19 Novembre 2015
Il ritorno a villa Marshall fu anche peggio dell'arrivo alla stazione di polizia.
Il silenzio di papà era come un pugnale che affonda lentamente nella carne. Almeno non ero sola, Jacob era con noi in auto. Lui mi rivolse qualche domanda e poi si lamentò per tutto il tragitto di come mi avevano trattato.
«Possono davvero comportarsi così con le persone? Chi credono di essere? Prelevarti come un animale allo zoo... Cazzo, papà! Dovresti farli sbattere in galera per averla trattata così! È mia sorella! Cristo, è tua figlia!»
Jay continuava ad agitarsi e sporgersi tra i sedili anteriori.
Papà lo fulminò con lo sguardo dallo specchietto retrovisore e senza cedere all'agitazione del momento disse: «Jacob, piantala. Stai zitto, cazzo».
Sia io che mio fratello sbarrammo gli occhi. Non aveva mai parlato con quel tono a Jay.
Per le tre ore successive non facemmo soste e non parlammo. Il rumore del motore e degli pneumatici da neve dell'Escalade sull'asfalto furono l'unica compagnia.
Varcammo la soglia di casa nel primo pomeriggio e l'abbraccio di mamma sull'uscio fu quello che mi serviva. Lei, e solo lei, era l'unica persona al mondo che non mi avrebbe mai lasciata e mi strinse così forte che non potei esserne che grata, anche se non riuscii a evitare di travolgerla con i miei singhiozzi.
Jay mi accompagnò in camera su richiesta di mamma. Salimmo le scale mano nella mano e, davanti alla mia porta, mi diede un bacio sulla fronte, alzò l'indice e mi fece segno di aspettare un attimo.
Tornò pochi secondi più tardi con una cosa che pensavo di aver perso.
«Ehi» richiamò la mia attenzione dopo aver richiuso la porta.
«Jay! Da dove?» chiesi vedendo la maglia. Era brutta e quella tonalità di verde mi urtava, ma era intrisa di ricordi.
Quella maglia mi ricordava uno dei giorni più belli della mia vita.
Quando avevo dieci anni, Jay andò per qualche mese con mamma in Texas, dove i nostri genitori avevano acquistato una tenuta che la mamma doveva arredare.
Quando fu pronta, io, Doukas e papà li raggiungemmo. Dopo un paio di giorni andammo a fare una gita a cavallo in un ranch e nella stalla c'era una radio che suonava Bad Moon Rising. Jay mi caricò sulle spalle fingendosi un cavallo e Doukas agitò le braccia come se stesse lanciando un finto lazzo. Loro avevano quattordici anni e io ero la bambina più fortunata del mondo. Prima di ripartire, ci fermammo in un negozietto in città e chiesi a mamma di comprarmi quella maglia, con la specifica di scegliere una taglia abbastanza grande da poterla indossare anche una volta cresciuta.
A dieci anni ero convinta che un giorno avrei perso tutti i ricordi più belli e volevo portarmi quel giorno felice ovunque, per sempre. Mamma mi comprò una XL, ma dopo un paio d'anni pensavo di averla persa. Avevo temuto addirittura che con essa sarebbe scomparso anche il ricordo.
«Credo ti stia grande anche ora, ma almeno non ti arriva alle caviglie».
Sorrise quando me la porse e io quasi mi commossi. Mi aiutò a metterla e io lo lasciai fare. Poi attaccò:
«I see the bad moon a-risin'
I see trouble on the way».«I see earthquakes and lightnin'
I see bad times today» gli feci coro timidamente mentre mi faceva volteggiare.Riuscì a farmi sorridere nonostante fossi nella merda.
«Don't go around tonight
Well it's bound to take your life
There's a bad moon on the rise».
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NANA.
Mystery / Thriller🏆WATTYS 2022 mistero/thriller «Ho sempre amato tutto di lei. Anche ciò che non comprendevo. Avrei voluto amarla più a lungo, avrei voluto fare amicizia con i suoi demoni molto prima». Lei era solo una bambina quando incontrò il diavolo per la prima...