Un regalo speciale

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Tornata a casa quel giorno, ovviamente chiamai subito Ellie, volevo raccontarle di ciò che era  successo al bar e di ciò che avevo scoperto curiosando sul profilo di Dylan.
Rispose al cellulare preoccupata, ed io mi affrettai a tranquillizzarla.
<Devo assolutamente raccontarti una cosa che è successa oggi al bar.>
<Alya, c’è ben altro che dovresti raccontarmi, so che magari hai bisogno di tempo ma se non ne parli con me io non posso esserti di nessun aiuto.>
Aveva ragione, mi ero dimenticata che fosse ancora all’oscuro di tutto, meritava di sapere.
Alla fine decisi che era meglio non parlarne al telefono, perciò ci accordammo per vederci quella sera e passare una serata tra donne. Io e la mia migliore amica, come ai vecchi tempi.
Papà iniziava ad approvare sempre meno questa nuova sfumatura di me, iniziava ad essere un po' contrario al mio uscire ogni sera, ma lui era spesso solo parole. Lo diceva perché sapeva che un padre avrebbe dovuto dirlo, ma io in fondo sapevo che era felice che finalmente uscivo come una normale ragazza della mia età. Lui stava meglio ed io avevo meno cose a cui pensare, andava bene, pregavo che potesse durare per sempre.
Quella sera passai io a prendere Ellie, era molto raro che guidassi io dato che non amavo farlo, ma per quella sera feci un’ eccezione. Salii in macchina con il suo solito sorriso e mi abbracciò forte, notai che non si era messa in ghingheri e mi tranquillizzai perché significava che stavolta non saremmo finite a nessuna festa, stavolta eravamo solo noi. Come volevo che fosse.
<Che ne dici amica, il nostro solito bar?>
<Ellie, se mai un giorno risponderò di no a questa domanda, ti prego uccidimi.>
Scoppiammo a ridere, poi partii. Il nostro solito bar, il nostro posto.
Appena arrivate notammo che il nostro solito tavolino era già occupato e ci rattristammo per un attimo. Sedevamo a quel tavolo dai tempi della scuola, era l’unico tavolino più isolato, appartato. Ci piaceva perché così potevamo parlare di tutto ciò che volevamo senza che nessuno ci sentisse.
<Fanculo, da oggi il nostro tavolo sarà un altro.>
Ellie si perdeva raramente d’animo, se lo faceva si trattava di minuti, poi trovava subito una soluzione. Entrambe sapevamo che il nostro tavolo sarebbe sempre stato quello, ci stavamo solo accontentando per una sera, ma quando saremmo ritornate in quel bar ci saremmo comunque sedute in quel tavolino isolato. Ma, per quel momento, fingemmo che andasse bene anche un altro tavolo.
Ci sedemmo e ordinammo due bicchieri di vino bianco, come facevamo sempre Parlammo inizialmente di stupidaggini, poi lei mi chiese di ciò di cui dovevamo parlare davvero. Io cercai di raccontarle tutto in maniera breve, così che quelle immagini non tornassero chiare nella mia mente.
<Che pezzo di merda! Dio Aly, se Dylan non fosse arrivato...io non voglio neanche pensarci.>
<Ma per fortuna è arrivato ed io sto bene, non parliamone più per favore.>
Allungò la mano sul tavolino e strinse la mia, facendomi sentire più leggera.
<C’è dell’altro, a proposito di Dylan.>
Le raccontai tutto. Del fatto che era tornato da Harry per prenderlo a botte e di ciò che mi aveva detto al bar.
<Innanzitutto, credo abbia fatto bene a picchiare Harry, quello stronzo se lo meritava.>
La guardai male. Io ero abbastanza contro la violenza, per qualsiasi motivo, che sia giusto oppure no. Al contrario Ellie, avrebbe schiaffeggiato anche la commessa di un negozio di profumi, se le avesse detto che non poteva entrare e provare sette profumi diversi per poi comprare sempre il solito.
<In ogni caso, dovresti uscirci.>
<COSA? No, mai.>
<Avanti Alya, è evidente che lui ti piace, anche solo fisicamente. Nel peggiore dei casi  andate a letto e poi non lo rivedrai più, che c’è di male?>
<Si ma se poi...>
<Aly, se continui così non vedrai neanche l’ombra di un ragazzo fino ai tuoi cinquant’anni, quando sarai ormai troppo in là con gli anni per fare pazzie con gli uomini. Devi buttarti amica!>
In parte aveva ragione, non frequentavo un ragazzo da due anni ormai, a volte mi sentivo incapace di provare ancora quell’emozione, apatica, nei confronti di quel tipo d’amore. Forse dovevo davvero buttarmi, in fondo si dice che prevenire è meglio che curare, se mi aspetto già di essere delusa poi non lo sarò davvero. Credo abbia senso.
In ogni caso, mi faceva dannatamente paura.
<D’accordo adesso parliamo di cose più importanti. Il mio compleanno.>
Con tutto il caos dell’ultimo periodo, mi ero dimenticata che il compleanno di Ellie fosse vicino. Ogni anno il mio regalo era il più importante di tutti, le facevo sempre delle piccole sorprese innovative. Un anno le regalai un album con tutte le nostre foto e delle poesie ad ogni pagina, ci impiegai delle settimane per realizzarlo, Ellie ne fu felice come se avesse ricevuto una valigetta piena di diamanti.
Ma quest’anno non avevo preparato niente e non avevo la minima idea di cosa poter fare.
<Oh giusto, che vuoi fare?>
<Week-end al mare. Solo pochi amici.>
Lo disse entusiasta, battendo le mani, era evidente che non pensava ad altro da almeno una settimana.
<Cavolo Ellie, non so se riesco.>
<Hai detto che tuo padre sta meglio.>
<Si è così, ma vorrei comunque essergli d’aiuto con Noah.>
<Senti, sono due anni che progetto di passare così il mio compleanno, ho solo aspettato che per te… le cose andassero meglio. È l’anno giusto, ti prego facciamolo.>
In effetti Ellie aveva messo molto da parte se stessa per pensare a me, si era dedicata a me e a tutto ciò che potesse farmi stare meglio dopo la morte della mamma. Si meritava un compleanno perfetto, ed io dovevo esserci per renderlo tale dall’inizio alla fine.
<D’accordo. Facciamolo.>
Alzammo i nostri bicchieri per fare un brindisi, guardandoci negli occhi, felici.
Restammo lì ancora per un po', chiacchierando e ridendo.
Ellie mi raccontò dell’appuntamento perfetto che aveva organizzato con Liam l’indomani, mi convinsi ancor di più che ne fosse davvero innamorata, e riuscii a leggere nei suoi occhi che iniziava a capirlo anche lei.
Tornata a casa riuscivo solo a pensare al suo compleanno, avevo solo tre giorni per pensare a come renderlo perfetto. Mi sforzavo di farmi venire qualche idea eppure non mi veniva in mente nulla. Feci una lunga doccia per rilassarmi, poi mi misi a letto a leggere per un po' il mio libro, abbracciai il mio cuscino e mi misi a dormire. Con mia sorpresa ci riuscii subito, stare con Ellie mi aveva aiutata a liberarmi un po' dai miei pensieri. Mi sentivo appagata, soddisfatta, e caddi in un sonno profondo e rigenerante.
Mi svegliai alle sei del mattino, mentre gli uccellini cinguettavano fuori, sudata.
Dopo aver fatto un sogno bello quanto triste.
C’ero io sdraiata sul letto, con la testa sul petto della mamma, mentre lei mi accarezzava i capelli. Parlavamo del compleanno di Ellie, lei mi chiedeva cosa avrei indossato, io le dicevo che non aveva importanza tanto nessuno avrebbe mai guardato me con Ellie vicino. A quel punto lei si metteva seduta e mi guardava.
<Sei bellissima bambina mia, solo uno stupido non si perderebbe a guardarti.>
<Ti voglio bene mamma.>
<Te ne voglio anch’io Alya, non dimenticarlo mai.>
Il mio cuore batteva forte al risveglio. Mi era sembrato tutto così reale, mi era sembrato di sentire il suo tocco tra i miei capelli, il suo profumo sotto il naso.
Ma quando mi svegliai il mio letto era vuoto, mentre le prime luci dell’alba entravano dalla finestra, avrei solo voluto restare dentro quel sogno ancora un po'.
Mi fu subito chiaro che ormai non avrei più ripreso sonno, perciò mi sdraiai nuovamente, rivolta verso la finestra, ad aspettare che il sole arrivasse ad illuminare quella stanza che mi sembrava tremendamente buia e vuota.
Mi sembrarono passati solo pochi minuti, forse mi appisolai per un attimo, ma in un batter d’occhio la luce del sole entrava accecante dalla finestra. Persi ancora un attimo prima di alzarmi, rimasi ancora un po' abbracciata al cuscino. Il tintinnio del mio cellulare mi riportò alla realtà, lo presi domandandomi chi potesse essere, dato che l’unica che poteva scrivermi era Ellie, ma lei non si svegliava mai a quell’ora del mattino.

Dylan: Buon giorno stellina <3

Era forse impazzito? Perché mi scriveva augurandomi il buon giorno?
Rimasi un attimo a contemplare quel messaggio, chiedendomi se fosse meglio rispondere o lasciar perdere. La conversazione con Ellie mi aveva aiutata a pormi delle domande riguardo Dylan, ma io non sapevo ancora se avevo voglia di rischiare con lui, perciò alla fine decisi di non rispondere.
Finalmente mi alzai, mi lavai,mi vestii e scesi a fare colazione.
Trovai Noah e papà già seduti al tavolo della cucina, me l’ero presa comoda quella mattina, perciò aveva pensato papà a svegliare Noah e ad aiutarlo a prepararsi.
Mi versai un’abbondante tazza di caffè, poi mi sedetti con loro.
<Tutto bene scimmietta? Ti vedo pensierosa.>
<Tra poco sarà il compleanno di Ellie ed io l’avevo dimenticato, non ho un’idea per il suo regalo.>
<Un album con le vostre foto.>
<Già fatto.>
<Un bracciale con incisa una frase sulla vostra amicizia.>
<Già fatto.>
Era questo il problema con Ellie, ci conoscevamo da così tanto tempo che le avevo già fatto qualsiasi tipo di regalo. Dalle cose più scontate a quelle più sorprendenti, avevo finito tutte le opzioni.
<Sono sicuro che ti verrà in mente qualcosa, scimmietta. Porti tu Noah a scuola?>
<Certo. Andiamo peste!>
Noah corse a prendere il suo zainetto, mentre io mettevo in borsa il computer e un libro, nel caso in cui non avessi avuto molto da fare al bar, poi uscimmo.
Arrivati a scuola Noah sembrava pensieroso e perse qualche minuto prima di scendere dall’auto.
<Che succede?>
<Oggi a scuola dobbiamo fare un progetto speciale.>
Lo vedevo triste.
<Di che si tratta?>
<Dobbiamo fare un disegno e scrivere una dedica.>
<Beh qual è il problema? Sei perfettamente in grado.>
<Dobbiamo farlo per la mamma.>
Ed ecco di nuovo che il mio cuore si stringeva, mi faceva male. Noah era così piccolo, non aveva molti ricordi della mamma, gli è stata strappata troppo presto. A volte dimenticavo quanto la sua assenza potesse fare più male a lui che a me, pensavo che non avendola vissuta molto non sentiva particolarmente la sua mancanza, ma era un bambino e i bambini hanno bisogno della mamma. Dimenticavo quanto doveva essere dura per lui vedere i compagni di scuola correre dalle proprie mamme all’uscita  mentre lui non poteva farlo. Mamme che li abbracciavano, mamme che li baciavano sulla fronte, che li tenevano per mano. Lui non aveva tutto questo e probabilmente non ne capiva neanche il perché, tutto ciò doveva farlo sentire diverso dagli altri.
<Anche tu hai la mamma, solo che non puoi vederla, ma lei c’è. Lo sai questo, vero?>
<Lo so.>
<Puoi comunque scriverle la dedica e farle il disegno.>
<Non posso.>
<Perché no?>
<Perché nel disegno dobbiamo rappresentare un momento della nostra giornata che passiamo insieme.>
<Mmh...Beh sai, la mamma vive dentro ognuno di noi. Dentro di me, dentro papà, dentro la nonna Anna. Volendo, potresti disegnare un momento che passi con qualcuno di noi, è come se fossi con la mamma in fondo.>
Noah mi guardò illuminandosi, come se tutti i suoi pensieri fossero d’improvviso spariti.
<Si, farò così! Grazie Aly.>
Mi abbracciò forte, poi scese dall’auto con un sorriso smagliante e corse all’entrata.
Io invece rimasi lì qualche minuto, guardandolo allontanarsi, mentre una lacrima calda scivolava sul mio viso. Avrei voluto che lei fosse ancora qui, era così ingiusto che Noah dovesse crescere con così pochi ricordi di lei, così pochi che con il tempo sarebbero sbiaditi e poi spariti del tutto. Avrei voluto dare il mondo intero a quel bambino, avrei voluto dargli tutta la felicità esistente sulla terra, ma comunque gli sarebbe mancato qualcosa. Io non ero la mamma, uno spazietto nel suo cuore sarebbe sempre rimasto vuoto, e non avrebbe mai potuto riempirlo con nessuno.
Dopo poco tirai un lungo respiro e misi in moto l’auto per dirigermi al bar.
Al mio arrivo Bill mi accolse come ogni mattina, poi mi riferì che sarebbe venuto un fornitore a portare della merce e mi incaricò di occuparmene perché lui aveva da fare.
Gli affari andavano meglio, perciò purtroppo non trovai il tempo per leggere il mio libro o per scrivere, come mi ero programmata. Era quasi ora di chiudere e non si era ancora vista l’ombra né del fornitore né, purtroppo o per fortuna, di Dylan.
Me ne stavo appoggiata con i gomiti sul bancone ed il viso fra le mani, pensierosa, aspettando che arrivasse l’ora per andar via, mentre gli ultimi clienti sorseggiavano caffè seduti ai tavolini. C’era un po' di confusione, perciò non mi accorsi della porta che si apriva e di Dylan che entrava.
<Sai che non ricambiare qualcuno che ti augura un buon giorno porta ad avere sfortuna per i prossimi sette anni?>
Mi disse non appena arrivato al bancone, strappandomi dai miei pensieri, che casualmente erano rivolti a lui.
<Credo valga per quando si rompe uno specchio.>
<Sarai male informata.>
Sorrise ed io ricambiai, sembrava diverso, più di buon umore forse.
Mi chiese il solito caffè, e questa volta dovetti accontentarlo. Glielo preparai e glielo poggiai sul bancone, mentre lui apriva una bustina di zucchero.
Lo osservai, forse anche troppo, così tanto da notare quella goccia di caffè rimasta sulle labbra che lui fece sparire passandoci sopra la lingua. Osservai le sue mani, che per fortuna stavano guarendo, poi alzai lo sguardo per osservare i suoi occhi che, con mia sorpresa, trovai già perfettamente incastrati ai miei. Distolsi immediatamente lo sguardo e mi affrettai a ripulire il bancone per distrarmi. Poi sentii la porta del bar aprirsi e ne fui sollevata, arrivava qualcuno a salvarmi da quella situazione imbarazzante.
Era un ragazzo, alto quanto Dylan, con dei capelli biondo scuro legati da un elastico in una piccola coda, abbronzato e snello.
<Ciao, scusami, ho la merce che avete ordinato. Dove posso lasciarla?>
Era il fornitore. Gli mostrai dove lasciare tutto, sperando che mentre ero occupata con lui Dylan sarebbe andato via, ma lui se ne stava lì a seguire ogni mio passo, sentivo il suo fiato sul collo. Dopo aver sistemato tutta la merce dove gli avevo indicato, il ragazzo si avvicinò al bancone, sedendosi per un attimo, affaticato. Notando quanto fosse stanco e sudato mi premurai di versagli un bicchiere d’acqua, così che potesse rinfrescarsi. In fondo faceva molto caldo, volevo essere gentile.
<Tieni, devi essere molto stanco, fa davvero caldo.>
<Oh grazie mille, sei la mia salvatrice.>
Gli sorrisi, mentre lui buttava giù l’acqua e posava nuovamente il bicchiere sul bancone, soddisfatto.
<Da quanto lavori qui? Consegno sempre la merce ma non ti ho mai vista.>
<Da non molto tempo.>
Nel frattempo si alzò dallo sgabello, posò nella tasca dei pantaloni il cellulare che aveva precedentemente posato sul bancone dopo aver inviato un sms, e fece per andarsene. Poi tornò indietro.
<Sono Alan comunque, piacere di conoscerti.>
<Io sono Alya, piacere mio.>
<Quello è l’ultimo di Nicholas Sparks?>
Disse, indicando con un cenno della testa il mio libro che avevo lasciato sul bancone, con la speranza di poterlo leggere.
<Si, l’hai letto?>
<Si certo, adoro i suoi libri.>
<Anch’io, è uno dei miei scrittori preferiti.>
Sorrisi, felice di aver trovato un possibile amico con cui parlare di libri.
<Magari, se ti va, potrei tornare fuori dal mio orario lavorativo. Così possiamo parlarne insieme, mi piacerebbe molto.>
Stavo per rispondere e accettare volentieri, ma una voce interruppe la mia ancor prima che aprissi bocca.
<No grazie, abbiamo già il nostro club del libro.>
Mi ero quasi dimenticata che Dylan fosse ancora lì, era stato zitto tutto quel tempo ad ascoltare la mia conversazione e si era sentito autorizzato a rispondere per me. Per l’ennesima volta ero il suo giocattolo preferito e non voleva condividerlo con nessuno.
<Oh capisco, ma magari...>
Dylan interruppe anche lui, fissandolo serio.
<Non hai altre consegne da fare, amico?>
<Si è così...il lavoro mi chiama.>
Il ragazzo sorrise imbarazzato, un sorriso palesemente di circostanza, spostando lo sguardo da me a Dylan, probabilmente capendo che era meglio lasciar perdere. Se ne andò facendomi un cenno di saluto con la mano che io ricambiai, mortificata.
<Che cavolo fai?>
<Ma dai stellina, non vorrai davvero startene con quello a parlare di libri? Sai che noia.>
<Per me non sarebbe stato noioso, e tu non hai il diritto di rispondere per me.>
<Ti ho fatto un favore.>
Lo guardai male, aveva davvero la capacità di rovinare il mio umore in un attimo. Cercai dentro me tutto l’auto controllo possibile e decisi di non rispondere, sperando che se ne andasse.
<Tu sai che, semmai avrai un appuntamento con qualcuno, quel qualcuno sarò io. Vero?>
<Fossi in te non ci spererei troppo.>
<Ma io non ci spero stellina, ne sono certo. Dirai di si, prima o poi.>
<Si certo, credici.>
Mi girai dandogli le spalle, fingendo di essere indaffarata, preparandomi a rispondergli a tono non appena avesse replicato. Non lo sentii muoversi né parlare, il ché mi stranii, perciò mi girai nuovamente. Ma lui non c’era più, se n’era andato silenzioso come una formica, lasciando sul bancone i soldi del caffè. Quasi delusa presi i soldi per riporli nella cassa, ma mi resi conto che c’era un bigliettino ripiegato tra loro. Posai i soldi ed aprii il biglietto, notando che c’era scritto qualcosa sopra:

Non mi arrendo finché non esci con me. A domani.
                                                                                                -D

Quel biglietto mi strappò un sorriso, con mia sorpresa. Sembrava che gli importasse davvero, che desiderava davvero uscire con me. Ma io in cuor mio lo sapevo, sapevo qual era il suo scopo, sapevo che voleva solo giocare.
Ma non sapevo se ero pronta a farlo.
Mentre mi dirigevo a casa dopo il lavoro mi sentivo molto stanca, forse più mentalmente, erano successe tante cose quella mattina. Intanto ricevetti un sms di Ellie, dove diceva che nel pomeriggio sarebbe passata da me per organizzare il suo compleanno, ed io mi sentii nuovamente in colpa perché non sapevo cosa regalarle.
Tornata a casa Noah mi corse in contro, era andato papà a riprenderlo a scuola quel giorno, emozionato mi raccontò del progetto che stava realizzando grazie al mio consiglio, dicendo che non vedeva l’ora di mostrarmelo non appena fosse finito. Quasi mi emozionai vedendo quella sua felicità, mi insegnava ogni giorno ad apprezzare le piccole cose. Pranzammo tutti insieme, stavamo così bene ultimamente.
Da quando papà si era ripreso eravamo davvero una famiglia, mangiavamo sempre tutti insieme, non come prima quando papà mangiava da solo in camera. Guardavamo la tv insieme, scegliendo a turno un film, ci raccontavamo le nostre giornate mentre stavamo seduti in veranda a sorseggiare tè freddo, e facevamo la lotta con i cuscini nel lettone di papà. C’era armonia fra noi, c’era la felicità nell’aria.
Dopo pranzo mi concessi un po' di tempo per leggere, nell’attesa che arrivasse Ellie, purtroppo però non riuscivo a concentrarmi. Non facevo che pensare al suo regalo, meritava qualcosa di speciale ma a me non veniva in mente nulla.
Mentre me ne stavo lì a scervellarmi, suonarono alla porta, ed io capii che sarei dovuta tornare a pensarci dopo, perché Ellie era arrivata.
Entrò come un uragano, in estasi, pronta ad organizzare tutto.
Ci sedemmo in veranda, dopo esserci preparate degli ottimi Margarita, preparandoci ad organizzare quello che per lei era l’evento dell’anno.
<Ho trovato una casa da affittare, non è al mare ma ha la piscina.>
Disse, soddisfatta.
<Mi sembra perfetto!>
<È un po' piccola però, dovremmo stringerci, ma è il massimo che posso permettermi.>
<Non ha importanza. Chi pensi di invitare?>
Ellie mi fece la lista degli invitati, ed io non sapevo se essere felice o delusa dal fatto che Dylan non fosse tra quelli, ma optai per non dire nulla.
<Partiremo dopo domani, di mattina presto mi raccomando, passo a prenderti io.>
<Dopo domani? Ma il tuo compleanno è il giorno dopo.>
<Lo so, ma voglio festeggiare allo scoccare della mezzanotte, poi dormire lì e passare una notte di fuoco con Liam. Staremo lì due giorni, avvisa tuo padre.>
Disse, battendo le mani come una bambina, entusiasta.
Io rimasi lì a guardarla, perplessa. Non avevo mai dormito fuori, un po' mi preoccupava lasciare Noah e papà da soli di notte, in più se Ellie dormiva con Liam io con chi avrei dormito? Non conoscevo nessuno.
Inoltre, come se non bastasse, questo significava che avevo solo un giorno per pensare al regalo perfetto. Questo era un problema.
Il pomeriggio passò in fretta, mentre fingevo di ascoltare Ellie, che immaginava Liam farle una sorpresa per il suo compleanno con rose e collier di perle.
Quando Ellie se ne andò iniziai a preparare la cena, mentre aspettavo che papà e Noah tornassero dal parco. Quando tornarono, mentre cenavamo, con la mente ero assente.
Continuavo a pensare al compleanno di Ellie, al suo regalo e a Dylan.
Forse un po' mi dispiaceva che Ellie non avesse pensato di invitarlo, ma magari era meglio così.
Papà non si mostrò contrario al nostro programma, disse come al solito che lui e Noah se la sarebbero cavata, ed io mi fidai. Poi, dopo cena, si mise vicino a me sul divano mentre cercavo su Google qualcosa da regalare ad Ellie.
<Tesoro, Ellie capirebbe se per quest’anno non riuscissi a farle nulla.>
Disse, accarezzandomi i capelli.
<Ma io voglio farlo, voglio qualcosa di speciale.>
Io e papà restammo lì a lungo, a cercare e a pensare, ma non trovammo nulla.
Alla fine, entrambi stanchi morti, ci addormentammo sul divano. La mattina seguente, ovviamente, ci svegliammo doloranti.
Presi il cellulare per staccare la sveglia che suonava in modo assordante e mi accorsi di avere un messaggio:

Dylan: Buon giorno stellina <3

Un’altra volta? Non si arrendeva davvero. Anche quella mattina decisi di ignorarlo.
Dopo aver fatto una doccia ed essermi preparata per il lavoro, svegliai Noah e lo aiutai a prepararsi per la scuola, mentre papà preparava la colazione.
Poco più tardi eravamo già davanti la sua scuola, mentre lui mi abbracciava forte prima di entrare.
Dopo essermi assicurata che fosse entrato mi avviai verso il bar, ma il mio cellulare iniziò a squillare insistentemente e fui costretta a fermarmi per rispondere.
Era Bill, chiamava per avvisarmi che purtroppo si era rotta una tubatura e il bar si era allagato, sarebbe rimasto chiuso per qualche giorno per riparare i danni.
Iniziavo a pensare che Bill, o forse il bar, fosse davvero sfortunato.
In ogni caso stavolta cascava a pennello, in questo modo avrei avuto l’intera giornata per pensare al regalo di Ellie.
Cambiai strada e mi diressi verso il centro commerciale, magari avrei trovato qualcosa lì.
Passai la mattina a girare decine di negozi, trovai tantissime cose che sarebbero piaciute ad Ellie, ma nessuna di queste soddisfaceva la mia idea di regalo perfetto. Alla fine uscii dal centro commerciale a mani vuote, delusa e più confusa di prima.
Iniziai a credere che non avrei mai trovato nulla di tanto speciale e che forse era meglio spiegare ad Ellie che per quell’anno non ero riuscita a farle nulla, promettendole qualcosa di sorprendente per l’anno prossimo. Ma in questo modo mi sarei sentita una pessima amica.
Andai a riprendere Noah e tornammo a casa, nel frattempo nella mia testa passavano milioni di possibili idee regalo, ma finivo per scartarle tutte.
A casa trovai nonna Anna, in cucina che preparava il pranzo. Aveva preparato i maccheroni al formaggio, uno dei miei piatti preferiti, almeno il cibo avrebbe alleviato per un po' i miei pensieri.
Dopo pranzo tornai a sedermi in veranda con il mio tè freddo, sperando in un illuminazione, ma ero già quasi del tutto rassegnata.
Dopo poco nonna Anna mi raggiunse, anche lei con un bicchiere di tè freddo.
<Che cos’hai bambina? Ti vedo pensierosa.>
Si preoccupava tanto per me da quando non c’era più la mamma, ed aveva imparato a leggermi dentro, a capire quando qualcosa non andava, senza bisogno di parole.
<È quasi il compleanno di Ellie ed io l’avevo dimenticato, non le ho preso ancora un regalo e non mi viene in mente nulla. Voglio qualcosa di speciale.>
<Mmh… per fare qualcosa di speciale dovresti fare qualcosa che viene dal tuo cuore.>
<Si, ma cosa?>
Lei mi guardò, prendendo un sorso dal suo bicchiere, come se avesse la risposta ma stesse valutando se rivelarmela.
<Punta a fare ciò che ti riesce meglio.>
Non aveva senso, mi riuscivano bene tante cose ma nessuna di queste potevo regalarla ad Ellie.
<Cioè?>
Si alzò con ancora il bicchiere in mano, senza guardami si avvicinò alla porta ed io pensai che stesse rientrando lasciandomi lì ancora senza un’idea, dopo avermi fatto un discorso privo di senso. Ma proprio sulla soglia si girò verso di me, sorridendo.
<Se c’è una cosa con cui sei bravissima, sono senza dubbio le parole. Prova ad usare quelle, ne verrà fuori qualcosa di speciale.>
Mi fece l’occhiolino e rientrò in casa.
Continuava a non avere senso, voleva senza dubbio essere d’aiuto, ma io non capivo come quello che aveva appena detto poteva farmi venire in mente un’idea.
Rimasi lì ancora un po', con il bicchiere del tè ormai vuoto, sforzandomi ancora di farmi venire in mente qualcosa, ma continuava a rimbombarmi in testa quel discorso.
Usa le parole.
In che modo potevo usare le parole? Voleva forse dire che dovevo fare un bel discorso ad Ellie per il suo compleanno? Non sarebbe stato nulla di speciale.
Iniziai a pensare a tutti i modi in cui si possono usare le parole ed improvvisamente mi venne un lampo di genio.
Le parole si usano per parlare, ma si possono anche scrivere, che tra l’altro era il modo in cui io preferivo usarle.
UN LIBRO.
Avrei dovuto scrivere un libro ad Ellie, un libro su di lei, un libro su di noi.
Erano le quattro del pomeriggio però, io ero brava a scrivere ma era quasi impossibile scrivere un intero libro entro domani mattina.
A meno che...
Fanculo, sarei rimasta sveglia tutta la notte.
Avevo ancora il pomeriggio, se non mi fossi fermata per cenare e neppure per dormire l’avrei finito in tempo per prepararmi e partire.
Ce la potevo fare, ce la dovevo fare.
Non avevo in mente nient’altro, ed era qualcosa di davvero speciale.
Entrai correndo in casa, dirigendomi nella mia stanza, vedendo di sfuggita il sorriso di Nonna Anna quando le corsi davanti a tutta velocità.
Mi misi comoda sul letto, con il computer sulle gambe, ed iniziai a scrivere.
Le mie dita iniziarono ad andare da sole, veloci premevano i tasti, trasformando le lettere in parole, le parole in frasi. Dando vita a pagine e capitoli.
Avrei scritto ad Ellie un intero libro dove sarebbe stata la protagonista assoluta, le avrei dato il suo lieto fine.

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