Capitolo 19 - Macarena's POV

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Sono passate meno di due ore da quando è successo quello che è successo con Sandoval, ma la notizia si è già sparsa nell'intero Cruz del Sur e ora tutte le detenute sono state richiamate nelle loro celle per un discorso della direttrice. La nostra cella è al primo piano e mentre cammino troppi sguardi si posano su di me come se silenziosamente mi ringraziassero di qualcosa che tacitamente sanno che ho appena fatto. Accade lo stesso con Saray che sta camminando dalla parte opposta venendo verso di me. Nessuno ha la certezza che siamo state effettivamente noi e noi non lo ammetteremo sicuramente, ma non ci vuole molto a capire che questo spettacolo è arte nostra, ormai qui dentro i conti non è la prima volta che li pareggiamo e quando lo facciamo, lo facciamo sempre con grande stile. In fondo abbiamo imparato dalla migliore, con lei i colpi di scena non mancavano mai.
"Rubia, le vedi come ci guardano? Siamo le fottute regine di tutto Cruz del Sur!" esclama Saray con un velo di malinconia negli occhi che abbassa non appena pronuncia queste parole come se si sentisse colpevole ad aver, per un attimo, gioito di qualcosa che prima ci avrebbe fatte ridere e gongolare. Ma la capisco, so cosa prova perché è esattamente ciò che sto provando anche io. È una gioia triste, un dolore così forte che ci riempie.
"Sarebbe orgogliosa di noi" le dico forzando un sorriso tirato. È la verità, ma è uno schifo pensare che lei non sia più qui per vederlo.
"Lo sarebbe, lo so. Questo è proprio il suo stile, sicuramente ci direbbe che lei lo avrebbe fatto meglio, ma lo farebbe solo perché ha la testa dura come il marmo" sorride tristemente anche la gitana. Da quando sono tornata in carcere dopo il ricovero in ospedale per León io e lei ci siamo affiatate sempre di più, è diventata la mia quotidianità e mi è stata accanto nel momento più difficile della mia vita quando la donna che amavo non poteva esserci. Ecco, Zulema ci ha unite indissolubilmente sia prima, sia da quando se n'è andata: in modo diverso proviamo lo stesso dolore lancinante, lo stesso vuoto costante e la stessa rabbia distruttiva. Dopo Simón non credevo che avrei mai più aperto il mio cuore a qualcuno, tantomeno a una donna. Con Zulema è stato inevitabile, mi sono innamorata di lei follemente come mai era successo nella mia vita. L'ho amata silenziosamente anche quando era lontana, anche quando è tornata e mi ha respinta. L'ho amata ogni giorno e la amerò per il resto della mia vita. "Sei abituata alla sua assenza in fin dei conti, era tornata da poco dopo tre mesi di isolamento" mi ha detto Bambi quando Rizos le ha raccontato tutto ciò che c'è stato tra me e Zulema. Sì, la sua assenza era diventata un'abitudine, ma un'abitudine con la consapevolezza che prima o poi ci sarebbe stata una fine e quell'assenza sarebbe stata solo un brutto ricordo. Ho sempre saputo che non sarebbe potuta rimanere in isolamento a vita e per quanto avessi paura che le accadesse qualcosa, sapevo anche che non avrebbe potuto essere nulla di grave perché sarebbe stato ingiustificabile. Ma ora? Ora so che non la rivedrò, so che non potrò mai più stringerla a me, so che il nostro amore è stato distrutto prima ancora di poter esplodere. Non rivedrò mai più la sua chioma nera che riconosco fra mille teste, non potrò più perdermi nei suoi occhi, non potrò fermare il mio dito sulla fossetta del suo naso, il suo sorriso prezioso che regalava solo a me non mi illuminerà più le giornate, non potrò più nascondermi fra le sue braccia per potermi finalmente sentire a casa anche qui, non sentirò mai più il suo inconfondibile profumo. Continuerò ad amarla ogni giorno per il resto della mia vita, la amerò nei ricordi, nei pensieri e nei sogni. Ma non potrò più amarla qui.
"Ecco, inizia" mi dice Saray mentre le sbarre della nostra cella si serrano e una luce rossa si illumina sopra l'entrata, segno che nessuna di noi può uscire e che ora ci tocca solo stare rinchiuse ad ascoltare.
"Non voglio perdere tempo in convenevoli, so che tutte sapete che cosa è accaduto qualche ora fa al dottor Sandoval. - esordisce la voce di Miranda, io e Saray ci guardiamo con un mezzo sorriso - So anche benissimo che nessuna di voi ammetterà mai chi abbia compiuto questo gesto nonostante sicuramente lo sappiate o abbiate dei sospetti e onestamente arrivata a questo punto posso dirvi che non mi interessa più. - un brusio esplode, sguardi perplessi volano tra una sbarra e l'altra, come è possibile che non voglia un colpevole? - Nei giorni passati all'insaputa di chiunque ho interrogato una a una quasi tutte voi. Qualcuna ha scelto il silenzio, ma altre hanno parlato e le prove raccolte contro il dottor Sandoval sono così tante che chiunque sia stato ha avuto un motivo per farlo. È sbagliato, non fraintendetemi, ma vi devo chiedere scusa per essere stata cieca per tutti questi anni. Era mio amico, come un fratello. Non sono stata capace di guardarlo con occhi obiettivi e non mi sono accorta di ciò che stava accadendo. Carlos Sandoval è un depravato, uno psicopatico, un sociopatico, uno stupratore. Ha fatto cose indicibili. Ma non è stato il solo. Negli ultimi mesi qui dentro c'è stato il caos, sono successe cose terribili e queste mura non sono state un posto sicuro. Non potrò mai porre rimedio a ciò che è stato, non potrò restituirvi le vostre amiche e non potrò cancellare ciò che vi hanno fatto i miei collaboratori, ma posso giurarvi che da ora in poi vivrete al sicuro, Cruz del Sur diventerà un luogo tranquillo e voi potrete parlare con me, confidarvi. Vi chiedo scusa a nome di tutti per ciò che avete vissuto, le parole non bastano ma farò il possibile per proteggervi ed avere giustizia. Prometto che d'ora in poi vi darò sempre ascolto." conclude il discorso. Sono tutte a bocca aperta sconvolte da queste parole: a noi detenute non ha mai creduto nessuno anche quando la nostra innocenza era palese, chi mai crederebbe a una carcerata davanti alle parole di una guardia o di una figura di autorità? Siamo feccia, siamo scarti, siamo schifo, questi sono gli occhi con cui ci guardano. Io e Saray invece ci guardiamo con gli occhi infuocati. Non ci serve parlare, appena le celle riaprono corriamo a tutta velocità verso l'ufficio della direttrice e senza bussare spalanchiamo la porta.
"DA ORA IN POI CI ASCOLTERÀ? PERCHÈ CAZZO NON HA ASCOLTATO PRIMA?!" urla Saray battendo le mani sulla scrivania. Io e la direttrice tremiamo al rumore.
"Saray ti devi calmare. Sedetevi per favore." ci dice lei. Io lo faccio e prendo la gitana per un braccio incitandola a fare come me. Controvoglia si accascia sulla sedia ed entrambe, con i pugni chiusi e il cuore a mille, ci prepariamo ad ascoltare.
"Allora?" chiedo io quando il silenzio si fa pesante.
"Perché lo avete fatto?" ci domanda e noi rimaniamo impassibili.
"Fatto cosa?" Saray si mostra indifferente, sappiamo entrambe che la nostra colpevolezza è ovvia ma allo stesso tempo non è dimostrabile, in infermeria non ci sono telecamere e nemmeno davanti alla porta d'ingresso, l'unica prova che hanno è che abbiamo percorso il corridoio che porta all'infermeria, ma quello stesso corridoio porta anche ai bagni e alla lavanderia.
"Macarena tu avevi la visita con lui questo pomeriggio" afferma lei.
"Sì e l'ho fatta, quando siamo uscite era ancora tutto intero" replico tranquilla trattenendo una risata che minaccia di esplodere per la battuta velata che ho appena fatto. Guardo Saray e lei è nella stessa situazione. Ci ricomponiamo rimanendo serie.
"Ragazze, nessuna accusa ricadrà su di voi, è stata difesa e ne avevate il diritto. Per favore, ditemi perché l'avete fatto" sembra sincera, ma non lo ammetteremo mai, ce lo siamo giurate.
"Non siamo state noi, ma chiunque glielo abbia tagliato ha fatto solo bene, quel porco se lo è meritato" ringhia Saray.
"Ti ha toccata?" le chiede la direttrice.
"No, ma solo perché io sono riuscita ad impedirlo" e tra di noi cala il silenzio.

Da quel giorno non abbiamo più proferito parola riguardo ciò che è accaduto. Sandoval è stato condannato, finalmente, per tutto ciò che ha fatto. Centodiciassette detenute hanno dichiarato di aver subito violenze da lui. Un'altra cinquantina ha ammesso di aver dovuto offrirgli favori sessuali in cambio di cose che lui avrebbe dovuto fare per professione e umanità. E il suo fascicolo non si ferma qui. Ci sono prove sufficienti perché passi il resto della sua miserabile vita chiuso in carcere e, per quanto fa schifo come individuo, sono certa che avrà una vita davvero difficile. Persino tra le sbarre gli stupratori sono feccia e i detenuti uomini delle prigioni Cruz sono conosciuti per non essere particolarmente pazienti e delicati. Per quanto riguarda noi, oggi è il giorno del trasferimento e io stento a credere che ogni speranza di rimanere qui sia fallita. Io e Saray stiamo raccogliendo in una scatola le nostre cose, così come le altre fanno nelle loro celle. Non è facile, non è facile sapere che ce ne stiamo andando lasciandola qui. Sfioro il libro che leggeva e ne accarezzo le pagine segnate da qualche scarabocchio a matita, una lacrima solitaria scivola lungo la mia guancia. Vorrei voltarmi e vederla sul suo letto impegnata a pianificare la nostra fuga o a fumare di nascosto dalle guardie come ha sempre fatto. Era quotidianità, era la più bella visione che io potessi avere e mi manca così tanto.
"Maca, vorrei che portassimo la sua roba con noi, per ricorda..." scoppia a piangere Saray. Io annuisco mostrandole la mia scatola che contiene i suoi libri, la foto con lo scorpione e la sua canottiera. Indosso poi la sua felpa sentendone il poco profumo rimasto.
"Pronta?" chiedo a Saray allungandole la mano.
"Pronta" mi dice lei afferrandola. Raggiungiamo le altre e insieme, ammanettate e vicine, usciamo dal modulo. Le guardie ci portano al bus che ci accompagnerà a Cruz del Norte, io e Saray siamo le ultime della fila e prima di salire ci voltiamo per qualche attimo.
"Adios hermana" dice Saray.
"Adios, mi amor" dico io e saliamo sulla scatola gialla che ci porterà per sempre via da lei.

"Ho una brutta sensazione Maca, ho una sensazione terribile" dice Saray scuotendomi. Devo essermi addormentata stremata. Le parole di Zulema mi hanno logorata. Il mio cuscino è bagnato di tutte le lacrime che ho versato nel sonno.
"Cosa vuoi fare? Abbiamo parlato con Miranda ma non ha capito nulla. Possiamo seguirla, ma da lontano o la faremo incazzare seriamente." le rispondo.
"Maca, è successo qualcosa" mi dice e appena vedo i suoi occhi la nausea si impossessa di me come se quella brutta sensazione ora la sentissi anche io. Camminiamo per i corridoi in cerca di Zulema.
Biblioteca.
Lavanderia.
Mensa.
Bagni.
Serra.
Cella.
Non è da nessuna parte.
"Dobbiamo andare in cortile" mi dice lei dopo aver guardato ovunque. Annuisco. Mentre camminiamo noto Marisol seduta sul suo letto. I nostri occhi si incrociano per un attimo che sembra infinito, poi un ghigno compare sul suo viso. Mi volto di scatto e comincio a correre trascinando Saray per un polso.
"Muoviti" le urlo e spalanco la porta del cortile. Ci mettiamo un attimo a vederla sdraiata a terra in una pozza di sangue. Corriamo verso di lei cadendo sulle ginocchia.
"ZULEMA!" urla Saray.
"AIUTO!" urlo io. Piango, piango tutte le poche lacrime che mi sono rimaste. La abbraccio, la stringo a me, il suo cuore quasi non batte più. Saray è piegata con le mani fra i capelli, sporca del sangue di sua sorella. È Palacios a raggiungerci ed a chiamare i soccorsi.
"Che cosa è successo?" ci chiede.
"Me l'hanno uccisa" urla Saray.
"Non l'ho saputa proteggere" singhiozzo io.

Il ricordo mi colpisce in pieno come un treno. Non so poi cosa sia successo dopo quel momento infernale che ho vissuto, i ricordi sono confusi o forse la mia mente ha voluto rimuovere. So solo che l'hanno portata via sull'elicottero. Via da noi. Via da me. E ora invece stanno portando via me da ciò che era rimasto di lei.

* spazio autrice *

Piango.
Piango e basta.

- Elle 🦂

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