La Mela

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Lo specchio ti mostra ciò che più desideri. Il desiderio più profondo, talvolta quello più oscuro.
Di solito non si sa qual'è quel desiderio prima di vederlo nello specchio ma a lui sembrava così chiaro, sapeva quello che voleva, conosceva i suoi desideri e sapeva controllarli e lo ammiravo per questo. Intorno a noi il paesaggio era rimasto imutato, il vento faceva ondeggiare i rami, le foglie volavano di qua e di là. Tra noi, però, l'aria si era fatta irrespirabile, o almeno per me. Le nostre ginocchia si toccavano ancora, i suoi occhi erano fissi nei miei, le sue guance ancora arrossate. Non so chi dei due si allontanò per primo ma quell'istante si dissolse nel nulla. Guardai l'orologio, era l'ora di pranzo.
<<Devo tornare a casa>>mi alzai, mi passai una mano sui pantaloni per allisciarli. Stavo per andarmene ma lui mi fermò. <<Aspetta Al, non abbiamo scoperto niente. Ho altri libri da farti vedere.>>Gellert mi guardava, voleva passare altro tempo con me?
<<Puoi passare dopo pranzo da me, se ti va. Solo non bussare forte, se svegli Abeforth sei finito.>> rise e mi ritrovai  ipnotizzato di nuovo da quella risata. Risi anche io. Lo aiutai ad alzarsi e tornammo insieme verso casa.
<<A dopo Al.>>
<<A dopo Gel>>

***

Durante il pranzo, non pensai ad altro, non vedevo l'ora che arrivasse. Forse avrei dovuto sistemare la mia stanza, ma non lo feci, rimasi sul tavolo della cucina in attesa che lui arrivasse. Aspettai, Abeforth andò a dormire, Ariana rimase, curiosa di cosa stessi aspettando o meglio chi.
<<Quella porta si brucerà se continiui a fissarla>> scherzò Ariana. Sbattei le parpeble, aveva ragione, fissavo la porta da così tanto tempo che i miei occhi erano secchi. Mi voltai verso di lei.
<<Aspetti Gellert?>> mi chiese.
<<O meglio Gel >> pronunciò "Gel"  con un ghigno sul volto.
<<Si>> dissi con sicurezza, non volevo mostrare a mia sorella quanto in relaltà non fossi sicuro. Forse si era dimenticato. Forse aveva cambiato idea. Forse aveva deciso di continuare la ricerca da solo. Aveva cominciato a piovere, e solo la pioggia si sentiva quel pomeriggio.

Scelsi di seguire il consiglio di Ari. Smisi di fissare la porta e mi misi a guardare le gocce di pioggia camminare sulla finestra appannata. Ne scelsi una e la feci gareggiare contro le altre. Capii infetta che quella delle gocce non era una gara; le gocce si univano e più diventavano pesanti più scendevano velocemente. Io e Gellert eravamo gocce, gocce che andavano nella stessa direzione, che per caso si sono incontrate e che insieme possono arrivare al traguardo.

<<Magari è bloccato a casa sua per la pioggia.>> disse Ariana. Mi ero dimenticato che c'era anche lei. Alzai le spalle e ripresi a guardare le gocce, ne scelsi un'altra e proprio nel momento in cui la mia goccia toccò la fine del vetro intravidi un ombra, vagamente definita. Subito dopo. sentii bussare alla porta.

Ariana sorrise e andammo ad aprire. Spalancai la porta e mi ritrovai davanti un Gellert zuppo d'acqua. Le scarpe di pelle erano bagnate. I pantaloni più neri del solito, zuppi anche quelli. La camicia bianca era resa trasparente dall'acqua e, attacata alla pelle delineava i contorni dei suoi muscoli. I suoi capelli biondi erano appiccicati alla testa e avrebbero reso ridicolo chiunque ma non Gellert Grindelwald.

<<Dovevo prendere questi>> fece ondeggiare la busta che teneva in mano, sicuramente piena di libri. Anche quella era bagnata. Risi e lui sorrise.
<<Dai su entra. Ti presto qualcosa.>> Ariana era ancora là, rapita dalla bellezza di Gellert, io avevo imparato a contenermi, lei l'aveva visto solo una volta. Le diedi una leggera spinta, lei salutò e andò in camera sua.

Gellert mi superò sulle scale, era già stato in camera mia e ricordava la strada. Io lo seguii. Vedevo la sua schiena muscolosa messa in risalto dalla camicia trasparente. Fu la prima volta che intravidi il suo tatuaggio. Sulla spalla sinistra, non lo vedevo bene attraverso la camicia, ma capii subito di cosa si trattava: un cerchio inscritto in un triangolo diviso a metà da una linea. La pietra della resurrezione, il mantello dell'Invisibilità,  la bacchetta di sambuco. I doni della morte.

Si fermò davanti alla mia camera. Io aprii la porta. Aprii l'armadio, guardai, avevo un'infinità di camice bianche, tutte simili ma nessuna uguale. Nonostante fosse più piccolo di me di due anni, Gellert era fisicamente più imponente. Scelsi una camicia abastanza larga con dei bottoni piccoli bianco perla. Presi anche un paio di pantaloni blu. Poi andai da lui. Gli mostrai il bagno e gli diedi i vestiti. Poi tornai in camera, mi sedetti sul letto e lo aspettai. Pochi minuti dopo arrivò, era così strano vederlo con i miei vestiti.
Afferrò la busta con i libri e ne tirò fuori uno, era fradicio, così come gli altri che tirò fuori dopo.
<<Cazzo, mia zia mi uciderà>>
<<Poveri libri>> dicemmo insieme. Ridemmo entrambi e lui guardò con frustazione i libri gocciolanti.
<<Forse ti uciderà, ma lo avrai fatto per il bene superiore>> dissi solennemente. Non sapevo cosa sarebbe sucesso "per il  bene superiore". La risata che ne seguì fu totalmente innocente eppure carica di colpe che ancora nessuno dei due aveva commesso.

Presi posto alla scrivania e gli feci segno di sedersi acanto a me, lui lo fece. Prendemmo uno dei libri e cominciammo a sfogliarlo. Le pagine erano apiccicate dall'acqua e girarle risultava complicato. Si trattava di incatesimi oscuri.

Il primo capitolo era riservato alle maledizioni senza perdono. Le conoscevamo entrambi, quindi lo saltammo. Il secondo capitolo trattava della maledizione Inferius: permetteva a un mago di controllare un cadavere. Lo trovavo rivoltante! Vi era un capitolo riservato agli horcrux.

Quasi alle ultime pagine del libro, trovammo il voto infrangibile e...il patto di sangue. Per il primo, un mago si impegnava a rispettare un giuramento, pena la morte. Nel secondo entrambi i maghi si impegnavano nel patto.

Il mondo della magia oscura era così attraente eppure così scuro e tenebroso. Era facile perdersi al suo interno ma io avevo Gellert. Io e Gellert lo stavamo esplorando insieme.

Lui non era la mia bussola, era molto di più. Era il motivo per cui non mi  sarei perso. Avrei dovuto essere il suo, avrei dovuto impedirgli di perdersi, fargli da guida e invece una volta separati avevo pensato solo ad uscirne.

I suoi occhi brillavano sempre di più, pagina dopo pagina. Amava quel mondo e io dovevo accettarlo.

Infine, quasi fosse fatto apposta, trovammo un capitoli sui doni della morte. Parlava della storia dei tre fratelli e dei poteri che essi avevano, lo sapevamo. Diceva anche che chi li avesse posseduti tutti e tre sarebbe diventato "il padrone della morte". Poi nient'altro. Chiudemmo il libro.

Mi alzai dalla sedia e mi stiracchiai. Sentii i muscoli allungarsi e le ossa scrocchiare. Poi guardai Gellert. La luce si era spenta.
<<Hai fame?>> gli chiesi.
<<Un po'>> ammise lui portandosi una mano sullo stomaco.
<<Aspetta qua, vado a prendere qualcosa.>> Mi sorrise e io scesi giù.

L'unica cosa che trovai, per la quale non servisse cottura, era una mela, rossa e lucida, così tonda e perfetta da sembrare disegnata. Ce n'era solo una. La afferrai e tornato in camera la lanciai a Gellert. Lui allungò la mano, quasi senza pensare, agendo puramente per riflesso.
<<C'era solo quella, mi sa che domani mi tocca andare al mercato.>>
Diede un morso alla mela, i suoi denti affondarono sulla mela e io mi ritrovai a fissarlo. Vedendo che lo guardavo, mi passò la mela. Rimasi immobile, spalancai gli occhi, mortificato fece per ritrarsi.

<<S...scusa io... avrei dovuto...>> si interruppe perché io diedi un morso alla mela, proprio accanto al suo. Lasciando uno sguardo sorpreso ma divertito sul suo volto. Mi prese la mela di mano e le diede un morso a sua volta, continuammo così fin quando non rimase solo il torsolo.

Poi ci butammo sul letto uno accanto all'altro, senza toccarci. Le mie mani lungo i fianchi sfioravano le sue. Le dita mi formicolavano solo al pensiero delle sue così vicine, ma non si mossero. Restammo per parecchi minuti in silenzio, poi lui si alzò di scatto, afferrò uno dei libri che si era portato dietro e lo aprì in una pagina più o meno nel mezzo.

<<Qual'è il colmo per un giardiniere?....Rimanere al verde!>> recitò. Era così ridicolo. Presi quel libretto e lessi a mia volta
<<Qual'è il colmo per un fotografo?....Essere un tipo obbiettivo!>> continuammo così, battuta dopo battuta. Ridevamo come due scemi da così tanto tempo che ci faceva male la gola.

In quel momento sentii bussare alla porta. Allora guardai fuori dalla finestra, pioveva ancora, ma il cielo era già scuro. Gellert doveva aver perso come me la cognizione del tempo perché anche lui si mise in piedi così velocemente che quasi cadette.

Grindeldore: I Tuoi Occhi Nello SpecchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora