi e una dependance. Al piano seminterrato c'era una piccola palestra accanto a un piano bar e alcuni tavoli da biliardo.

Una reggia insomma.

La sua famiglia era sfacciatamente ricca. Suo padre era un avvocato penalista e la madre era una consulente di immagine molto richiesta perfino a New York. La famiglia Marshall era molto numerosa e tutti i componenti erano altolocati. I meno abbienti lavoravano nelle direzioni ospedaliere, tutti gli altri erano immersi nella politica, nell'istruzione universitaria e in ogni tipo di ministero e ambiente finanziario.

La piccola e dolce Nora aveva il potere di attirare a sé ogni attenzione con i suoi occhi dolci, forse un po' troppo grandi, e quelle labbra carnose di un vivo color pesca che sembravano formare un cuore. Era sempre vestita come una bambolina e tutti la volevano accarezzare per assicurarsi che non fosse fatta di porcellana.

Il giorno del suo terzo compleanno dimostrò a tutti che anche lei poteva rompersi.

«Non so come sia potuto succedere» ripeteva la tata, che si batteva le mani sul petto, mortificata. Temeva di essere licenziata e iniziò a piangere a dirotto senza sapere cosa fare. Eloyse Marshall, la madre di Nora, prese in braccio la bambina e sollecitò chiunque le capitasse a tiro a portare delle garze per cercare di bloccare l'emorragia che colorava di rosso intenso la bocca, il mento e il fiocchetto giallo cucito minuziosamente sul girocollo del vestitino turchese.

«Cos'è successo, principessa?» chiese suo padre, con il respiro affannoso e gli occhi strabuzzati nel vedere quel visino di porcellana rovinato.

Nora cercò di parlare, ma il labbro doleva e ogni movimento faceva uscire fiotti di sangue. Eloyse e Patrick le fecero cenno di non sforzarsi e continuarono a tamponare la ferita e accarezzarle la guancia e le mani.

«Dove cazzo è la mia macchina?» urlò Patrick, e un maggiordomo corse a tirarla fuori dal garage per portare Nora in ospedale. Necessitava di punti e anche velocemente.

«Mamma, cos'ha Nora?» chiese Jacob aggrappandosi alla gonna a tubino viola di Eloyse.

«Adesso sistemiamo tutto, tesoro» rispose Eloyse cercando di mantenere la calma, ma il suo respiro irregolare la tradiva.

Vedendo tutto quel rosso sporcare la sua piccola sorellina, Jacob scoppiò in lacrime. Si avvicinò a lei e cercò di afferrarle la mano tentando di non disturbare la madre, che le premeva la garza sul labbro con le dita sporche del sangue che aveva intriso persino il solitario. Era un dettaglio che sarebbe facilmente passato inosservato in tutto quel trambusto, eppure Jacob vi fece caso. La fredda purezza di quello splendido diamante tagliato a goccia corrotta dal rosso viscoso del sangue caldo. Un'immagine tanto poetica quanto ossimorica. Quel diamante non sarebbe mai tornato come prima, una piccola quantità di sangue sarebbe rimasta per sempre incastrata nell'incastonatura e avrebbe perso la sua perfezione. La sua Nora era proprio come quel diamante e lui la vide perdere la sua purezza.

Nora non disse nulla. Non pianse nemmeno. All'asilo le avevano insegnato che le principesse non piangono e lei prese alla lettera quell'insegnamento perché, come diceva suo padre, lei era la principessa di tutte le principesse. Dentro poteva esplodere, urlare e struggersi, ma gli occhi sarebbero rimasti di vetro e fu proprio con quello sguardo che accarezzò Jacob, portando tutti a pensare che fosse grata per la sua preoccupazione.

Invece no, Nora lo stava perdonando.

***

«Da grande diventerò come Suzanne» disse Nora posizionando la nuova bambola vicino al consorte; li aveva appena ricevuti in regalo.

«Perché?» le chiese Jacob sedendosi accanto a lei.

«Perché diventerò anche io una principessa, sciocco». A Nora sembrò una cosa talmente ovvia che scoppiò a ridere nel dirlo «e sposerò un principe».

«Allora ci sposiamo noi due» propose sorridente Jacob, ma Nora dissentì con un ingenuo: «No. Sposerò papà».

Jacob si corrucciò e strappò dalle mani di Nora il principe azzurro inanimato scagliandolo a terra. «Io non voglio».

Lui aveva un'anomala propensione per la scelta lessicale, considerata la sua età. Faceva collegamenti e voli pindarici con una semplicità strabiliante. Gli piaceva leggere e riflettere, ma non tollerava di perdere una discussione o un gioco. Qualsiasi piccolezza, per Jacob aveva un peso secondo il suo metro di misura. Se poi riguardava Nora, allora potevano pesare tonnellate.

«Tu non sei un principe» rispose con quel tono beffardo di ovvietà che aveva imparato chissà dove.

«Certo che lo sono! Sono il principe di Trenton» rispose lui impettendosi, non poco risentito per la durezza della risposta di Nora mentre riprendeva il suo gioco. Per un tempo indefinibile e con l'orgoglio ferito, restò fermo e in silenzio a guardarla giocare e poi, di punto in bianco, domandò se le andasse di giocare ad acchiapparella. Era il loro gioco preferito dopo nascondino e Nora, per la gioia, lasciò cadere le bambole sul tavolo senza curarsi del bicchiere che finì rovesciato a terra.

«Io scappo e tu mi prendi» urlò la piccolina iniziando a correre per casa, ignorando gli ammonimenti della madre, che si raccomandava di non fare altri danni.

«Ti prendo!»

Jacob era più grande di lei e le sue gambe correvano più veloci. La superò e le si parò davanti urlando: «presa!».

Nora rise di gusto mentre Jacob le solleticava la pancia.

Fu questione di un attimo.

In Jacob scattò qualcosa e divenne serio, come se qualcuno avesse premuto un interruttore. La spinse contro le sbarre di ferro del corrimano che risaliva la scalinata nell'atrio, senza mostrare alcun rimpianto.

Nora sbatté la faccia.

Non urlò. Non pianse.

Non emise un suono.

Si rialzò dalla caduta con il sangue che colava dal labbro e lo guardò. Gli occhi di Jacob, dapprima ricolmi di rancore, si riempirono di dolore e vergogna per quello che stavano vedendo.

A tre anni Nora imparò una delle lezioni più importanti che la vita potesse insegnarle.

A tre anni Nora imparò una delle lezioni più importanti che la vita potesse insegnarle

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