Estratto n. 17

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24 dicembre 2015

A distanza di un mese, non mi ero ancora abituata a ricevere chiamate dalla polizia. Mi cercavano per rivolgermi "solo un paio di domande" e ogni volta rispondevo con un secco «parlatene con il mio avvocato».

Ovviamente, non parlarono mai con papà.

Al contrario, mi rassegnai abbastanza velocemente a perdere l'anno accademico, sia per le troppe assenze che per la mancanza di impegno nello studio per la sessione invernale. Non mi andava a genio laurearmi con un anno di ritardo, ma non potevo fare altrimenti considerando la situazione compromettente in cui mi ero ritrovata da un giorno all'altro.

Katy e Hanna cercarono diverse volte di contattarmi ma ero profondamente a disagio a parlare con loro, iniziai a rispondere ai loro messaggi sempre più tardi fino a non farlo più. Le conversazioni erano diventate imbarazzanti e loro sembravano compatirmi.

Mi innervosivano.

Avendo visto tutta la videoteca di Netflix e conoscendo ormai a memoria qualsivoglia palinsesto, non sapevo più come occupare il tempo. Così, mi misi a cercare su Facebook la moglie di Karter.

Meredith Odette Davis.

Una bella donna, sportiva ma anche alla moda. Era un'agente immobiliare e aveva un sorriso smagliante che le dava un'aria vincente.

Chissà se tornerà mai a sorridere così.

Non pubblicava nulla dalla scomparsa del marito e io mi sentivo una merda. Incappai in un paio di foto che li ritraevano insieme e sentii un vuoto allo stomaco.

Chiusi il portatile di scatto e mi lasciai cadere sul letto.

Fissando le stelle adesive sul soffitto della camera, realizzai che ero stata una sfasciafamiglie senza nemmeno esserne consapevole. Ero una persona orribile e non solo per quello, ma anche perché pensavo che Doukas potesse essere il colpevole dell'omicidio.

Nonostante tutto il guano in cui navigavo durante quelle giornate, non smisi nemmeno per un istante di pensare a Doukas. Non lo vedevo da un mese e mi mancava.

Cazzo se mi mancava quello stronzo.

Dopo un messaggio e una breve chiamata, ero tornata a essere una quindicenne con una cotta ingestibile. Cercavo di nasconderla, ma sobbalzare a ogni notifica e chiudermi a chiave in camera o in bagno per parlare al telefono non era certo il modo più maturo per riuscirci.

«Chi è?» chiese Jay la sera della vigilia raggiungendomi sul divano.

«Mh?» alzai lo sguardo dal telefono, portando lo schermo al petto per non fare intravedere il messaggio.

«Hai continuamente il telefono in mano e un sorriso da ebete sulla faccia. Non penso sia merito di Hanna se hai gli occhi che brillano».

Era sospettoso. Anche se sorrideva, vederlo sedersi a una distanza così ravvicinata mi mise a disagio.

Alzai gli occhi e sentii il viso illuminarsi.

«Doukas» sospirai.

«Doukas? Come scusa?» e si drizzò come se fosse pronto a scattare.

Quell'espressione... la stessa della rissa con Nicholas...

«Idiota» lo derisi stringendogli il mento per voltargli la faccia verso l'ingresso.

Doukas era lì, bello anche con quel maglione orribile. Quel rosso gli donava, ma il dinosauro luminoso con il cappello di Babbo Natale e il campanello... quello era terribile.

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