Estratto n. 2

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«Doukas».
Il suo nome lasciò le mie labbra quasi come una domanda, nonostante non intendesse esserlo.

«In carne e ossa» dichiarò flettendo le braccia per mettere in mostra il corpo scolpito che si era procurato chissà dove, come o quando. Il tessuto tecnico della maglietta gli fasciava ogni muscolo mettendone in risalto la definizione quasi scultorea. Mi sforzai di non fissarlo più a lungo del dovuto e pensai che se non fosse stato Doukas, quel Doukas, mi sarei ritrovata già a cavalcioni su di lui.

Scaraventai quel pensiero in un angolo della mia mente e scattai in piedi frapponendomi tra lui e la luce del sole. Dio solo sa cosa gli avrei detto se non avesse avuto l'arroganza di lamentarsi.

«Cristo, Nora». La sua voce si arrochì nel dirlo e reclinò la testa all'indietro, frustrato. Mi aveva chiamata per nome, cosa insolita pensai, e per un attimo mi illusi che a essere cambiato non fosse solo il suo aspetto.

Impiegai poco per capire quanto mi fossi sbagliata.

«Toglimi quella cazzo di gonnellina dalla faccia, mi copri lo spettacolo».

Che stronzo. Anzi... Doukas-Stronzo.

Era quella l'unica parola per lui: uno stronzo, sì... ma come solo Doukas sapeva esserlo.

«Questa gonnellina del cazzo non sbatterà mai contro la tua faccia» lo rimbeccai. Lui inspirò rumorosamente dal naso, teso in viso, per poi riprendere il controllo altrettanto in fretta.

«Peccato» commentò con un sorrisetto strafottente.

Già, peccato.

«Eccomi!»

Jacob aveva un tempismo eccellente, al contrario dell'odore che lo accompagnava.

«Che schifo, Jay. Puzzi da morire» lamentai in un finto, ma non troppo, conato di vomito.

«Che ti avevo detto, Stawks? Non è cambiata per niente!» disse tra il divertito e il rassegnato, il fetente.

«Lo avevo già notato» concordò il suo compare, di nuovo intento a guardare le cheerleader provare la coreografia oltre i miei fianchi.

Con le guance rigonfie di rabbia e disappunto, mi incamminai verso la scalinata.

«Dove pensi di andare?» urlò Jacob tra il divertito e l'allarmato. Non lo degnai di una risposta, era abbastanza scontata: volevo andarmene via.

«Stai per entrare negli spogliatoi maschili» mi avvertì.

Merda.

Con nonchalance, mi voltai e risalii alcuni gradini per prendere l'altra scalinata. Mi inseguì il suono delle loro risate e sentii Jacob chiedere a Doukas di tenermi d'occhio prima che mi perdessi ancora. La sua reale intenzione era far sì che io e lo stronzo riprendessimo a parlarci. Era palese, ma era solo un povero illuso.

Lo stronzo in questione, ovviamente, lo ascoltò. Come se avessi avuto bisogno di una balia in mezzo alle palle!

Pur non volendo aver nulla a che fare con lui, dovetti rassegnarmi alla sua sgradita compagnia fino a destinazione.

Che poi... nemmeno sapevo quale fosse.

Nonostante la stanchezza del viaggio e l'altalena emotiva su cui dondolava, il mio cervello si sforzò comunque di capire cosa avessi fatto di così terribile nella vita per meritare quelle rotture.

«Posso cavarmela da sola» bofonchiai a testa bassa allontanandomi da quello scimmione e aggiunsi, abbastanza forte perché mi sentisse: «non ho bisogno della guardia del corpo».

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