Estratto n. 7

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Il boato dello sparo e le grida della folla spezzarono l'aria quando partì la prima batteria.

Io ero nella terza con Liza e altre due ragazze della Berkeley.

Una voce interruppe la mia concentrazione, ritmata mentalmente dagli Offspring.

«Marshall. Finalmente ci rivediamo».

Quel tono di sfida suonò familiare all'orecchio buono. Eccola, quella smorfiosa.

Era da un po' che non la battevo.

Era l'avversaria ostinata a non accettare la sconfitta, che sosteneva che io fossi raccomandata e vincessi solo perché mio padre era Patrick Marshall. Come se sul circuito le gambe potessero essere raccomandate.

Claire Voultoir era la persona più stupida che avessi mai conosciuto.

«Claire, vorrei esserne entusiasta quanto te» sputai acida, causandole una smorfia di disappunto.

«Ready».

Anche la seconda batteria era partita.

«Sei stata con qualche pezzo grosso per entrare a Yale? Karter non era abbastanza?»

Puttana. Stava riuscendo nel suo intento di farmi arrabbiare e perdere lucidità, ma non le avrei dato quella soddisfazione.

«Ti conviene smettere di parlare. Ti servirà tutto il fiato per spiegarmi come ci si sente ad arrivare sempre seconda». La feci incazzare in modo evidente. Meglio così.

«Ready».

Finalmente il mio turno. Piedi sul blocco e mani a ventosa sul tartan. Guardai Karter come sempre e come sempre lui annuì.

Sarebbe andato tutto bene.

La sua ragazza d'oro era pronta a dimostrare di essere la migliore, un'altra volta.

Lo sparo mi fece scattare e con la coda dell'occhio vidi le altre scomparire nel giro di pochi metri. Solo una sagoma alla mia sinistra non mollava. Accelerai tra le urla di incitamento della folla che riempiva gli spalti e in prossimità del traguardo non pensai a Karter né a Yale.

Nella mia testa vedevo solamente Doukas con la faccia soddisfatta nel vedere quello schifo che mi aveva fatto.

La rabbia mi fece aumentare sia la falcata che il ritmo e in pochi secondi era tutto finito.

«Quindi, Claire? Ancora una volta sei la prima dei perdenti. Complimenti» annaspai, ma non quanto lei alla mia sinistra.

Si strappò di dosso la pettorina e la lanciò lontano, furente per l'ennesima sconfitta, e io la degnai solo di uno sorriso schernente.

In quel momento non mi importò che la gente vedesse le mie cicatrici. Vidi Karter da lontano, pronto a corrermi incontro con la mia maglia. Attendeva un mio cenno, che però non arrivò.

Capì che ero a mio agio, in mezzo agli applausi. Così, alzai le braccia come a volerne ancora e il pubblico mi accontentò. Non mi sentivo così bene da parecchio tempo. Avevano visto di cosa ero capace e quello superava di gran lunga lo sfregio sul fianco. Pensai che Karter avesse ragione dopotutto...

Erano parte di me e forse era proprio grazie a loro che ero lì a godermi il mio momento di gloria. Loro mi avevano spronato, loro mi avevano dato la rabbia e la voglia di essere meglio di chiunque altro.

A nessuno sembrava importare di quel mosaico scomposto e così esso perse un po' del potere che aveva su di me.

Guardami, Doukas.

Il ritorno negli spogliatoi fu altrettanto soddisfacente considerando che solo Claire, tra le ragazze della Berkeley, era riuscita a salire sul podio. Le docce rimbombavano di risate e commenti poco eleganti nei confronti delle avversarie.

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