Estratto n. 8

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30 ottobre 2015


I centottanta minuti di microbiologia mi diedero il colpo di grazia. Quella settimana mi aveva levato ogni energia e voglia di vivere: tra gli allenamenti, l'arrivo di Karter, la gara e la sfuriata di Jacob, l'unica cosa che volevo era che finisse quanto prima.

La partecipazione al pranzo mi fu imposta da Hanna. Io avrei evitato volentieri la pasta pasticciata del venerdì, che era un agglomerato di avanzi.

«Sono appena stata bocciata al test di letteratura armena. Mio padre mi ucciderà» disse Katy giocando con il cibo nel piatto.

«Ma seguire un normale corso di storia americana no, eh?» la interrogò Hanna ironica. «Ma parlando di cose serie» riprese, «avete preso i costumi per la festa?».

Quelle erano le priorità e le cose serie di Hanna.

Era tradizione che a Halloween ci mascherassimo da un trio famoso: le sorelle Halliwell, le ragazze di Mean girls, Mario e Luigi con la principessa, le Superchicche e via dicendo. Quell'anno optammo per Harley Quinn, Poison Ivy e Catwoman.

«Sì, Hanna! Possibile che ci devi sempre trattare come idiote?» chiese Katy scocciata.

«Mi preoccupo solo che non mi facciate sfigurare».

La superba sincerità di Hanna era apprezzabile, ma non sempre. Aveva grandi piani per quella serata e non tollerava l'idea che le venissero rovinati. Puntava a essere la più desiderata, senza tenere conto del fatto che ci sarebbero state almeno altre venti Harley in giro per la casa.

Io ero su un altro pianeta e, per quanto mi sforzassi, non riuscii a partecipare attivamente a quella discussione, così futile alle mie orecchie. Era da tutta la mattinata che cercavo Karter, però non lo avevo visto da nessuna parte. Volevo bere un caffè con lui, parlare di quanto successo il giorno prima e assicurarmi che avesse un costume per la festa, altrimenti non ci sarei andata nemmeno io e gli avrei fatto compagnia, ma non aveva risposto né a cinque chiamate né a dodici messaggi né a tre mail.

Desaparecido.

«Vorrà farti una sorpresa, Nora!» gridò Hanna, stufa di vedermi con quel muso lungo. «Il bacio di ieri parlava chiaro! Aveva le mani impresse nella tua schiena. Non oso pensare a cosa ti avrebbe fatto se tuo fratello non fosse stato lì e vi avesse interrotti!» continuò a puntualizzare nel tentativo di distrarmi.

Scossi la testa. Lei non capiva, d'altronde non lo conosceva bene quanto me.

«Non è da Karter. Lui mi ha sempre scritto anche solo per ricordarmi gli orari degli allenamenti che avevo già memorizzato da anni. Deve aver discusso con Jacob».

O peggio, con Doukas.

«Jacob ha Doukas attaccato al culo da quella scenata. Stai tranquilla» aggiunse, e mi poggiò una mano sulla spalla.

Forzai un sorriso nonostante il mio sesto senso premesse incessantemente sul lobo temporale. Era come se volesse mettermi in guardia.

Tra un libro di Patterson e alcuni messaggi a Karter, si fecero le 22:00 e ancora non avevo ricevuto alcuna risposta. Qualcosa non andava. Patterson mi aveva influenzata e persino convinta. Ne ero certa, come lo ero anche del fatto che andare alla festa fosse una pessima trovata. Tuttavia, bastarono due bicchieri di rum bianco e cola a farmi cambiare idea.

Dimenticai tutto, a parte sculettare qua e là.

Erano le 23:48 quando mi vibrò il telefono.

«Ho avuto un imprevisto - È stato uno sbaglio baciarti - Noi siamo uno sbaglio - Dimentichiamo tutto - Dimenticami - Non cercarmi - Non posso averti - Meriti di meglio».

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