Estratto n. 15

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18 novembre 2015


«Eleonora Marshall, ci deve seguire in centrale».

Il tono poco rassicurante del detective Ross fu così duro da raschiarmi le meningi.

«È successo qualcosa? È tornato?» domandai alzandomi dal letto e preparandomi al peggio.

Involontariamente, spinsi anche Doukas ad alzarsi e avvolsi il suo braccio nelle spire delle mie.

Per qualche assurdo motivo, credetti che avrebbero avvisato me e non sua moglie, oppure...

«Le ripeto: ci deve seguire in centrale».

Fu autoritario e perentorio. Capii che erano venuti a comunicarmi l'oppure.

Illudendomi che Doukas potesse farmi da scudo contro le parole che stavano per colpirmi, mi nascosi dietro di lui.

E per un attimo tornai ad avere quattro anni.

Avevo fatto la stessa cosa con Jacob quando incontrai il ragazzo che avrebbe cambiato la mia vita e in quel momento il detective Ross stava per cambiarmela ulteriormente.

Avevo visto abbastanza film da sapere che un detective che bussa alla porta con altri due agenti non porta buone notizie.

Karter è morto.

Iniziai a ripetermelo nella testa per prepararmi all'udire quelle parole.

«Eleonora Marshall, lei è accusata dell'omicidio di Karter Johnson» disse il Detective Ross facendo cenno ai due agenti che lo accompagnavano di entrare e portarmi via con la forza.

Porca puttana. Cosa?

Non ero preparata per quello.

Mi obbligarono a voltarmi e mi ammanettarono.

«Eleonora Marshall, la dichiaro in arresto. Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale».

I miei occhi guardavano Doukas incredulo, l'acufene si intensificò senza precedenti e persi qualsivoglia controllo sul mio corpo. Lui mi fissava con occhi vuoti e io ero creta sotto quello sguardo, ma non fu piacevole come le altre volte.

Mi sembrò di assistere alla scena da occhi esterni, come fosse quella di un film, e capii cosa fosse il distacco dalla realtà. Panico, confusione e un'incredulità simile all'apatia mi corsero lungo i nervi, irradiandosi in oggi fibra e vaso sanguigno.

«Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio».

Davvero potevano pensare che io l'avessi ucciso? Che fossi in grado di uccidere una delle poche persone a cui volevo davvero bene?

Davvero stava succedendo?

La risposta era palese, ma io mi rifiutavo di ammetterla.

Uno strattone mi spinse a camminare verso la porta. Doukas era immobile e io avevo bisogno di lui. Ancora una volta.

«Doukas!» gridai tra le lacrime che iniziavano a inondare gli occhi.

«Doukas!» insistetti dimenandomi. Mi ordinarono di calmarmi o sarei stata accusata anche di resistenza a pubblico ufficiale.

«Doukas» dissi con un filo di voce, ormai rassegnata alla sua assenza.

«Chiamo tuo padre». Era tornato in sé. «Ti faccio tornare a casa. Tranquilla, Nana, non ti lascio».

Non disse nulla per fermarli.

Pensava che fossi davvero stata capace di un gesto così crudele? Probabilmente sì.

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