Il giorno prima

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04 maggio 2016


«In piedi, signore. Un'altra bella giornata di merda vi attende».

Il rumore del manganello sulle sbarre mi sveglia. Ormai non mi spaventa più.

Vado dritta al calendario. Strappo la solita pellicina e con il sangue che ne esce faccio una X sul giorno di merda che è appena cominciato.

Domani.

L'ispezione delle 7:00 è andata bene.

Abbiamo cinque minuti in più per stare in bagno. Quindici in totale.

Sono più che sufficienti considerando che non devo né pettinarmi né truccarmi. Non devo nemmeno scegliere i vestiti, sono sempre gli stessi. Una canottiera bianca di cotone e una tuta grigia.

Almeno il colore mi sta bene.

La fila alle docce è sempre lunga. Come ogni mattina, mi metto dietro le altre con la speranza di trovare un briciolo di acqua calda. Tengo in mano la mia busta con il nécessaire e mi appoggio al muro che puzza di muffa. Le altre iniziano a chiamarsi con gomitate e pacche sulle spalle, si voltano verso me e poi si fanno da parte per lasciarmi passare.

«Che cazzo succede? Risale ancora la merda?» chiedo loro, certa che sia quello il problema.

Tutte abbassano lo sguardo tranne Jackie. Lei mi guarda negli occhi e vi leggo compassione.

Ora è tutto chiaro.

Ho capito perché mi fanno passare. Vorrei dire a tutte loro che non ho bisogno di pietà, empatia e favoritismi, eppure ne approfitto. In carcere non esiste la gentilezza, ma quel gesto mi lascia con un po' di speranza.

Sposto la tendina di plastica sotto gli occhi vigili della guardia che scandisce il tempo che mi resta. Conto mentalmente i secondi e sono fuori due minuti prima che finisca il tempo.

Era da tanto che non facevo una doccia bollente.

Indosso l'uniforme e pinzo alla tasca della felpa il badge con il mio numero di matricola: 2106/EM.

Questo sono qui. Un codice alfanumerico.

Non Nana, non Nora e nemmeno Marsh. Solo 2106/EM. Le mie compagne mi chiamano ventuno, come le volte che sono finita in isolamento.

Oggi sono di turno alla biblioteca e mi tocca sistemare tutti i libri chick-lit dalle pagine ondulate e appiccicaticce.

Stupide arrapate del cazzo.

Scelgono apposta quei libri per masturbarsi e dall'usura si può facilmente capire quali siano i migliori.

«Marshall, seguimi. Hai una visita». Una guardia che non ho mai visto mi intima di andare con lui. Non mi conduce alla sala visite. Lì c'è sempre almeno un infiltrato della stampa ad aspettarmi. Quegli avvoltoi sperano di riuscire a strapparmi un'intervista.

Sciacalli.

Ogni tanto Lorna, la guardia sovrappeso del braccio Ovest, alza il volume della radio per tenerci aggiornate su quello che succede nel mondo e sembra che il caso Johnson-Marshall sia diventato virale. Tutti parlano di noi e si permettono di aprire le loro fogne per esprimere opinioni di cui non frega nulla a nessuno e che per lo più sono stronzate.

La sua fortuna è che sono fuori dai giochi. Non posso parlare né dare la mia versione dei fatti. Ma anche se potessi farlo, non sprecherei fiato. Non capirebbero perché l'ho fatto.

Usciamo nel cortile cementato e, seduta al tavolino accanto al campo da pallacanestro, c'è lei. Sbuffo dal naso e ridacchio, porto una mano alla fronte a mo' di visiera e l'altra penzola. Ho ancora le manette.

NANA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora